Se il risparmio privato non trova una remunerazione certa, l’economia non riparte e con essa il lavoro. Due piccole proposte potrebbero aiutare…

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Spesso sono più importanti le domande delle risposte perché se non ci poniamo la domanda giusta non saremo mai in grado di dare la risposta giusta. Le generazioni “mature” si sono costituite delle riserve che dicono voler lasciare ai figli, ma in realtà servono per ogni evenienza della loro (nostra) vecchiaia. Tale riserve sono costituite da depositi bancari, investimenti in titoli e soprattutto da immobili. Il problema che devono affrontare è la rapida e a volte simultanea perdita di valore di tutti gli investimenti che faticosamente avevano accumulato in una vita. Vedendo le immagini dei possessori di titoli subordinati di Banca Etruria, si ha una percezione netta di questo stato di cose: età media sopra i 65 anni, anziani segnati dal lavoro, ben vestiti ma dagli sguardi allibiti perchè la loro assicurazione per la vecchiaia si è volatilizzata in 24 ore.

I proprietari di immobili si vedono decurtare il valore delle abitazioni di giorno in giorno, con una Imu sempre più gravosa da pagare e la seconda o terza casa sfitta che sta diventando un peso per la loro economia domestica.
I “Bot people” ormai non esistono più e sono solo un ricordo degli anni ’80. In banca i tassi effettivi, tra spese e commissioni, sono decisamente negativi, per cui su 100 lire depositate a malapena se ne riprende 97 a fine anno; nel giro di 10 anni il capitale è dimezzato. La Borsa, dall’inizio anno, ha perso il 28% medio e non c’è alcun titolo che dia le garanzie sufficienti al mantenimento del capitale; senza parlare dei titoli bancari sottoposti a decurtazioni ancora maggiori.

Dunque, una domanda turba le notti di milioni di italiani: come poter tutelare una riserva di capitale?
Troppo in là con gli anni per attivare una start up, in balia di pescecani finanziari, sfiduciati per le notizie che sentono in Tv, tassazione crescente con oneri e balzelli sul mattone, quote crescenti di ceto medio sono alla ricerca disperata di dove mettere il proprio capitale.

Pulcinella scherzando si confessava e Giannelli sul Corriere disegnava la vignetta di un marito che nasconde i soldi sotto il materasso; tentazione sempre più forte per tutti coloro che hanno superato i 40 anni di età.

In poco tempo le certezze di una vita crollano: il mattone è diventato un peso, la banca infida, le obbligazioni da fuggire, il clima generale insicuro e a volte pericoloso; non rimane che il materasso. Qui sta il punto nodale di un ceto medio sempre più confuso disposto a credere a tutte le sirene della politica che assicurano stabilità e sicurezza. Qui sta il punto nodale della ripresa economica.

Semplicemente non ci sono prospettive di investimento, il signor Mario Rossi non sa più come preservare la propria ricchezza e tiene i soldi sotto il materasso in attesa di tempi migliori. La politica non sa più che pesci prendere perché ha in mente solo interventi di tipo Keynesiano: opere pubbliche a debito nella speranza che immettendo soldi nel sistema si possa riattivare il circolo virtuoso di crescita economica. Purtroppo la ricetta Keynesiana non funziona più: l’economia non riparte, i debiti della pubblica amministrazione crescono e i soldi finiscono per essere tesaurizzati nell’unica forma che almeno mantiene il suo valore nominale: il materasso, o la sua versione moderna: la cassetta di sicurezza.

Dunque il problema è radicalmente diverso: non si tratta più di immettere soldi nel sistema economico nella speranza che questi vengano spesi, ma di farli uscire da dove sono; infatti sarebbe sufficiente garantire un rendimento all’investimento di capitale sotto qualsiasi forma, sia esso di natura monetaria o immobiliare. Milioni di piccoli risparmiatori e proprietari sarebbero fortemente invogliati a togliere i soldi dal materasso e a rimodernare i propri edifici solo perché vedrebbero in questo la salvaguardia del loro capitale.

Uno strumento importante potrebbe essere l’emissione di obbligazioni (anche convertibili) a tasso fisso finalizzate a progetti piccoli ma visibili, concreti e costantemente verificabili da chi ha investito. In questo schema permane ancora un residuo Keynesiano di intervento pubblico ma ha un valore completamente diverso: il pubblico ha soltanto una funzione di stimolo, organizzare e regolare, senza che debba finanziare alcun progetto; una funzione molto più simile ad una società di “Engineering” che a un controllo passivo delle carte.

E’ ovvio che questo tipo di attività, che prevede la partecipazione ad un tavolo a tre gambe composto da pubblico, privato e investitori, debba essere regolamentata in modo molto diverso da una normale società privata e preveda, ad esempio, la presenza di una rappresentanza degli obbligazionisti in Consiglio di Amministrazione.

Vediamo adesso di definire meglio i compiti e le funzioni. La parte pubblica si assume il compito di individuare i progetti di interesse e di curare e garantire tutte le autorizzazioni del caso in modo che non ci siano intoppi procedurali (un progetto pronto a partire), nonché di fornire un quadro normativo e procedurale. Il privato presenta i progetti tecnici, economici e finanziari necessari alla realizzazione dell’opera, alla sua gestione e al ripianamento dei debiti.

Gli investitori, valutato il progetto, sottoscrivono obbligazioni in favore della società che avrà l’onere della realizzazione dell’opera e la sua gestione. In questa sede non ci possiamo dilungare molto sull’esemplificazione degli interventi (parcheggi, campi eolici, centrali idroelettriche, impianti sportivi ecc); resta comunque il fatto che obbiettivo primario è rendere remunerativo il risparmio accumulato indicando anche concretamente le possibilità di tale intervento; il resto viene da sé.

Un’altra piccola proposta è quella di intervenire su di una maggiore efficienza energetica degli edifici abbattendo l’Imu di competenza comunale in caso di interventi, ma anche qui con progetti concordati, in modo che il proprietario abbia chiaro in partenza l’utile che gli potrebbe ritornare dagli investimenti.

Capisco la difficoltà principale di tali proposte: una Pubblica Amministrazione non abituata a pensare e gestire gare così complesse e diverse dalla semplice routine della garetta di appalto. Va tenuto conto però che gli investimenti per la realizzazione delle opere non sarebbero a carico dei bilanci pubblici e quindi non graverebbero sul debito pubblico.

Non abbiamo scelta: la “macchina” dell’economia si rimetterà in moto solo facendo sbucare da sotto i letti i miliardi di euro tenuti nascosti in attesa di tempi migliori. L’uscita dallo stato di incertezza dei risparmiatori inietterà nel sistema massicce dosi di fiducia per il futuro e sarà di per sé un ulteriore stimolo all’economia nel suo complesso. A sua volta questa si rifletterà sul piano politico e sottrarrà alle sirene del catastrofismo larghi strati di elettori.

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