Dal marzo del ’42 al maggio del ’44 i treni dei deportati arrivavano a una banchina ferroviaria situata a circa 800 metri all’esterno del campo di Auschwitz II-Birkenau, nei pressi dello scalo merci della stazione di Os´wie¸cim. Ultima fermata per almeno 800.000 deportati da tutta Europa. Era conosciuta come la rampa degli ebrei, Judenrampe.
JUDENRAMPE
La Judenrampe è un binario morto.
Una banchina sulla quale lascerai
le tue valigie, se le hai.
All’apertura del vagone respirerai,
spererai in un sollievo,
di bere, lavarti, riposarti.
Lì rimarranno anche le tue ipotesi di futuro,
mentre corri per ubbidire agli ordini.
I maschi da una parte e le femmine dall’altra.
Avrai paura, ma non ci sarà tempo
per pensare a quello che senti.
La Judenrampe è una bolgia ordinata:
ognuno verrà strappato ai suoi,
ma lo stupore e l’incredulità ti terranno in fila.
Ancora non lo sai.
Che non li rivedrai più.
Non avrai modo di dir loro un’ultima parola,
di farti dare una benedizione,
di indugiare un momento.
Tutto avverrà in fretta,
in un fragore di passi pianti e latrati.
La Judenrampe è un inganno, un trucco.
Mentre ti affanni per capire le regole,
evitare i colpi in testa e guardare
dove mandano tua madre,
non potrai intuire che la fila di sinistra,
la più numerosa,
è un imbuto verso le camere a gas.
Poi ci ripenserai, non potrai farne a meno.
Perché poi saprai cose che prima non potevi
nemmeno immaginare
e tutto sarà banalmente chiaro.
Quel luogo è una porta sul buio,
è l’inizio della tua fine,
anche se ne uscissi vivo,
il che è improbabile.
(di Anna Segre)
Tratto da:
Anna Segre e Gloria Pavoncello, JUDENRAMPE. Gli ultimi testimoni, Elliot, 2010.
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