Strafalcioni di ogni genere, errori di grammatica e sintassi, una mancanza di sapere nascosta dagli insulti, bestemmie pubbliche. Possibile che tutto scorra come acqua su di un vetro?
Sono sicuro che nessun PdC (partito del congiuntivo) si presenterà alle elezioni eppure io lo voterò ugualmente. Voterò quei candidati che sapranno esprimersi correttamente dimostrando di sapere utilizzare il congiuntivo correttamente.
Innanzitutto bisogna aver studiato e questo molta classe dirigente politica non lo dimostra affatto. Siedono negli scranni più alti della Repubblica senza una adeguata preparazione come se la politica fosse la trasposizione del Bar Sport a Montecitorio.
“Uno vale uno”, diceva qualcuno, per poi andare dallo specialista pluriaffermato per curarsi un banale mal di gola, quindi nella sanità non è vero che tutti i medici sono uguali. Così come non sono uguali i calciatori o gli ingegneri, vedi il ponte Morandi a Genova.
Allora perché la regola di “uno vale uno” si deve applicare solo alla politica? Credo invece che occorra molta preparazione e molto studio per fare il politico e che non ci si possa improvvisare, come fanno molti. Ma nell’Italia del terzo millennio, tutto è possibile, tanto che abbiamo trasformato i “social” in una sorta di assemblea di condominio dove tutti si sbracano senza alcun pudore.
Che dire poi di quelli che adoperano il congiuntivo trapassato al posto di quello presente. Cominciò Di Pietro e poi il vezzo si è allargato a macchia d’olio per tutta l’Italia dei “cafoncelli” che pretendono di mostrare un acculturamento inesistente.
Il congiuntivo ha le sue regole che vanno rispettate ma a questa classe politica le regole stanno strette. Esse sono sempre invocate per gli altri, mai per se stessi e in questo incarnano benissimo la media del “cives italicus”; tutti pronti a gridare allo scandalo se il vicino non paga le tasse quando ci sono 38 miliardi di evasione di sola Iva. La colpa è sempre degli altri, mai di se stessi.
Tutti guardano il fuscello nell’occhio altrui ma tacciono della trave nel proprio.
Le regole prima si rispettano individualmente e poi si pretende che anche gli altri lo facciano. Ma la verità sta nei dettagli: il congiuntivo è la spia di quanto gli italiani e i nostri dirigenti abbiano assimilato la cultura delle regole.
Assistiamo ad una crisi di governo che fa accapponare la pelle; Andreotti esplicitò la teoria del doppio forno, ma nella prima Repubblica c’erano fior fiori di politici che non usarono mai questi tatticismi di bassa lega per le consultazioni al Quirinale. La parola data è diventata un “opzional”, i decreti sono approvati “salvo intese” che non si è mai capito che cosa volesse dire, anche se controfirmati da professori di diritto amministrativo: un decreto o è approvato o è respinto, non ci sono altre opzioni.
Se il congiuntivo è giusto, esso è anche elegante e bello: indica la possibilità che un evento accada, non la certezza, una differenza non da poco che hanno solo le lingue romanze. Nella patria della bellezza a livello mondiale, coloro che non lo adoperano rendono la loro terra più brutta limitando fortemente la capacità di espressione; i dirigenti politici da Bar Sport si facciano scrivere gli interventi da chi sa scrivere e poi si limitino a leggerli senza cambiare una virgola, ammesso che almeno sappiano leggere, così almeno i loro elettori potranno imparare qualcosa di utile.
Infine c’è il problema di chi il congiuntivo lo azzecca ma che lo adopera bestemmiando.
Attenzione: la bestemmia non è il turpiloquio, sono due cose nettamente diverse anche se, colpevolmente, l’uno è diventato sinonimo dell’altro. Il turpiloquio è l’imprecazione contro Dio, la bestemmia è l’uso strumentale della Parola di Dio. Gesù di fronte a Sinedrio non “tira un moccolo” come si direbbe in Toscana, ma conferma a Caifa di essere figlio di Dio, e per questo viene mandato a morte.
Mi rifiuto di pensare che il buon Dio getti nelle fiamme dell’inferno falegnami e carpentieri solo perché si tirano le martellate sulle dita mentre lavorano.
Ben diverso è il caso di chi usa simboli del cristianesimo per aumentare il proprio consenso elettorale. Non è solo una questione di laicità della politica, ma riguarda da vicino tutti i cristiani, anche quelli che siedono vicino a chi ostenta rosari e vangeli ai comizi. Ma la cosa è ancora più grave.
Il Crocifisso non è un amuleto da baciare per chiedere grazie in continuazione al pari del braccialettini colorati portati al polso. Un cristianesimo che riceve adesioni in cambio di grazie e benefici non è un cristianesimo autentico, assomiglia di più alla sua mercificazione.
Al Padre Nostro gli chiediamo soltanto il “pane quotidiano” e nulla più, un pane quotidiano che ci serve soltanto per adempiere la sua volontà: “fiat voluntas tua”, così recita il nocciolo della sola preghiera che Gesù ci ha insegnato. Ma qualcuno se ne è scordato da un pezzo e i cattolici se ne stanno un po’ troppo zitti al riguardo.
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