L’esultanza di questi giorni per la manovra del Governo è più mediatica che reale: è una “fiction” che le Tv ci propinano a piene mani. In realtà la preoccupazione che serpeggia nel Paese è molta e attraversa tutte le fasce sociali. Il sentimento confuso di incertezza ha radici profonde e accomuna tutte le finanziarie che si sono succedute da almeno dieci anni a questa parte.
L’idea di fondo dalla quale partono quasi tutte le forze politiche (e gli economisti manutengoli) che si sono succedute al governo in questo lasso di tempo è che sia sufficiente introdurre denaro nel corpo sociale per far ripartire i consumi e l’economia tutta.
Questo è uno schema falsamente Keynesiano e viene applicato solo da coloro che parlano di Keynes per sentito dire, senza averlo mai letto e capito a fondo. Innanzitutto quando il maggior economista del ‘900 scriveva, almeno il 70% del reddito delle famiglie era destinato alla sola nutrizione e con il rimanente 30% si doveva provvedere a tutto il resto, mentre oggi questa percentuale è esattamente rovesciata.
E’ una differenza di non poco conto perché siamo passati dalla povertà endemica ad una opulenza mascherata da povertà.
Quindi non è detto che se si distribuiscono sussidi e si abbassano le tasse, i consumi debbano ripartire e le aziende investano i maggiori profitti. Vengono sbandierati da tutti i governi gli investimenti in opere pubbliche (come suggeriva il “nostro” economista), solo che anche qui c’è una differenza sostanziale rispetto agli anni ’30.
La prima scuola, il primo ospedale, la prima autostrada ecc. hanno un valore molto grande perché aumentano fortemente l’efficienza del sistema nel suo complesso (questo era il punto focale di Keynes). E’ di tutta evidenza che la centesima scuola, ospedale o autostrada avranno un incremento marginale sull’efficienza complessiva del Paese fino addirittura al superamento dei costi sui benefici; prova ne sia il raffronto tra i vantaggi dell’autostrada del Sola del 1958 e quelli della Bre-Be-Mi di questi anni.
In sostanza l’incremento di efficienza non può più essere di tipo quantitativo ma qualitativo: una scuola più efficiente, un ospedale con meno posti letto ma di alto livello e un sistema stradale migliore.
Poi, ammesso e non concesso che i cittadini italiani e le aziende si ritrovino più soldi in tasca, come impiegheranno gli “accantonamenti”? Li spenderanno subito o li metteranno sotto il materasso?
Quando Renzi mise nelle tasche degli Italiani 80 euro al mese, dopo qualche tempo si notò che i depositi bancari erano aumentati e sono continuati a crescere fino ad oggi.
Siamo un popolo di poeti, navigatori e risparmiatori? Neppure per sogno.
La verità è che i cittadini italiani non hanno altra alternativa per impiegare il risparmio accumulato se non in strumenti finanziari, i più svariati. Avere una casa in più oggi è diventato un debito, la borsa è scesa di parecchio nell’ultimo anno e nessuno si fida dei “tosatori di buoi” che, di fatto, gestiscono il mercato azionario e periodicamente si arricchiscono alle spalle dei piccoli risparmiatori; i terreni agricoli 10 anni fa valevano 50 euro/mq, oggi solo 8 (a Pistoia); aprire una attività commerciale o artigianale è proibitivo (aprono e chiudono in 3 mesi). Non rimane che il deposito bancario considerata la stabilità della moneta (leggi euro) che da circa 20 anni è garantita dall’Europa, guarda caso.
In definitiva anche i soldi che saranno spesi per le infrastrutture, finiranno in banca attraverso mille rivoli e serviranno a finanziare il debito dello Stato in un circuito perverso di credito privato e debito pubblico che aggraverà la situazione attuale.
In fondo di che meravigliarsi? Quando la moneta vale più del lavoro, così succede.
Dunque tutte le manovre “espansive”, fatte da questo come dagli altri governi, altro non sono che specchietti per le allodole per accaparrarsi consenso e nulla più, in una illusione, appunto, di far ripartire l’economia e l’occupazione. Bisogna poi spendere qualche parola su come si è costruita l’immagine di un popolo italiano perennemente attraversato da una crisi apparentemente sconvolgente.
I sistemi di rilevamento sociale (come l’Istat) sono stati inventati e costruiti per la società elettromeccanica dell’800 e del ‘900. Il modello analizzato era sempre di tipo quantitativo: quanta carne mangiamo, quante auto circolano, quanti laureati e così via.
Tale modello fotografava bene le società dei due secoli precedenti, ma, a nostro modesto avviso è incapace di leggere la società informatica in cui viviamo perché non ha ancora elaborato un modello capace di valutare quanto vale l’informazione, appunto. Essa non ha bisogno di autostrade per trasferirsi, non consuma energia, e non ha bisogno di alcun impacchettamento (packaging): questi erano i tre elementi conoscitivi cardine della società elettromeccanica. Non basta produrre auto, bisogna farle bene; non basta avere letti in ospedale, occorrono cure efficaci; non bastano banchi per dire che è una scuola, occorre una trasmissione del sapere efficiente e completa.
Ebbene questo noi ancora non lo sappiamo misurare, e dunque conoscere, per cui si producono interventi economici con il modello quantitativo del ‘900, ma siamo in un altro tipo di società.
Un’ultima parola va spesa sulle distorsioni econometriche prodotte da una infinità di leggi e leggine fatte apposta per favorire di volta in volta la categoria (leggi corporazione) di riferimento del partito di turno al governo. Inoltre l’evasione fiscale in questi ultimi 10 anni è semplicemente esplosa con buona pace di tutti grazie alla acquiescenza della macchina statale.
Se abbiamo 36 miliardi di evasione dell’iva, sarebbe stato sufficiente l’assunzione di 20.000 persone alla Agenzia delle Entrate e 10.000 alla Guardia di Finanza (costo 1,2 miliardi) per recuperare almeno 10 miliardi di evasione Iva e altrettanti di Irpef; cosa che nessun governo ha fatto. Ma è più facile spendere i soldi a debito: quasi ci fossero tutti diritti e nessun dovere da parte dei cittadini.
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