Professore, il M5S sta strizzando l’occhio ai cattolici?
Direi che si tratta di un avvicinamento figlio di posizioni, almeno in alcuni casi, simili. Come nel caso delle dichiarazioni di Di Maio sul lavoro domenicale, ovviamente condivise dai cattolici: il principio è che noi siamo qualcosa di più della semplice somma dei nostri consumi. Ed io sono d’accordo.
Il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, sempre oggi, ha detto al Corriere che su tre quarti dei temi c’è sintonia con il M5S. Simpatia contraccambiata?
Intanto una parte importante del personale politico pentastellato ha un passato in quei mondi, a partire da Alessandro Di Battista e dallo stesso Di Maio. E poi c’è una forte sensibilità sui temi del lavoro, dell’ambiente e di difesa degli ultimi che evidentemente li accomuna ai cattolici.
Tarquinio ha sollevato qualche dubbio sulle opinioni del M5S relative all’Europa. Condivide?
A mio avviso in questa fase è il loro principale punto debole. Un conto è criticare l’Europa, tutt’altro invece identificare le soluzioni giuste. Il rischio è che facciano come Alexis Tsipras in Grecia: si è reso conto solo dopo essere andato al governo quanto fosse difficile e, soprattutto, non conveniente tornare indietro.
Se dovessero arrivare a Palazzo Chigi, immagina che possano fare marcia indietro su questi temi?
Vorrei evitare che questo percorso di apprendimento lo facciano dopo essere eventualmente giunti al governo. Devono pensarci prima: devono essere più chiari sui temi marco-economici.
Si riferisce all’euro, giusto?
Quando si ristruttura una casa, non se ne distrugge il muro portante. Capisco si dica che, forse, sarebbe stato meglio non entrare nell’euro, ma a questo punto occorre fare un’analisi costi-benefici sulle conseguenze dell’eventuale addio alla moneta unica. Restare è nettamente più conveniente che uscire. Però anche gli altri partiti hanno i loro punti deboli.
Qual è quello del Pd?
Certe volte dà l’impressione di incarnare una sinistra troppo vicina alle lobby. Un po’ la critica che Grillo muove a Obama e Clinton nell’intervista ad Avvenire.
Su alcuni temi specifici i cinquestelle stanno proponendo ricette “di sinistra”?
Sull’ambiente, a mio avviso, sono più avanti rispetto alle altre forze politiche perché dimostrano una sensibilità e una curiosità che altro non si riscontrano.
E sul reddito di cittadinanza?
Hanno una visione di scenario un po’ più idealistica, perché vogliono arrivare, almeno in prospettiva, all’introduzione di questa misura. Però nei fatti, sull’oggi – di fronte al tema della scarsità delle risorse – le proposte di policy non sono così dissimili da quelle del Pd: spendere i pochi fondi a disposizione per avvicinare alla soglia di povertà tutti coloro che vi stanno al di sotto.
Ma sono politiche che hanno un background di sinistra oppure no?
Secondo me sì: i cinquestelle stanno cercando caratterizzarsi come la forza politica maggiormente attenta alle istanze che arrivano dagli strati più in difficoltà della società e della popolazione.
Si tratta di questioni più volte sottolineate anche da Papa Francesco.
E’ evidente che sui temi dell’ambiente e della difesa degli ultimi i cinquestelle si stiano muovendo nel solco delle idee del Pontefice, pur con tutte le differenze del caso ovviamente.
Sull’immigrazione, invece, sembrano essere molto meno di sinistra e anche poco in linea con il mondo cattolico. E’ così?
E’ una questione sulla quale è importante dare una risposta concreta, senza farne un dibattito ideologico. Ad esempio c’è uno studio molto interessante dal quale emerge come in Inghilterra le province con il più alto tasso di presenza di migranti siano le stesse in cui vi sia stata la maggiore riduzione dei salari nei settori cosiddetti a basse qualifiche. E le stesse in cui Brexit si è affermata in modo più netto. Evidentemente i mal di pancia non sono solo di carattere ideologico, ma hanno un fondamento economico.
Lei si è occupato della ricerca “Lavoro 2025″ commissionata dal M5S. Com’è andata?
Abbiamo saputo che il committente fosse il movimento solo dopo aver concluso lo studio: a mio avviso è stato molto positivo perché ci ha garantito massima autonomia nel nostro lavoro. Al suo interno ci sono certamente persone molto preparate e determinate. Mi spaventa un po’, però, che non abbiano riferimenti culturali così chiari e identificabili.
In che senso?
Quando un professore come me interloquisce con la sinistra, ad esempio, sa perfettamente quali sono le loro radici culturali. Lo stesso vale anche per i cattolici e non solo. Nel caso del Movimento 5 stelle, invece, la situazione è diversa: quali sono i loro riferimenti culturali fondamentali?
Per il M5S, però, non essere connotati ideologicamente è un vanto, come ha ribadito anche Grillo ad Avvenire.
A mio avviso è impossibile esserlo: non può esistere una scelta politica senza che dietro vi sia una scala di valori. Un riferimento culturale ultimo deve esserci e credo sia importante che il movimento lo definisca in modo più preciso.
E’ giusto sintetizzare la vostra ricerca con lo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”?
A questo proposito con il professor De Masi abbiamo idee un po’ diverse: lui ritiene che la tecnologia distruggerà posti di lavoro e che, dunque – per forza – bisognerà dividere il lavoro rimanente tra tutti. Io, invece, non ne sono così convinto: la piena occupazione potrà esserci anche dopo l’industria 4.0. A patto, però, di affrontare la questione dal punto di vista fiscale.
Cioè?
La ricchezza mondiale sta aumentando: se resterà nelle mani di pochi, è chiaro che la domanda di mercato diventerà più debole e che la disoccupazione crescerà. Ma se, al contrario, i soldi saranno redistribuiti, la domanda non diminuirà e i posti di lavoro aumenteranno. Il problema non sono i robot, ma la redistribuzione della ricchezza creata. Da questo punto di vista sono estremo: per me un problema di disoccupazione strutturale esisterà solo se utilizzeremo male la leva fiscale.
Si sente un professore in orbita cinquestelle? Voterà il movimento alle prossime elezioni?
Ritengo di avere un compito soprattutto culturale. Penso sia importante dare un contributo alla politica, ma in modo esterno. Se posso, do volentieri una mano a chi me la chiede sull’elaborazione di programmi e idee – è accaduto con i cinquestelle e anche con il Pd – ma non sono un politico e non intendo diventarlo. Poi quando si tratterà di votare farò la mia scelta. Il momento, comunque, è complesso e credo ci sia bisogno di aiutare la politica a prendere le migliori decisioni possibili.