Una prima difficoltà, è quella che nasce dal testo incardinato, che ha la chiara intenzione di istituire un matrimonio tra le persone dello stesso sesso. Sta qui il primo equivoco che disorienta anche l’opinione pubblica che, in larga misura, può essere propensa a riconoscere che queste unioni vanno normate, precisandone diritti e doveri, ma che non condivide che le si riconosca come un simil matrimonio.
Di qui nascono anche le difficoltà di emendare il testo che in più parti andrebbe riscritto. Questa ambiguità alimenta nel dibattito la sensazione che chi non vuole l’estensione del matrimonio a coppie dello stesso sesso, sarebbe contrario ai diritti delle persone e a quelli dei minori. Sta qui il passaggio ideologico con cui si è cercato di forzare una scelta provando a mettere in cattiva luce chi ritiene opportuno riconoscere i diritti ma giudica negativamente la creazione di un nuovo status cui si attribuisca lo stesso valore del matrimonio introducendo così un concetto "plurale" di famiglia, oggi minoritario nella società italiana, e indebolendo nei fatti la realtà definita dall’art. 29 della Costituzione come “società naturale fondata sul matrimonio”. Pur ammettendo che l’evoluzione della società può portare a rivedere istituti e forme giuridiche, resta il fatto che il disegno di legge, in maniera surrettizia, ha cercato di introdurre, cavalcando il tema dei diritti, un nuovo istituto. E allo stesso modo apre la strada a forme di adozione che di fatto possono facilmente aggirare anche il divieto posto dalla legge 40 per la pratica del cosiddetto “utero in affitto”.
Il lavoro di mediazione svolto in queste settimane e, in qualche misura ancora in corso, ha in parte corretto alcune storture evidenti del testo, anche se molto di più si poteva fare se si fosse accettato di riscrivere alcuni articoli; proprio nell’interesse dei soggetti più deboli.
In commissione giustizia del Senato, dopo un lungo confronto, si è deciso di inserire nel primo articolo la dizione che l’unione civile tra le persone dello stesso sesso viene istituita quale specifica formazione sociale. Questa formula dovrebbe manifestare l’intenzione di adeguarsi alla impostazione della Corte costituzionale, che nella sentenza del 2010 ha richiesto una disciplina dell’unione tra persone dello stesso sesso (come formazione sociale rientrante nell’ambito del art 2 Cost.), senza che questo comporti di omologarle al matrimonio considerato nell’art. 29 della Cost., al quale non possono essere equiparate.
In questi ultimi giorni, in più modi, si è operato per assicurare coerenza logica e normativa a tale opzione concepita allo scopo di marcare la differenza rispetto alla famiglia naturale fondata sul matrimonio. Il principio di uguaglianza infatti non viene messo in difficoltà dal fatto che vi siano delle differenze. Anche per questo, per realizzare pienamente la mediazione sul testo di legge si è chiesto di riformulare in modo giuridicamente coerente gli art. 2,3 e 4 evitando i rimandi pedissequi alle norme del codice civile del matrimonio ed elencando espressamente i diritti e i doveri attribuiti. Verrebbero in questo modo evitate contraddizioni e ambiguità che sono presenti nel disegno di legge.
Una riflessione a sè merita l’art. 5 che introduce la cosiddetta stepchild adoption, qui la richiesta è che sia stralciato e rinviato ad una riforma organica degli istituti paragenitoriali, ovvero sostituito con soluzioni normative che, nel garantire piena tutela ai diritti dei minori, evitino di legittimare o incentivare comportamenti gravemente antigiuridici.
Quanto qui richiamato costituisce la base di una possibile mediazione, di un equilibrato punto di incontro tra convinzioni distanti tra loro, per riconoscere determinati diritti senza rischiare di mettere in difficoltà i diritti della famiglia come "società naturale" prevista e tutelata dalla nostra Costituzione, affrontando in tal modo anche un problema politico e una delicata questione di coscienza.
Molti aspetti del testo presentano profili problematici che, se si fosse svolto un sereno dibattito prima della formulazione del testo, potevano essere evitati. A questo punto è necessario emendare il disegno di legge con l’intento di migliorare comunque il testo, riservandosi poi una valutazione, per il voto finale, in base al risultato del lavoro emendativo, si dovrà puntare su alcune priorità. Va in ogni caso escluso che il diritto dei soggetti forti delle convivenze possa rivelarsi prevalente nei confronti dei diritti dei soggetti deboli. Qui i termini forte e debole fanno riferimento alla capacità giuridica di autodeterminazione, che la legge non riconosce ai minorenni, i quali proprio per questo vengono affidati alla tutela degli adulti. Questo principio della tutela implica che il diritto del tutelato venga a costituire il fulcro della relazione e non possa esser piegato alle esigenze dei tutelanti; i quali incontrano un limite invalicabile all’esercizio dei loro diritti proprio nella priorità riconosciuta al soggetto debole e pertanto da tutelare.
Questo argomento é di fondamentale importanza, ad esempio, nella questione relativa al diritto delle coppie omosessuali di adottare dei bambini. Ad ostacolare questa richiesta è infatti non una eventuale incapacità educativa della coppia, ma il diritto del bambino ad avere un contesto relazionale di crescita completo, dove il contributo pluriforme e complementare delle differenti identità sessuali dei genitori/adottanti costituisce motivo di un equilibrato ed armonico processo di conquista di sé da parte del minore. La sessualità maschile e femminile infatti non costituisce una sorta di veste esteriore da indossare a piacere, ma indica un modo complessivo di relazione alla vita e di comprensione di sé. E solo il contributo di sessualità differenti può arricchire la personalità in formazione del bambino. Quanto detto costituisce solo uno dei temi su cui sarebbe stato necessario approfondire, con la serenità e la competenza necessari, senza la fretta messa in nome di un ritardo ultraventennale che non può comunque essere un buon motivo per mettere in votazione un brutto testo. Il dibattito e l’approfondimento sarebbero stati necessari anche per favorire una maggiore conoscenza del tema, il che avrebbe sconsigliato un approccio ideologico per un verso ed emotivo e esperienziale per l’altro.
In questo senso il problema non è solo politico ma culturale. E riguarda anche noi. Se ci fermiamo a considerare il panorama del mondo cattolico italiano, le posizioni emerse su questo argomento, dobbiamo registrare con realismo lacune formative all’interno delle stesse associazioni, tra gli operatori pastorali, i catechisti, ecc. Non mi riferisco evidentemente alle soluzioni legislative che hanno sempre un margine di opinabilità e possono registrare legittime differenze, penso invece alla visione di fondo, ai principi, ai valori, alla visione culturale. Si avverte una debolezza diffusa, un disorientamento reso tale anche dalla latitanza preoccupante di istituzioni culturali di cui il cattolicesimo si è dotato e che oggi risultano assenti nel dibattito. Come si può pretendere che ci sia una presenza politica dei cattolici, una presenza di cultura politica nelle nuove forme possibili, se non viene accompagnata e sostenuta da una adeguata elaborazione dalla condivisione di alcune linee fondamentali che raggiungano…almeno la parte più impegnata del popolo di Dio?
Al disorientamento ha contribuito anche il dirigismo esercitato negli anni passati da parte della gerarchia ecclesiastica sui temi etici e sulle stesse scelte politiche, con i risultati che ora vediamo. Non sarebbe stato forse meglio evitare la mobilitazione nel 2007 contro i cosiddetti “DICO” che si limitavano a riconoscere i diritti individuali su un piano privatistico? In ogni caso la debolezza di quelle strategie sta nel disorientamento formativo, nell’incapacità di alimentare una cultura popolare cristianamente ispirata, nonostante una strategia che ha blindato istituzioni e associazioni cooptandovi persone di fiducia. Oggi se ne raccolgono i risultati, evidenti nei segnali di difficoltà che si registrano nel cattolicesimo italiano che si avvia a scrivere una nuova pagina secondo le prospettive aperte da questo pontificato. Pur apprezzando le tante e buone prese di posizioni dell’associazionismo cattolico che ha espresso correttamente le sue attese e le sue critiche verso la legge in discussione, si registrano tensioni e divaricazioni e una difficoltà di trovare spontaneamente un orientamento comune. Anche questo indebolisce la politica e la presenza dei credenti in un contesto e in soggetti partitici plurali.
Infine un ultimo aspetto. È evidente che dietro il confronto sul tema, dietro agli sforzi di mediazione sul testo, per il PD – partito che ha proposto la legge – si pone anche un problema politico: è in grado di mostrarsi come partito plurale così com’era nel progetto iniziale, dove culture diverse si incontravano e, più ancora, lavoravano intorno ad una sintesi adeguata a questo tempo, a questa società? Il progetto iniziale del PD rappresentava proprio questo: il superamento di forme identitarie, evitando di saldare solo gruppi dirigenti, per costruire un soggetto nuovo capace di raccogliere un consenso ampio. Anche per questo il PD pochi anni fa aveva messa a punto un documento attraverso un Gruppo di lavoro sui diritti. Un lavoro lodevole, oggi lettera morta.
Dobbiamo constatare che la fase attuale registra più molteplici difficoltà che rendono ancora più difficile la possibilità di una elaborazione condivisa, la costruzione di una società plurale. Il presente disegno di legge ne è un esempio. Di qui dobbiamo ripartire facendo ciascuno la sua parte, la società e le associazioni manifestando in positivo un pensiero e testimoniando un valore, i parlamentari ascoltando il Paese ivi comprese le piazze, tutti nel maturare uno stile di rispetto e di ascolto che eviti gli approvi superficiali e le forzature.