Qualcuno potrebbe pensare che questa sia la prima volta che la Gran Bretagna esce dall’Europa, ma non è così. In realtà le Brexit sono ben tre nella storia, ognuna con una origine diversa, diversi gli attori e soprattutto diverso il finale…

Qualcuno potrebbe pensare che questa sia la prima volta che la Gran Bretagna esce dall’Europa, ma non è così. In realtà le Brexit sono ben tre nella storia, ognuna con una origine diversa, diversi gli attori e soprattutto diverso il finale. Andiamo con ordine.

1809: Napoleone è padrone di tutta Europa, ad eccezione della Gran Bretagna e della Russia. Stringe un patto con lo Zar Alessandro I per attuare il blocco degli scambi commerciali con gli inglesi così che questi non possano più esportare le loro merci sul continente. Inizia così un intenso contrabbando di merci che la polizia napoleonica non riesce a smantellare. Le ragioni, oltre che contingenti per l’aggiramento dei dazi, sono di natura più profonda: l’Inghilterra è già una potenza industriale ed è capace di mettere sul mercato merci a costi più bassi di tutti gli altri e l’Europa è letteralmente affamata di merci di ogni tipo. Le manie di grandezza di Napoleone avevano fatto sì che l’Imperatore si illudesse di poter fermare un così possente indirizzo.

Nel 1811, lo Zar rompe il patto e fa cessare il blocco delle merci inglesi, l’anno successivo Napoleone invade la Russia per punirla: una mossa un “tantino” azzardata visto poi come è andata a finire, così la globalizzazione può continuare e le merci possono tranquillamente approdare in tutto il mondo.

Un secolo più tardi, siamo nel 1914, il Kaiser Guglielmo attacca la Francia ed ha la cattiva idea di passare per il “neutrale” Belgio e arrivare sulle coste della Manica; mal l’incolse. Della calpestata neutralità belga a nessuno importava, anche se fu ampiamente utilizzata come strumento di propaganda “legataria”. Quello che interessava di più gli Inglesi era che il canale della Manica non era più il “mare di casa”, mettendo così a repentaglio i loro commerci: fu la guerra. Prima potenza manifatturiera europea, la Gran Bretagna voleva ancora una volta ribadire la libertà di commercio con tutto il mondo soprattutto contro l’altra potenza emergente anch’essa manifatturiera: la Germania. L’espansionismo tedesco aveva riguardato anche le colonie, ma questo fatto era in secondo piano rispetto a due elementi centrali che premevano particolarmente agli inglesi: il primato manifatturiero e commerciale e il controllo dei mari come elemento decisivo a protezione delle proprie merci. Anche in questo caso la Gran Bretagna si schiera per la globalizzazione contro la limitazione della circolazione delle merci, e dei capitali, per il semplice motivo che erano sue.

Venti anni dopo la seconda guerra mondiale (1940) la possiamo considerare un prolungamento della prima, ma con due novità importanti: la prima sul piano economico e di riflesso la seconda sul campo di battaglia. Nel ventennio tra le due guerre l’economia inglese aveva languito fortemente, mentre quella americana era esplosa, di conseguenza sul piano militare la Gran Bretagna sarebbe stata sconfitta nettamente se non avesse avuto l’appoggio incondizionato di Roosvelt.
Prima di affrontare la terza Brexit, dobbiamo vedere che cosa sia successo Oltremanica in questi 70 anni.

Sotto la guida della signora Thatcher, la Gran Bretagna ha smantellato praticamente il suo apparato produttivo sostituendolo con quello finanziario. La City di Londra oggi produce quasi il 20% del Pil Inglese, una percentuale quasi uguale a quella della manifattura residuale. Soppiantati dagli Stati Uniti nella produzione di beni, hanno riposto tutte le loro forze nella gestione della finanza mondiale allacciando forti legami con i paradisi fiscali di tutto il mondo.

Produrre costa fatica, sia in termini di una costante innovazione, sia in termini sociali perché ha bisogno di continui cambiamenti; così gli inglesi hanno creduto di continuare a godere di una notevole ricchezza solo barattando carta con altra carta: la finanza appunto. Questo non è stato sufficiente perché chi produceva di più e meglio ha invaso il mercato di oltremanica con ogni tipo di merce. A parti invertite rispetto al mondo gli inglesi hanno deciso di imboccare la strada del protezionismo uscendo dall’Unione Europea e, di fatto, illudendosi che questo sia sufficiente a continuare a godere della ricchezza diffusa semplicemente spostando capitali da un punto all’altro del globo. Mentre l’Euro diventa moneta di riserva delle banche Centrali, la Sterlina si svaluta costantemente per garantire quel poco di competitività che hanno ancora le merci inglesi e sempre più di rado è moneta di riserva delle altre banche mondiali.

Poco meno del 50% dell’attività finanziaria della City è dovuta alla delega bancaria, avuta dalla UE, a trattare l’Euro, ma con la Brexit questo dovrà sicuramente cadere per ovvi motivi. Dall’altra parte dell’Atlantico, il tradizionale alleato americano sta impostando la sua politica attorno allo slogan “first America” che tradotto dal “trampismo” significa che prima vengono gli Usa e poi gli altri se ci entrano. Alla signora May toccherà il ruolo di ballerina di quarta fila e non certo una comprimaria come era stato per tutta la seconda parte del ‘900. Il peggio del peggio.

Nella storia dunque le Brexit sono state ben tre: le prime due con segno espansivo, la terza con segno recessivo che finirà per acuire i mali nascosti di chi è ancora nostalgico dei fasti imperiali e non fa i conti con la realtà. Tutto il male non viene per nuocere: a noi italiani ha fatto un gran bene perdere la guerra, con essa ci siamo tolti dalla testa le idee imperiali a cui, per soli 5 anni, avevamo pure creduto.

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