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Tutte informazioni che per la loro caratteristica di essere dei numeri, sembrano certe e assolute, mentre invece nascondono delle falsità, in parte volute e in parte oggettive, ma che comunque non ci permettono più di comprendere questa società…

Da piccoli si è puniti quando si dicono le bugie; da grandi invece si scopre che sono molto utili. Spesso mi chiedo se ciò che leggo o ascolto in Tv sia vero o falso. Ma non parlo delle dichiarazioni dei politici o dei finanzieri, quelli si sa hanno la menzogna nel DNA, mi riferisco invece ai numeri che quotidianamente vengono diffusi: tasso di disoccupazione, occupati, poveri, pensioni erogate, consumi; tutte informazioni che per la loro caratteristica di essere dei numeri, sembrano certe e assolute, mentre invece nascondono delle falsità, in parte volute, e in parte oggettive, ma che comunque non ci permettono più di comprendere questa società.

Come ci ricordava Einstein, crisi significa innanzi tutto mutamento; di questi tempi assistiamo a continui cambiamenti sociali ed economici, tanto che ogni categoria sociale o economica, capace di orientate il consenso, assume il pianto delle prefiche come proprio per “ricattare” il livello politico e non perdere le adesioni. Per potersi lamentare si usano i numeri, apparentemente oggettivi, ma adeguatamente scelti per dimostrare la tesi precostituita.

Ma non è della menzogna che voglio parlare in questa sede, quanto piuttosto della incapacità oggettiva a interpretare questa società. Ogni società storicamente si è dotata di specifici strumenti conoscitivi per misurare se stessa e quindi conoscersi. Le cose si mettono male quando cambia la stessa struttura sociale ed economica, perché in quei frangenti si verifica una forte dicotomia tra il reale e gli strumenti conoscitivi perché i nuovi non sono ancora stati costruiti e si continua a misurare l’emergente con gli strumenti vecchi: è come se oggi si andasse in guerra con il moschetto ’91 e i biplani Savoia Marchetti.

Nell’ultimo ventennio del ‘900 siamo passati da una società elettromeccanica ad una informatica, le modalità della produzione hanno lasciato il posto a quelle della vendita e così, tutta la società è cambiata senza neppure che ce ne accorgessimo. Sono cambiati i valori di riferimento, è cambiato il concetto di ricchezza, molte istituzioni sociali ed economiche sono state disarticolate e altre create.

Nonostante questi cambiamenti profondi, noi contabilizziamo il nostro benessere come abbiamo sempre fatto nella società elettromeccanica, cioè con la ricchezza prodotta; ma tutto ciò corrisponde al nostro effettivo “stare bene”?
Pil, tasso di disoccupazione, fatturato dell’industria, ordinativi e così via, sono i parametri canonici a cui ci affidiamo inconsapevolmente, solo che nell’era dell’informatica queste cose ormai hanno una importanza relativa e soprattutto sono parametri che ormai non sono più discriminanti.

A circa 10 milioni di famiglie (30/35 milioni di Italiani) l’aumento del prezzo del gas o della luce interessa poco, perché hanno pannelli fotovoltaici e caldaie a legna o a pellet. Ancor meno interessa se i prezzi ortofrutticoli aumentano perché hanno l’orto sotto casa e il nonno provvede a distribuire frutta e verdura a figli e nipoti.

Un appartamento di proprietà è vuoto? Niente paura c’è la scharing economy e portano a casa poco meno di dieci mila euro all’anno. I trasporti sono cari? Stesso meccanismo: c’è Blablacar. Qualunque oggetto si compra su internet a prezzi molto convenienti saltando il commercio tradizionale che, nonostante le norme sempre più corporative, ormai non può più competere. In banca o all’assicurazione non si va più, tutte le operazioni si fanno da casa con la conseguente licenziamento di impiegati con scarsa professionalità.

Ma il peggio deve ancora venire: la fabbrica è stata robotizzata negli anni passati con l’espulsione degli operai, adesso tocca agli impiegati e al ceto medio poco specializzato.

Due fenomeni, apparentemente opposti, stanno emergendo: da un lato cresce la ricchezza complessiva (Pil) e allo stesso tempo aumenta la povertà dei ceti medio-bassi perché sostituiti dall’informatica, dall’altro cresce la tecnologia e si rafforzano le relazioni parentali familiari che consentono lo sviluppo di una economia che fa a meno del denaro come mezzo di pagamento ottenendo gli stessi benefici.

Non tragga in inganno se questo aspetto è poco conosciuto perché questa società non ha gli strumenti per valutare una economia senza denaro; essa non riesce a darle un valore né economico né sociale e tanto meno etico e quindi non riesce nemmeno a capire che cosa stia effettivamente succedendo.

E’ prevedibile per il futuro una sempre maggiore accentuazione di questi due fenomeni legati alla glocalizzazione della società (globale e locale contemporaneamente). Sta di fatto che nel giro di pochi anni gli strumenti conoscitivi che avevamo per interpretare la società sono diventati dei ferrivecchi ormai inutili e senza una approfondita conoscenza della realtà non potremmo mai pensare a un qualche tipo di intervento perché rischieremmo di somministrare al paziente un veleno che solo venti anni fa era una medicina.

Storicamente ogni era ha inventato i mezzi conoscitivi solo dopo che si era affermata definitivamente: nel 1789 certo non c’era né il Pil, né il tasso di disoccupazione; la società moderna si dotò di questi strumenti solo un secolo più tardi. Tuttavia non possiamo aspettare cento anni per capire la realtà che viviamo e che oggi possiamo solo intuire.

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