Vorrei raggiungervi con questa riflessione che spero possa arricchire il bagaglio di ricercatori, practitioners (professionisti), appassionati di cultura.
La Sala Stampa della Santa Sede ha diffuso qualche tempo fa un comunicato che ruota su due termini: recognitio e confirmatio. Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e non vanno confuse.
Antefatto: Papa Francesco ha scritto un documento in cui attribuisce alle Conferenze episcopali nazionali (in Italia, esiste la Conferenza Episcopale Italiana) la prerogativa di tradurre le preghiere liturgiche (esempio, Credo o Padre Nostro) nel modo ritenuto più adeguato alla nazione di riferimento. La novità consiste in questo: sino ad ora, la Santa Sede (ed in particolar modo la Congregazione per il Culto) aveva il potere di recognitio preventiva, cioè di analizzare la traduzione dal latino alla nuova lingua parola per parola. Con l’atto di Papa Francesco, la Santa Sede avrà il potere di confirmatio, cioè di eventuale intervento, ex post, successivo alla traduzione a cura delle Conferenze Episcopali e solo se gli errori di traduzione saranno palesi, gravi, certi…
Dove sta l’interesse per i practitioners? Forse sta nel fatto che l’attuale Responsabile della Congregazione per il Culto, card. Sarah, abbia fatto circolare su Internet un suo commento in cui sosterrebbe che in realtà non cambierà nulla nei rapporti tra Santa Sede/Congregazione per il Culto divino e Conferenze Episcopali.
Saputo questo, Francesco ha scritto al Card. Sarah per segnalargli che “recognitio” e ” confirmatio” non sono proprio la stessa cosa, pregandolo di far circolare questa sua lettere negli stessi siti Internet dove il cardinale Sarah aveva scritto le sue interpretazioni “conservative” sul testo del Papa.
Soffermarci su due parole come recognitio e confirmatio può allora aiutare a riflettere anche su temi più generali come il legame tra unità (la Santa Sede, il Papa, Le congregazioni vaticane) e diversità (i singoli Vescovi, le singole Conferenze episcopali) oppure la distinzione che sempre esiste tra unità ed uniformità.
Papa Francesco vuole riattivare le energie del Concilio Vaticano II e pertanto sostiene la cosiddetta “ecclesiologia di comunione”, in cui, ad esempio, il Papa non è solo nella propria azione pastorale, ma è sempre in “comunione” con gli altri vescovi, con cui condivide la comune dignità di successori degli apostoli di Gesù.
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