I dati del rapporto annuale "Famiglie e Lavoro" realizzato da Italia Lavoro ci mostrano tutta l’urgenza di ripensare le politiche del lavoro anche in relazione al contesto familiare. Una scelta che rappresenterebbe un importante elemento di innovazione collocando il paese tra quelle realtà europee che da anni integrano politiche del lavoro e politiche sociali considerano la famiglia come target prioritario dei modelli di welfare.

Il rapporto annuale "Famiglie e lavoro" – realizzato da Italia Lavoro sulla base della rielaborazione dei micro dati della Rilevazione Continua sulle Forze Lavoro (RCFL) dell’Istat – si propone di analizzare il mercato del lavoro da una prospettiva originale, osservando i fenomeni dell’occupazione, della disoccupazione e della inattività per nucleo familiare, con l’obiettivo di individuarne i caratteri emergenti e trarne indicazioni anche per promuovere politiche del lavoro più efficaci e mirate. In una fase come quella attuale, caratterizzata da un delle più drammatiche crisi economiche del dopoguerra e nel pieno di un importante processo di riforma delle politiche del lavoro, tale prospettiva di analisi appare indispensabile.

Finora i modelli di intervento sono stati concepiti in una ottica “individualista” considerando il lavoratore e non la “persona” intesa anche rispetto alle sue rel
azioni nel nucleo familiare. Se la perdita del lavoro è sempre e comunque un evento drammatico per un lavoratore, lo è ancor di più se si tratta di un “genitore” con figli minori o con anziani non autosufficienti a carico, e tale esperienza diventa tragedia nei nuclei monogenitore, o se a perdere il lavoro sono entrambi i genitori. Senza contare quanto sarebbe importante per un nucleo familiare in cui sono presenti giovani maggiorenni disoccupati garantire a questi ultimi una prospettiva di lavoro.

L’esperienza della disoccupazione ha quindi delle graduazioni “personali” assai diverse se letta nel contesto del nucleo familiare. Tale prospettiva – presente in moltissimi modelli di welfare to work europei dalla Francia alla Germania al Regno Unito – è quasi del tutto assente nel nostro paese dove gran parte del welfare è affidato, al contrario di quanto avviene nei grandi paesi europei, proprio alle risorse familiari (dall’assistenza, alle politiche per la casa, fino all’uso delle pensione dei
nonni per sostenere i più giovani senza lavoro).

Oggi che la famiglia è sottoposta ad un drammatico processo di impoverimento, dovuto in gran parte alla mancanza di lavoro regolare. Il modello italiano “individualista” non tiene più ed anche le politiche del lavoro (oltre a quelle sociali) dovrebbero tenere conto del contesto familiare della persona, favorendo quindi processi di reinserimento lavorativo (formazione ed incentivi) e di supporto economico (sussidi) corrispondenti al disagio presente del nucleo familiare.

E’ difficile immaginare una ripresa della natalità quando la precarietà o l’assenza di lavoro minacciano costantemente la
struttura familiare. E come mostrano i dati del rapporto famiglie e lavoro lo scenario appare sempre più preoccupante.

Tra il 2004 ed il 2013 la struttura delle famiglie ha subito una significativa trasformazione
. Le “coppie con figli”, pur rappresentando la maggioranza, negli ultimi otto anni, hanno progressivamente visto diminuire il proprio peso, passando da un’incidenza percentuale sul totale delle famiglie del 42,5% (anno 2004), al 36,7% del 2013. Senza contare la forte crescita delle “persone sole” che sono passate da poco meno di 5,7 milioni di unità del 2004, a circa 8 milioni del 2013 (+42%).

Oltre a ciò è da rilevare anche la significativa crescita del numero dei nuclei monogenitori (nuclei con uno o più figli in cui è presente un solo genitore), il cui peso aumenta in due lustri dell’8,5% (arrivati a 2 milioni). In questo contesto partecipazione al lavoro e politiche di conciliazione sono essenziali per evitare gravi processi di marginalizzazione sociale.

Le famiglie con almeno un componente occupato sono oggi circa il 60%
(15 milionidi unità su un totale di 25 milioni) ma il loro numero è in calo. Nel 2004 la percentuale di nuclei con almeno un lavoratore era pari al 63,8% e nel 2007, ultimo anno di espansione del mercato del lavoro prima della crisi, la percentuale era del 63%. Nei sei anni di crisi quindi la diminuzione è stata di circa 3 punti percentuali. Del resto cresce anche la quota di famiglie con almeno una persona in cerca di lavoro che raggiunge la quota 10,5% del totale (2.670.147unità) con un aumento quasi 5 punti percentuali rispetto al 2007.

Analizzando i nuclei familiari in cui sono presenti “figli” il quadro appare ancora più problematico
soprattutto se si distingue tra coppie e nuclei monogenitore. Le “coppie con figli” sono circa 9,3 milioni ma di queste il 17,5% ha almeno un componente in cerca di occupazione (1.638.190) ed anche in questo caso la percentuale è in aumento dell’1,6% punti rispetto al 2012 e di circa 5 punti percentuali rispetto al 2007. Le famiglie composte da un solo genitore ed un solo figlio sono circa 1,18 milioni e nel 30% dei casi il genitore non è occupato mentre nel 14% è in cerca di lavoro. Analogamente le famiglie con un solo genitore ma con più di un figlio sono 779 mila: nel 23% dei casi il genitore non è occupato e nel 17,5% è in cerca di lavoro.

Ovviamente la partecipazione al mercato del lavoro delle famiglie è molto diversa territorialmente. Nelle regioni settentrionali la quota di nuclei con almeno un componente occupato è nettamente superiore alla media nazionale, mentre è nettamente inferiore nel Mezzogiorno. Basti pensare che hanno almeno un componente in cerca di lavoro circa 340 mila famiglie campane, 240 mila famiglie pugliesi e circa 290 mila famiglie siciliane,volumi in netta crescita rispetto ai valori del 2007.

Altro dato preoccupante riguarda i circa 2 milioni di nuclei familiari con o senza figli, composti solo da adulti
al di sotto dei 65 anni che risultano senza reddito da lavoro o da pensione che costituiscono la platea di famiglie con le maggiori criticità sul mercato del lavoro. Si tratta del 7,7% del totale nazionale, in crescita sia rispetto al 2012 (+0,8%)sia rispetto al 2007.

Un aspetto di grande interesse nel rapporto di quest’anno è l’analisi dei nuclei familiari in cui sono presenti uno o più giovani NEET,
ossia i giovani con età compresa tra 15 e 29 anni che sono al di fuori dei percorsi formativi e dal mercato del lavoro. In Italia, nel 2013, sono circa 2 milioni le famiglie con almeno un NEET tra i propri componenti e si tratta di nuclei residenti in prevalenza nel mezzogiorno (321 mila in Campania, 302 mila in Sicilia 106 mila in Calabria 209 mila in Puglia pressappoco). Con riferimento ai NEET che vivono in famiglia circa la metà ha un solo genitore occupato (46%), e ben il 29,7% ha entrambi i genitori privi di un’occupazione. Considerando invece i NEET “genitori” c’è invece un quarto che non può contare su alcun sostegno economico derivante da un’attività lavorativa.

All’ interno di questo quadro fenomenologico, quindi, ripensare le politiche del lavoro anche in relazione al contesto familiare delle persone, sfruttando le potenzialità che i nuovi sistemi informativi mettono a disposizione (si pensi al nuovo modello ISEE), appare doveroso e rappresenterebbe un importante elemento di innovazione rispetto al passato collocando il nostro paese tra quelle realtà europee che da anni ormai, integrando politiche del lavoro e politiche sociali considerano il nucleo familiare uno dei target prioritari dei modelli di welfare.

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