Proprio ieri, per non andare ad altre innumerevoli volte, nella stesura di un saggio, riflettevo e citavo due suoi libri, il più famoso del 1961 (l’Eclissi del sacro nella società industriale, Edizioni di Comunità), un altro del 1983 (In principio era il corpo, Borla) e un articolo del 1995, pubblicato su ADISTA (il Fattore C. Un Paese. Una Chiesa) nel quale, partendo da una ricerca, definiva il pellegrinaggio, in maniera originale, come solo lui sapeva fare, un fenomeno di nature misticism. Ma non posso non ricordare un altro libro del 2010 (Morire. Una rivolta ideale, Edizioni Gabrielli), nel quale rifletteva sulla significato del morire e per cosa desideriamo essere ricordati. L’Autore non proponeva ricette etiche sebbene il testo sia “etico”, perché richiama al Senso di una direzione, che l’uomo moderno dimentica di cercare e raggiungere. La fine, verso cui si tende, non è solo l’Eterno, ma la Gratitudine nei confronti della vita.
Sicuramente in questi giorni e nelle prossime, altri, molto più qualificati e competenti, i suoi allievi diretti, scriveranno con maggiore dettagli di lui ma, in questa circostanza, mi piace riflettere sul mio incontro con un “intellettuale autentico” quale era Sabino Acquaviva.
Negli anni settanta in cui insegnava a Padova (dove è stato anche Preside della Facoltà di Scienze Politiche), Sabino Acquaviva teneva anche un corso a Roma, per i borsisti della Scuola di Specializzazione in Scienze economico-sociali, patrocinata dal FORMEZ presso l’Istituto L. Sturzo di Roma, dove ero borsista anch’io tra i per giovani laureati del Meridione.
Conservo ancora gli appunti che ho preso durante le sue lezioni e ricordo perfettamente le discussioni con noi giovani borsisti sui temi della sociologia a tutto campo (ma in particolare “religiosa”, come si diceva in quegli anni, quella che sarà chiamata la sociologia della religione, tema che allora osservavo con distacco). Non era l’unico sociologo tra i docenti (ce n’erano altri illustri e significativi, A. Ardigò, F. Caffè, F. Barbano), ma certamente egli era il più comunicavo, il più originale, il più ironico e spiazzante, un professore atipico, per quegli anni, attento alle “giovani menti”, preoccupato del loro futuro e attento a loro.
Max Weber e la teoria del potere, la leadership, la sociologia della religione, la teoria del “disincanto” e del mutamento della religione in una società moderna dominata dalla ragione, la secolarizzazione…… sono stati gli argomenti di accesi dibattiti che ci hanno affascinato in quegli anni. In particolare per me sono stati significativi i temi e le discussioni sulla partecipazione, sulla democrazia e sul potere (la socializzazione del potere), che erano gli ambiti della mia ricerca e che lo sono stati ancora per molti anni. Soprattutto sul tema della partecipazione applicata a tutti gli ambiti della società, istituzioni educative, politiche, partitiche e corpi intermedi.
Ricordo che mi mise in serie difficoltà, per le scelta di vita che avrebbe comportato, quando mi propose, forse provocatoriamente, di andare a Padova, per proseguire le mie ricerche e approfondire queste tematiche con altri giovani della sua Facoltà, in seguito alle mie ripetute critiche per la mancanza di strumenti adeguati per poterlo fare a Roma, sia all’ Istituto Sturzo che al FORMEZ. Negli anni successivi, in periodi grandi difficoltà accademiche, ho sempre avuto il rimpianto di non avere accettato la sua proposta.
Era la prima volta che, in quegli anni, sentivo parlare dello studio della religione e del sacro con un approccio scientifico e sociologico. Nelle sue lezioni, nelle quali si sentiva il respiro internazionale, parlava con familiarità anche autori stranieri, soprattutto statunitensi (oggi si ritiene che la dimensione internazionale nell’Università non sia mai esistita!!!!! È un’invenzione di oggi!!!). Insomma, i metodi della sociologia, anche i più innovativi, tramite la raccolta delle risposte a questionari, attraverso “schede cartacee”, i cui dati venivano inseriti in un computer grande quanto una stanza, venivano applicati al fenomeno religioso (!!!).
Si ragionava molto sulla crisi del sacro in quegli anni, mentre altri studiosi, sulla scia della teoria del “disincanto” del mondo weberiano e della Scuola di Francoforte, discutevano sulla “morte di Dio”, la sua definizione di eclissi del sacro non era certo paragonabile alla “fine della religione”. Ma si sa in quegli anni tutti parlavano della “morte di Dio” e cantavano “Dio è Morto”. Il mutamento culturale e sociale esigeva una mutazione anche nella religione e ciò avrebbe portato ad una crisi temporanea (appunto ecclissi), una trasformazione. Non a caso, infatti il sottotitolo del testo di sabino Acquaviva recita: Una teoria del movimento generale di dissacrazione e una sintesi della pratica religiosa nel mondo. Ancora oggi alcuni studiosi attribuiscono, in maniera superficiale, la fine della religione al sociologo padovano. Questa interpretazione non corrispondeva al suo pensiero; ne era infastidito lui stesso. Più volte ha precisato questo concetto, sempre con mite ironia e un sorriso, sia in convegni che in qualche suo articolo.
Sono trascorsi molti anni da allora e non sono mancate le occasioni d’incontro, casuali. Interessi, passioni, scelte professionali e accademiche sono cambiati. I percorsi di vita, com’è noto, per ciascuno di noi, sono tortuosi, non lineari, con fughe in avanti e ritorni indietro, ma, se devo citare un “buon” maestro, che ho più volte ricordato negli anni successivi e ancora oggi, il mio pensiero va agli anni delle origini, nei quali tutto è iniziato. Tutto il resto è storia recente e, tutto sommato, più banale e prosaica.