Sono ovviamente tantissime le riflessioni che proprio questo riferimento richiederebbe. Meglio per me collocarmi nella prospettiva della esperienza personale.
Cosa è rimasto profondamente impresso nella memoria e nel cuore di papa Giovanni? Il volto sorridente, lo sguardo buono, il tono della voce, i gesti sorprendenti… la genuina umanità, l’immediata familiarità. Poi, certamente, ho letto e riletto i suoi scritti, i suoi discorsi, le valutazioni degli storici e dei teologi. E tutto mi ha portato a consolidare quella impressione profonda: papa Giovanni, il papa buono. Una espressione che certamente può suonare riduttiva, inadeguata; ma solo se rimaniamo prigionieri dell’equivoco che la bontà appartenga ai tratti caratteriali, alle forme esterne della relazione personale.
Lo scorso 3 giugno 2013, in occasione del 50° anniversario della morte di papa Giovanni, papa Francesco disse così ai pellegrini bergamaschi nella Basilica di San Pietro: “Angelo Roncalli era un uomo capace di trasmettere pace; una pace naturale, serena, cordiale; una pace che con la sua elezione al Pontificato si manifestò al mondo intero e ricevette il nome della bontà. E’ tanto bello trovare un sacerdote, un prete buono, con bontà. … Sant’Ignazio di Loyola, quando parlava delle qualità che deve avere un superiore, diceva: deve avere questo, questo, questo, questo … un elenco lungo di qualità. Ma alla fine dice questo: “E se non ha queste virtù, almeno che abbia molta bontà”. È l’essenziale. È un padre. Un prete con bontà.
I tratti buoni della straordinaria umanità di papa Giovanni non sono la graziosa confezione che avvolge il dono che lo Spirito ha fatto alla Chiesa donandolo come vescovo di Roma. Appartengono alla sostanza del dono: papa Giovanni è stato annunciatore e testimone straordinario “della tenerezza e misericordia del nostro Dio” (Lc 1,78), che ci ha visitato in Cristo Gesù. Siamo nella rigorosa logica della incarnazione; con tutta la sua persona papa Giovanni ha manifestato che Dio ama incondizionatamente questa umanità, bisognosa: “All’umanità travagliata da tante difficoltà essa […] dispensa i beni della grazia soprannaturale, […] apre le sorgenti della sua fecondissima dottrina, […] per mezzo dei suoi figli manifesta ovunque la grandezza della carità cristiana, di cui null’altro è più valido per estirpare i semi delle discordie, nulla più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l’unione fraterna di tutti" (Discorso di apertura del Concilio, n 8).
Nella stessa prospettiva ripenso alla straordinaria mole di immagini, gesti, parole forti che hanno segnato il pontificato di papa Wojtyla: il lungo periodo di ministero petrino, la sovrabbondante diffusione dei mezzi di comunicazione sociale, l’estensione territoriale dei luoghi toccati dalle sue visite pastorali hanno riempito un archivio impressionante. È impossibile dimenticare l’impatto emotivo del gesto della croce-pastorale impugnata nel solenne inizio del suo ministero, accompagnata dalle parole: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. E la galleria infinita degli incontri e degli abbracci ai giovani e alle giovani del mondo; davanti a loro anche il bastone di appoggio diventa un gioco scherzoso! I bambini presi in braccio… il perdono portato in carcere al suo attentatore, la forte esortazione ai mafiosi ad Agrigento, nella Valle dei templi: “Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”. L’abbraccio alla Croce nella celebrazione per chiedere perdono dei peccati della Chiesa, durante il giubileo del 2000… e la lunga sequenza di un corpo malato, sfinito, debole, che rappresenta al vivo “Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani … perché ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,23s).
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, veri annunciatori e testimoni del vangelo di Cristo alla maniera di Cristo, cioè con tutta la propria vita, con una umanità che diventa trasparenza, anzi presenza dell’amore e della vita di Dio, perché “il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me”.
Diversa per ciascuno la durata del ministero, ma entrambi hanno vissuto una lunga vita: forse anche per ricordarci che santi si diventa giorno dopo giorno, imparando ad essere docili alla discreta e potente guida dello Spirito, come ricordava ancora papa Francesco nel discorso del 3 giugno scorso: “E questo animo pacificato era stato frutto di un lungo e impegnativo lavoro su se stesso, lavoro di cui ci è rimasta abbondante traccia nel Giornale dell’Anima. Lì possiamo vedere il seminarista, il sacerdote, il vescovo Roncalli alle prese con il cammino di progressiva purificazione del cuore. Lo vediamo, giorno per giorno, attento a riconoscere e mortificare i desideri che provengono dal proprio egoismo, a discernere le ispirazioni del Signore, lasciandosi guidare da saggi direttori spirituali e ispirare da maestri come san Francesco di Sales e san Carlo Borromeo. Leggendo quegli scritti assistiamo veramente al prendere forma di un’anima, sotto l’azione dello Spirito Santo che opera nella sua Chiesa, nelle anime: è stato Lui precisamente che, con queste buone predisposizioni, gli ha pacificato l’anima”.
Prestiamo grande attenzione alla loro biografia; essa ci mostra come la vita di una persona prende progressivamente la “forma di Cristo”. E così, “considerando attentamente l’esito finale della loro vita” (Eb 13,7), possiamo con fiducia anche noi perseverare nel pellegrinaggio della fede.