Talvolta la rete non è che il tragico rispecchiamento delle tensioni e delle frustrazioni che affliggono quotidianamente le persone. Esiste anche un modo di abitare la rete che favorisce la relazione, promuove conoscenza, sensibilizza le coscienze, stimola la creatività e la condivisione. Riconnettere il virtuale al reale è la grande sfida dell’educare in rete, dove quel che si dona non si vede, ma non per questo è meno reale.

"Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo". Così Malala, la ragazzina pakistana che i talebani hanno cercato di uccidere per impedirle di andare a scuola, il 13 luglio scorso, all’ONU, concludeva il suo discorso, che ho utilizzato per la mia prima lezione nelle diverse classi di secondaria in cui insegno.

Tutti sono rimasti colpiti dal coraggio di questa loro coetanea, dalla sua determinazione nel rivendicare un diritto allo studio che spesso da loro è invece vissuto come un peso. Pochissimi conoscevano la sua storia. Eppure la vicenda di Malala è corsa sul web, di post in tweet, io stessa l’ho pescata in rete prima che in altri canali informativi.

Ma è pur vero che una rete è fatta di fili e di nodi e il punto del collegamento è anche un punto di cesura, se, ad uno di questi nodi, prendi una direzione diversa, ti ritrovi in ask.fm, ad esempio, e lì le ragazzine dell’età di Malala non indossano nessun velo, – sono praticamente senza veli -, e non fanno discorsi, ma brevi frasi, in un gergo di allusioni, ammiccamenti ed emoticon, che sovente degenerano in volgarità.

Tramite web si sono organizzate mega rissefra bande rivali, e l’accanimento in rete contro compagni fatti bersaglio di insulti e minacce fino a indurli all’esasperazione e al suicidio ha un nome: cyberbullismo. Questi episodi ci colpiscono per la loro violenza e abnormità e ci mostrano il lato oscuro della rete, il suo potenziale distruttivo. Tuttavia a ben guardare non si tratta di “novità”: la rivalità tra bande risale all’età della pietra e con quelle veniva risolta; l’accanimento e lo scherno contro il più fragile e il diverso altro non è la vecchia dinamica delle galline che beccano a morte quella che zoppica.

Perciò mi chiedo se è proprio della rete che dobbiamo avere paura o piuttosto di un uso manipolatorio o semplicemente sconsiderato che se ne può fare. Forse il problema è che se uno entra nella rete da “gallina” questa può trasformarlo in “avvoltoio”, amplificando e potenziando la violenza del gesto e contemporaneamente affievolendo il senso di responsabilità personale, grazie all’anonimato o al sentirsi parte di una massa numerosa e indistinta.

Talvolta la rete non è che il tragico rispecchiamento delle tensioni e delle frustrazioni che affliggono quotidianamente le persone, ma esiste anche un modo di abitare la rete che favorisce la relazione, promuove conoscenza, sensibilizza le coscienze, stimola la creatività e la condivisione… Proprio la dinamica dello scambio gratuito che si esperimenta particolarmente nella rete, se portata a consapevolezza, può mettere in evidenza quella logica del dono che ci rende capaci di guardare il mondo non come un grande supermercato, ma come una casa comune, abitata da persone e non da meri utenti.

Scoprire che la persona è un dono, che noi stessi siamo un dono per l’altro, è la rivoluzione che abbatte i muri… e gli schermi. E ci fa prossimi. Riconnettere il “virtuale” al “reale” è la grande sfida dell’educare in rete, dove quel che si dona “non si vede”, ma non per questo è meno reale. In rete si donano gesti, parole e tempo che sono parte della nostra vita e che possono diventare “portatori di vita”.
Un bambino, un insegnante,un computer e un tablet possono cambiare il mondo”: Non potrebbe funzionare anche così?

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