Ciclicamente si ripropone la domanda su quale possa essere il contributo dei credenti al miglioramento della qualità della vita democratica della Repubblica italiana, all’interno dell’Unione Europea, nel contesto globale.
Questa domanda ha acquisito nuova linfa da quanto, recentemente, papa Francesco ha invitato ad impegnarsi nella Politica con la maiuscola (discorso all’Azione Cattolica Italiana, 1 maggio 2017).
Vorremmo proporre una dimensione concreta per questo rinnovato impegno cattolici per il bene comune, facendolo coincidere con la deliberata scelta di agire per la promozione, diffusione, sperimentazione di una cultura della valutazione delle politiche pubbliche.
Le politiche pubbliche sono campi di azione e riflessione in cui le scelte parlamentari trovano (o dovrebbero trovare) attuazione. Riguardano tutti i settori della vita democratica: la sanità, le tutele sociali, la qualità della vita, l’istruzione, la ricerca, gli investimenti in grandi infrastrutture. Le politiche pubbliche possono essere definite come realtà multi-attoriali: politici nazionali, regionali, locali, differenti burocrazie, esperti: i cittadini e le loro diverse tipologie di aggregazioni sono tutti coinvolti nelle politiche pubbliche. Le politiche pubbliche sono inoltre delle realtà multi fase: la fase della scelta eminentemente politica relativa al Che fare?, a cui seguono quelle della programmazione degli interventi, della loro progettazione, della successiva realizzazione ed implementazione ed infine la fase purtroppo fino ad oggi in Italia ampiamente negletta della valutazione.
Opportunamente, il Senato della Repubblica ha deciso di creare all’interno dell’amministrazione una struttura dedicata alla valutazione delle politiche pubbliche, una realtà articolata e un vero e proprio think-tank, riprendendo un punto qualificante presente nella recente legge di riforma costituzionale respinta dal referendum del dicembre 2016, dedicato proprio alla necessità di valutare le politiche pubbliche. Nel testo si prevedeva che al Senato nascesse l’Osservatorio sulle politiche pubbliche e, nel caso la legge fosse passata, a Palazzo Madama si era da tempo cominciato a lavorare per essere pronti.
La constatazione da cui l’amministrazione ha preso le mosse è stata che fosse necessario fornire una base di partenza – per quanto possibile imparziale – per valutare se le centinaia di leggi che si fanno ogni anno in Italia funzionano, per comprendere che tipo di impatto producono su popolazione e territorio. L’osservatorio “Valutazione di impatto delle politiche pubbliche” è consultabile sul sito internet di Palazzo Madama: al momento vengono monitorati 10 temi, tra cui le province, le aliquote marginali e le politiche contro il sovraffollamento carcerario. Diverse realtà istituzionali come l’Asvap, l’Irvap e l’Università di Cà Foscari si sono prestate a partecipare a questo processo di valutazione.
Un punto qualificante di questa decisione è quello di rendere fruibile ai cittadini la consultazione dei singoli dossier online. Oggi infatti mentre i cittadini chiedono maggiori spazi partecipativi, aumenta il divario rispetto alla classe politica.
Segnaliamo altre due coincidenze temporali: oltre all’Ufficio del Senato, meritano attenzione le Linee guida sulle consultazioni pubbliche, emanate dalla Ministra Madia e pubblicate nella Gazzetta ufficiale del 14 luglio 2017: si propongono dei principi guida per disegnare i processi di consultazione dei cittadini e per valutarli.
In ultimo, va ricordato anche il decreto ministeriale all’esame del Parlamento recante individuazione degli indicatori di benessere equo e sostenibile.
Una recente evoluzione teorica che ben si accompagna a queste evoluzioni istituzionali è il fiorire di studi e confronti teorici in tema di democrazia deliberativa, impresa che coinvolge da tempo filosofi della politica e del diritto come Ackerman, Habermas, Mansbridge e Rawls, e che si pone l’obiettivo di studiare forme inclusive di deliberazione volte a coinvolgere nelle decisioni anche i gruppi sociali che per vari motivi non sono propensi a partecipare. Recentemente Antonio Floridia nel suo Una idea deliberativa della democrazia (Il Mulino 2017) ha offerto una ricostruzione critica e approfondita della storia dell’idea di democrazia deliberativa, dalle prime formulazioni fino all’analisi delle diverse modalità con le quali Rawls e Habermas hanno elaborato le basi teoriche e filosofiche di questa concezione della democrazia.
La democrazia deliberativa è contigua, ma distinta (ed a volte distante) dalla democrazia partecipativa. La democrazia partecipativa in genere si limita a mobilitare chi parteciperebbe comunque spontaneamente alle decisioni, non di ampliare lo spettro dei partecipanti. Accanto alla democrazia partecipativa, ha acquisito recentemente rilevanza, soprattutto presso la comunità degli scienziati politici, un’ulteriore proposta di riforma della prassi rappresentativa: si tratta della democrazia deliberativa.
Punto qualificante della valutazione delle politiche pubbliche è l’analisi controfattuale, che avviene riprendendo un tema che a partire da David Lewis è diventato uno dei riferimenti della metafisica analitica contemporanea. Il controfattuale – come recentemente sostenuto da Alberto Martini, docente di valutazione delle politiche pubbliche – è ciò che sarebbe successo se un intervento non fosse stato attuato. E’ quindi non osservabile per definizione, e richiede la scelta di una strategia di identificazione, una capacità di immaginare scenari alternativi in cui il coinvolgimento di più punti di vista è ancora più necessario che nella teoria repubblicana della democrazia.
L’effetto di un intervento è la differenza tra cosa è successo e il controfattuale, cioè cosa sarebbe successo agli stessi individui se l’intervento non fosse stato attuato. La deliberazione pubblica ha una dimensione cognitiva che è connessa alla ricerca del modo migliore di dare risposta alle questioni pubbliche, modo che trova attuazione nel confronto discorsivo di argomenti plurali, il quale dà luogo ad un accordo razionalmente motivato.
Siamo di fronte ad un modello che è il frutto di un complesso dibattito, ormai più che decennale, che annovera voci di studiosi afferenti a differenti discipline (dalla filosofia politica, alla sociologia, fino alla scienza politica); il risultato è, pertanto, un corpus teorico altamente variegato e complesso, non esente, peraltro, da contraddizioni interne, per il quale risulta, quindi, opportuno un lavoro finalizzato a rintracciarne filo conduttore e linee comuni su ciò che viene inteso come democrazia deliberativa.
Nel pensiero di Habermas la democrazia deliberativa è in grado di costruire una politica ed una società che non siano basate sul compromesso ma sul consenso, inteso come accordo ottenuto secondo i procedimenti dell’argomentazione razionale intorno a un interesse comune che non è legato alla particolarità degli interessi privati.
La democrazia deliberativa ha la prospettiva di creare uno spazio pubblico realmente adatto all’espressione della libertà degli individui e della loro diversità di interessi privati, in conformità a norme e procedure che portino ad un consenso razionale di tutti i suoi partecipanti, ritenuti uguali in diritto e capaci di autogestirsi autonomamente.
Rawls considera la democrazia deliberativa come una democrazia costituzionale bene ordinata e ne afferma la necessità, soprattutto in relazione al fatto che “in mancanza di un pubblico informato sui problemi più urgenti, prendere decisioni politiche e sociali importanti è semplicemente impossibile” (J. Rawls, Liberalismo politico). Egli auspica quindi che le discussioni pubbliche che coinvolgono i cittadini siano rese possibili dalle istituzioni e riconosciute come una caratteristica di base delle democrazie. La deliberazione presenta aspetti problematici (autoselezione, prevalenza di chi ha interessi e preferenze definite) ma rappresenta una delle forme più innovative per riconnettere i cittadini alla politica. Deliberazione infatti non vuol dire, come comunemente si intende, decisione, ma indica la fase della discussione che precede la decisione.
Ci sembra questo un tempo propizio per investire cuore e impegno intellettuale, da credenti, sul tema della valutazione delle politiche pubbliche.
La teoria della democrazia deliberativa che supportiamo e stiamo indagando si oppone alle visioni plebiscitarie e tecnocratiche della democrazia, ma anche alle ricorrenti illusioni su un possibile ritorno alla democrazia diretta di impronta rousseauiana.
La qualità di una democrazia si fonda infatti sulla possibilità che i cittadini si formino un giudizio riflessivo, ponderato e informato, e che questo avvenga attraverso un dialogo pubblico. Non basta assecondare come fa oggi il nuovo populismo “quel che dice o vuole la gente”, magari inseguendo le ondate pulsionali diffuse sulla rete o dalla rete stessa: occorre che ciò che i cittadini vogliono sia il frutto anche di una trasformazione riflessiva delle loro opinioni immediate.
Nel medioevo, i cattolici elaboravano Quaestiones, oggi potrebbero elaborare nuove forme di Questionari, intesi non come meri strumenti sondaggistici ma al contrario come schemi concettuali, articolati, comprensivi di più approcci per la valutazione delle politiche pubbliche. A partire dalla vita quotidiana, seguendo i principi della Dottrina sociale della Chiesa che per prima ha teorizzato la sussidiarietà come strumento di sviluppo imperniato sulla prossimità alla concretezza ontologica e geografica: quindi nelle proprie concrete realtà di impegno e di vita sociale, nella propria organizzazione lavorativa, nel comune, a scuola, nel quartiere.