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I numeri che quotidianamente diffondono tv e giornali parlano chiaro: il Si e il No al Referendum sono quasi pari, con una leggera prevalenza dei No. Ma non è detta l’ultima parola e dalle urne potrebbe uscire un risultato completamente opposto.

I numeri che quotidianamente diffondono tv e giornali parlano chiaro: il Si e il No al Referendum sono quasi pari, con una leggera prevalenza dei No.

Ma non è detta l’ultima parola e dalle urne potrebbe uscire un risultato completamente opposto. Vediamo perché. Ogni giorno sui giornali si leggono notizie tragiche: l’economia non riprende, licenziamenti, disoccupazione a doppia cifra, consumi stagnanti e via discorrendo. Tutte notizie che i giornali attingono solo in parte da fonti terze, la maggior parte proviene da quelle stesse categorie che subiscono processi di trasformazione e mettono le mani avanti usando la tecnica, ormai collaudata, del bambino: “se piango qualcosa ottengo, se invece me ne sto zitto e buono non ottengo nulla”. I Media poi hanno sempre un padrone che ha determinati interessi da difendere, per cui le notizie sono filtrate a seconda degli interessi padronali.

Chi compra i giornali, infine, vuole leggere che la sua categoria (corporazione) strilla e strepita per la crisi economica e quindi la si asseconda in tutti i modi; una spirale che si autoalimenta.
Giornali e Tv sono il “Muro del pianto” degli italiani.

Ma è questa la realtà vera?

Gli italiani sono più ricchi di un buon 13 % (250 miliardi) rispetto alle statistiche ufficiali, perché esiste una economia reale che fa a meno del denaro per ottenere gli stessi benefici dei corrispondenti Paesi europei; dunque una economia che non è possibile rilevare. Il 4% dovuto al volontariato, e un 9 % dovuto a un sistema di vita, legato alla proprietà diffusa della abitazione con un indice di inurbamento che è il più basso di Europa: tutto il territorio è antropizzato e spesso ognuno è un autoproduttore.

L’economia sommersa, il “nero” per intendersi, negli ultimi due o tre anni è cresciuto di due o tre volte: basta avere a che fare con qualsiasi artigiano e in “camera caritatis” vuoterà il sacco, perché in fondo è un motivo di vanto.

Da qualsiasi parte si volge lo sguardo si vedono turisti in giro per città, e non solo in quelle più importanti, ma anche in paesini sperduti. Federalaberghi piange come vite tagliata, ma la verità è che ormai gli italiani affittano le loro case a stranieri a mezzo le piattaforme internet; a Milano ci sono tanti posti letto in albergo quanti nelle case di privati. Dunque il turismo è semplicemente esploso e già da diversi anni, accrescendo e qualche volta sostituendo il reddito da lavoro subordinato. Il tasso di disoccupazione ufficiale è intorno all’11%, ma nessuno dice che è proprio il lavoratore che non vuole farsi assumere, altrimenti perderebbe l’indennità di disoccupazione che adesso non è trascurabile come un tempo, sia per quantità che per durata; così lavora a “nero” per almeno un anno. Senza parlare dei “voucher” il cui monte ore andrebbe moltiplicato per tre o per quattro per avvicinarsi al vero.

I giovani che non studiano e non lavorano sono poco meno del 40%, il che vorrebbe dire che in alcune zone del Paese dovrebbero superare il 60 e dovremmo vedere l’assalto ai municipi come nell’800, invece non succede mai nulla, anzi in centro la movida impazza sempre più.

I pensionati manifestano a Roma per le pensioni da fame, poi i Tg intervistano una decina di ciclisti tra i 60 e i 70 che, in perfetta tenuta da Giro d’Italia, erano arrivati da Ancona a tappe (goderecce) e sarebbero tornati pedalando a casa; una settimana di bisboccia con gli amici e lontano dalle mogli.

Vado per comprare una Panda (a rate) e l’addetto mi confessa che nella sola domenica precedente hanno venduto ben 28 macchine in un solo giorno e cosa ancora più stupefacente 20 Jeep Renegade in meno di un mese.
C’è qualcosa che non torna. Molinari, direttore de La Stampa, dice che ormai non abbiamo più gli strumenti conoscitivi per leggere questa società.

Che abbia ragione lui?

Se così fosse avremmo un Paese schizofrenico, dove tutti adottano la tattica dei gatti a Gennaio: piangono miseria ma fanno soldi a palate. Prendiamo per buona questa ipotesi che non è poi così peregrina. E’ ovvio che se Renzi perde se ne deve andare, ma se si dimette chi arriva al suo posto? Un altro teutonico Monti o si va alle elezioni anticipate? E poi che succederà? Questa situazione di crisi, strombazzata a parole ma di crescita silente del portafoglio, continuerà o cesserà? (I depositi bancari sono in crescita dal 2014).

La scadenza naturale delle elezioni sarebbe il 2018, ancora un anno e mezzo di questa pacchia non sarebbe male. In fondo aveva ragione Andreotti: meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Gli italiani guardano la Tv e leggono i giornali, ma le decisioni di voto non le prendono sulla poltrona in salotto; prima del voto ci sono sempre fittissimi colloqui informali tra gli aderenti alla stessa corporazione (in ufficio per gli impiegati, in cantiere per i muratori o sui piazzali per i camionisti) e si confessano la verità. Confrontandosi tra loro fanno i bilanci degli ultimi mesi e le prospettive dei prossimi senza i clamori della ribalta mediatica in cui ognuno deve recitare la propria parte in commedia (manco a dirlo “all’italiana”).

E’ in quel momento e in quel preciso luogo che si determinerà l’esito del referendum. Se prevarrà lo scontento e la prospettiva che tutto cambi, Renzi perderà il Referendum. Ma se invece prevarrà il “teniamoci questo” perché le cose poi non vanno tanto male e ci potrebbe andare peggio, allora vinceranno i Si.

Non c’è sondaggio che possa sapere in anticipo cosa si diranno i camionisti sui piazzali, o gli operai a mensa, oppure gli avvocati nei corridoi dei tribunali (dopo una causa persa). Non è un caso che gli indecisi ad oggi siano oltre il 46% in una materia così secca, precisa, e senza scappatoie.

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