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Rispetto a questo incrocio la mia interpretazione è di tipo ampliativo.Si deve riconoscere che le aziende non profit hanno già un ruolo pervasivo in tutti i settori del contesto socio economico dando ad essi una valore aggiunto sociale che aumenta i risultati operativi.”Ad escludendum” alcuni ambiti specifici (da decidere secondo quali criteri?), si dovrebbe lasciare piena liberta’ imprenditoriale negli altri ambiti ove si sostanzia l’attività delle “imprese sociali non profit” intesa come “la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale finalizzata all’interesse generale” .E così è se l’attività di scambio è prodotta tramite il ruolo fattivo di fasce deboli che in essa sono coinvolte. Ed infatti così recita il D. Lvo 155 /2006 all’art 2:”… 2. Indipendentemente dall’esercizio della attività di impresa nei settori di cui al comma 1, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni che esercitano attività di impresa, al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti che siano: a) lavoratori svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, primo paragrafo 1, lettera f), punti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, 5 dicembre 2002, della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione; b) lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 2, primo paragrafo 1, lettera g), del citato regolamento (CE) n. 2204/2002. Oggi le “aziende non profit” nelle varie forme giuridiche (associazioni, fondazioni,cooperative, cooperative sociali,ONG ecc.), erogano servizi che soddisfano bisogni economico-sociali della collettività. Tali organizzazioni di welfare (concetto non più solo previdenziale e assistenziale , ma ampliato ad altre funzioni sociali) agiscono in diversi ambiti che si sgranano dal settore assistenziale e socio-sanitario a quello ambientale, dalla formazione all’educazione e alla ricerca scientifica, dallo sport ed “entertainment” alla difesa dei diritti dei cittadini ed all’“advocacy”, dalla cultura al sostegno e sviluppo economico, sia dei territori italiani, sia dei paesi in via di sviluppo e così via. Si tratta di una nuova “formula imprenditoriale“ privata e cooperativa che si affianca, a tutto titolo, a quella privata “for profit” ed a quella pubblica. Essa si caratterizza per alcuni elementi qualificanti: intensità della personalizzazione, empatia diffusa, funzione anticipatrice e innovativa molto contestualizzata, simmetria informativa ed accountability come mission e “dover essere” aziendale. Ed inoltre il senso sussidiario orizzontale, micronizzazione della lettura del bisogno/domanda, prossimità di offerta con verifica costante dei risultati, autonomia perseguita come valore e come relazione nella “governance” integrata con l’amministrazione pubblica, dimensione flessibile non come sovrastruttura organizzativa imposta, ma partecipata, localismo di servizio, bilancio sociale ed economico, “massimizzazione relativa”dell’utile e non del profitto, non ridistribuzione di utili o avanzi, reinvestimento degli utili nello svolgimento dell’attività istituzionale o ad incremento del patrimonio. E’ l’“impresa sociale non profit” non più erroneamente percepita come “cenerentola” del sistema socio economico nazionale,ma come “player” del sistema e “formula imprenditoriale“ innovativa, flessibile ed efficace”. Peraltro l’art. Art.7. del D.Lvo 155/06 così recita: (Denominazione) 1. Nella denominazione è obbligatorio l’uso della locuzione:«impresa sociale»……..3. L’uso della locuzione:«impresa sociale» ovvero di altre parole o locuzioni idonee a trarre in inganno è vietato a soggetti diversi dalle organizzazioni che esercitano un’impresa sociale. Quindi le imprese sociali non profit sono le “imprese sociali doc”.
Commento di Luigino Bruni (visualizza)