Si è ormai concluso l’iter della finanziaria per il nuovo anno. Urli e strepiti hanno offuscato una riflessione ponderata della legge di bilancio 2019, ma ora che le acque si sono calmate possiamo azzardare anche noi qualche analisi un po’ più ardita di quanto abbiamo sentito. La Finanziaria è stata scritta a Roma, ma non è stata approvata a Bruxelles, bensì dalle Cancellerie europee e questo spiega il ritardo con cui è stata varata…

Si è ormai concluso l’iter della finanziaria per il nuovo anno. Urli e strepiti hanno offuscato una riflessione ponderata della legge di bilancio 2019, ma ora che le acque si sono calmate possiamo azzardare anche noi qualche analisi un po’ più ardita di quanto abbiamo sentito.

La Finanziaria è stata scritta a Roma, ma non è stata approvata a Bruxelles, bensì dalle Cancellerie europee e questo spiega il ritardo con cui è stata varata. Si iniettano soldi con scarse contropartite negli strati sociali marginali attraverso il reddito di cittadinanza, e si permette ai 62enni di andare in pensione con 38 anni di contribuzione; non è vero che questi lasceranno il posto di lavoro ai giovani perché saranno rimpiazzati da un aumento di tecnologia. Poi c’è uno sgravio fiscale per i ceti medi produttivi: uno sgravio teorico, perché qui si annida il grosso dell’evasione fiscale: in sostanza hanno legalizzato l’evasione, al contempo un aggravio per le grandi imprese come banche, assicurazioni e grandi gruppi.

Dal punto di vista politico questo governo merita un bel 10, perché finalmente ha capito che la globalizzazione porta insicurezza e la trasformazione del tessuto sociale genera timore per il futuro; dunque occorrono misure per tranquillizzare una società pervasa dal panico, vero o soprattutto indotto, che sia.
In breve questo governo ha detto agli italiani quello che loro stessi volevano sentirsi dire. Dal punto di vista economico le cose sono un po’ più complicate.

Il via libera a un deficit teorico del 2,04 lo hanno dato soprattutto le Cancellerie europee e fatto ingoiare a Moscovici; infatti agli altri Stati europei fa comodo un’Italia in difficoltà finanziaria e non competitiva sui mercati internazionali. Il 2,04 di deficit garantisce il non intervento della “Troika”, cioè il fallimento dello Stato italiano, ma allo stesso tempo inibisce lo sviluppo e la competitività del nostro Paese. “Cui prodest” tutto questo? A Moscovici o alla Merkel e a Macron?

Ma c’è un altro aspetto più preoccupante. Le nuove imposte gravano, come si è detto, soprattutto su banche, assicurazioni e giganti del Web: tutte aziende che sono in grado di scaricare quei costi sulla propria clientela, cioè quel ceto medio produttivo a cui si è fatto finta di concedere gli sgravi fiscali con la “flat Tax”. Appena questi se ne accorgeranno, saranno costretti ad aumentare i prezzi per mantenere gli stessi margini di profitto e a questo punto succederanno due fenomeni distinti. Chi esporta non potrà aumentare i prezzi perché soggetto alla concorrenza internazionale; chi invece ha un mercato interno potrà aumentare i prezzi, ma a quel punto si innescherà un aumento dell’inflazione (tra lo 0,5 e 1%) tutto italiano, che ricadrà anche sulle ditte esportatrici oltre che, ovviamente, su tutti i cittadini.

Il risultato: un aumento del sistema dei prezzi sugli altri paesi europei nostri competitor e quindi una diminuzione di competitività delle nostre imprese. E’ esattamente ciò che volevano Berlino, Parigi e anche Madrid perché negli anni passati c’era un differenziale di inflazione a nostro favore rispetto agli altri Paesi europei, che significava che guadagnavamo margini di competizione rispetto a loro.
La conseguenza di tutto questo meccanismo sarà che per i primi 9/12 mesi di questo anno si avrà un aumento del Pil causato da una inflazione strisciante.

Presumibilmente tra la fine del 2019 e inizio del 2020 si avrà una contrazione dell’economia reale a causa della diminuzione delle esportazioni e una parallela contrazione della domanda interna per i timori, che a quel tempo si faranno pressanti, per l’incombente aumento dell’Iva al 25%, e si avrà l’innesco di una recessione molto pericolosa: la terza in 12 anni. Già adesso l’indice PMI sta sotto quota 50, che significa che le aspettative delle imprese sono nere.

Da tener presente che ogni anno che passa si aggraveranno due fenomeni già in essere ma ancora mascherati: la diminuzione della massa monetaria immessa sul mercato dalle pensioni per effetto del calcolo contributivo con una diminuzione complessiva di circa 30 miliardi della massa pensionistica rispetto al 2014; la chiusura di molti esercizi commerciali e artigiani, i primi per la concorrenza degli acquisti sul web che cresce a cifra doppia ogni anno sottraendo incassi consistenti al commercio tradizionale,  i secondi per la mancanza di tourn over che già in 10 anni ha falcidiano il 14% delle aziende artigiane.

Nonostante il blocco degli sbarchi, il senso di insicurezza degli italiani non si placherà, perché non è causato dagli immigrati, come ci hanno fatto credere, ma dal velocissimo mutare del processo produttivo che sostituisce mano d’opera con tecnologia. Gli Enti locali e le Regioni che si sono viste tagliare ulteriori trasferimenti, aumenteranno le addizionali loro concesse da questa finanziaria con il risultato di una nuova frenata dell’economia; invece si sarebbe dovuti procedere verso una razionalizzazione delle spese dello Stato ma l’assunzione di 12.000 bidelli o l’ennesimo salvataggio di Alitalia costituiscono il paradigma di questa politica.

Dal punto di vista politico questa situazione è assai probabile che si traduca in un 2019 con le forze di governo sugli scudi, e un 2020 con una crisi reale che falcidierà molti consensi. Questo è stato il meccanismo che ha indotto le Cancellerie europee a dare il via libero a questa manovra consapevoli che dopo qualche mese di “euforia” si passerà ad una nuova crisi economica che avvantaggerà le economie degli altri Stati europei nostri competitor.

Salvini ha capito benissimo che cosa sottende questa finanziaria, forse qualcuno lo ha spiegato anche a Di Maio, ma ormai non si poteva più tirare indietro dopo la sceneggiata sul balcone di Palazzo Chigi. Da questi presupposti dipende la durata di questo governo e c’è da scommettere che al primo “stormir di foglie” di recessione, questa maggioranza cadrà.

Certo, è vero che no sappiamo molto del futuro e che le nostre sono solo supposizioni. Questo modello ha molte variabili al momento imponderabili: non sappiamo che sviluppi avrà la guerra dei dazi, non conosciamo l’esito della fine del quantitative wasing né della hard Brexit, però basterà attendere qualche mese. Poi potremmo constatare con mano.

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