Nel contesto contemporaneo, caratterizzato dalla pervasività crescente delle nuove tecnologie di comunicazione nei processi di formazione dell’opinione e delle decisioni, le riflessioni sociologiche di Max Weber sulla “gabbia d’acciaio” si rivelano uno strumento proficuo per comprendere le avvisaglie di quelle che possiamo definire le derive del sistema neo-liberaldemocratico.
Infatti, la connessione tra razionalizzazione tecnocratica, etica utilitarista e conformismo sociale e culturale, ben descritto da Weber, trova oggi nuova linfa nella crescente strumentalizzazione del fenomeno dell’intelligenza artificiale, nell’ascesa del politically correct e nella trasformazione delle democrazie occidentali in regimi che mostrano tratti di neo-totalitarismo.
L’intelligenza artificiale: il volto razionale della gabbia d’acciaio
L’intelligenza artificiale (IA), applicata ai processi industriali rappresenterebbe, in un certo senso, l’apice della razionalizzazione teorizzata dal pensatore tedesco. Essa è sostanzialmente una tecnologia che promette – e permette – efficienza e ottimizzazione, ma – se non criticamente e adeguatamente gestita – al prezzo di una crescente e generalizzata alienazione. Le decisioni automatizzate, infatti, basate su algoritmi, potrebbero ridurre la capacità dell’individuo di influire sugli esiti dei processi sociali: Dal punto di vista della critica del potere, l’uso di questi algoritmi sembra rafforzare una struttura burocratica che si autoalimenta, concorrendo alla creazione di una “gabbia d’acciaio” digitale. Questa “gabbia d’acciaio” digitale, apparentemente neutrale, imporrebbe pertanto una logica strumentale che svuota i valori umani di significato, spingendo le classi dominanti verso un controllo sempre più marcato, pervasivo e disumanizzante delle società.
L’IA – per come attualmente viene gestita – si pone come un ulteriore strumento di consolidamento del potere delle classi dominanti degli Stati tecnologicamente più avanzati e dei gruppi di potere all’interno delle grandi corporation finanziarie e industriali, producendo disuguaglianze strutturali nelle società e negli ambiti lavorativi. L’accesso alle tecnologie più avanzate è riservato a pochi attori globali, mentre i cittadini comuni diventano meri ingranaggi di un sistema che non sembrano comprendere pienamente. La promessa di libertà, tipica del discorso neoliberale, si trasforma in una forma di “schiavitù algoritmica”, dove la capacità di autodeterminazione è sempre più limitata.
Il politically correct: sintomo del neostato etico occidentale
Il politically correct, spesso percepito e soprattutto veicolato come un progresso civile, può essere interpretato – nell’ambito della critica degli odierni comportamenti sociali e dell’evoluzione politica della società occidentale – come un sintomo concreto dell’affermazione di uno stato etico di matrice occidentale. Attraverso un rigido controllo del linguaggio e delle opinioni, si cerca di conformare la società a un insieme di valori ritenuti universali, ma che in realtà riflettono l’ideologia dei ceti dominanti. Questo fenomeno, lungi dall’essere una forma di emancipazione, diventa uno strumento di omologazione culturale.
L’imposizione del politically correct non solo limita la libertà di espressione, ma tradisce un’eterogenesi dei fini. Le democrazie liberali, nate per tutelare il pluralismo e la diversità, finiscono per adottare pratiche totalizzanti che mirano a eliminare il dissenso. In tal modo, si realizza una nuova forma di totalitarismo soft, in cui il consenso è costruito attraverso la pressione sociale e l’isolamento dei “devianti”, mediante, ma non solo, sofisticate forme di gogna mediatica (la nota ‘macchina del fango’), attribuzioni di connessioni, relazioni e comportamenti fatti percepire come imbarazzanti, socialmente e politicamente riprovevoli, suscettibili persino di coercizione sanzionatoria.
Totalitarismo ed eterogenesi dei fini
Il pensiero neo-liberaldemocratico, con la sua enfasi sul mercato, sui diritti individuali e sul progresso tecnologico, sembra dunque incarnare l’apice della modernità. Tuttavia, esso si rivela paradossalmente, nella sua esplicitazione pratica, come l’esito terminale del ciclo storico liberaldemocratico. La ricerca incessante di efficienza, connessa alla crescente concentrazione del potere economico e finanziario nelle mani di pochi gruppi, come ben descritto da Alessandro Volpi, ha portato a un sistema che limita sempre più la libertà autentica, trasformando i cittadini in sudditi di un ordine razionalizzato e globalizzato, in cui il dibattito democratico, laddove ancora si esercita, nel migliore dei casi assume i caratteri di una mera ritualità sclerotizzata, nel peggiore, data la crescente virulenza polarizzatrice che attualmente lo contraddistingue, una singolare forma di nevrosi.
L’eterogenesi dei fini – principio per il quale le azioni ideate ed intraprese con uno scopo ben preciso conducono invece a impensabili risultati opposti – si palesa chiaramente nella prassi della contemporanea liberaldemocrazia. Le democrazie, per come le abbiamo conosciute nel nostro Continente almeno a partire dalla Rivoluzione francese ad oggi, nate per proteggere l’individuo dall’arbitrio del potere, si sono trasformate, nell’arco di pochi decenni, in sistemi che controllano capillarmente le vite dei cittadini. I meccanismi di sorveglianza, la censura implicita e la manipolazione dell’informazione costituiscono alcuni degli strumenti di un potere che non si presenta più visibilmente come autoritario, ma parodisticamente paternalistico e salvifico, ammantato di una sovrastruttura retorica presa in prestito dalla riflessione popperiana.
La necessità e l’urgenza di nuova critica della modernità
Il ragionamento sulla metafora della “gabbia d’acciaio” di Weber, aggiornata al contesto odierno, ci aiuta a riflettere sulle derive del modello neo-liberaldemocratico che attualmente viviamo. L’uso strumentale dell’intelligenza artificiale, il politically correct e le dinamiche di eterogenesi dei fini sono evidenti sintomi del percorso di un sistema autoreferenziale che sembra avviarsi al collasso.
Per contenere e sfuggire a questa nuova forma di totalitarismo, risulta necessario ed urgente recuperare il valore del pensiero critico e la pratica dell’azione collettiva. Solo mediante una riformulazione dei rapporti tra tecnologia, etica e politica forse sarà possibile costruire un futuro che non sia dominato dalla logica impersonale della “gabbia d’acciaio”, ma che restituisca centralità all’essere umano e alla sua dignità.
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