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Domenica 19 ottobre Papa Francesco, a conclusione del sinodo straordinario sulla famiglia, ha proclato Paolo VI beato. Un’evento che è arrivato senza forzature: una beatificazione meditata. Papa Francesco con questa scelta ha voluto recuperare due elementi del pontificato montiniano: il dialogo con la storia e l’apertura al mondo

Paolo VI è beato. La sua proclamazione arriva senza forzature e senza fretta: una beatificazione meditata. Un po’ di stile montiniano, insomma: si arriva al punto ma con misura. Si tiene il punto ma senza clamore.

Avvenne così anche per il Concilio Vaticano II. Anzitutto non lo chiuse anticipatamente, come volevano le correnti più tradizionaliste, ma lo portò a termine dando continuità all’intuizione del suo predecessore. E poi lo tradusse in documenti e poi lo sostenne di fronte alle critiche che arrivavano da ogni dove. Perché la crisi della Chiesa non dipendeva certo dal Concilio, ma c’era chi (e ancora oggi c’è chi) criticava il Concilio fondando le proprie argomentazioni sulla riduzione dei fedeli, delle vocazioni, delle messe e dei matrimoni. E qui ci volle quel coraggio montiniano di resistere senza far la guerra a nessuno, sapendo tenere la posizione con saggezza e intelligenza. E senza cercare di mediare: pur con i tempi, i movimenti lenti e le parole miti che apparterrebbero più alla pratica della mediazione o del compromesso.

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In realtà la vera mediazione Montini la ricercò col mondo, con la sua cultura: scambiare una parola, un dialogo, imbastire una conversazione nella giusta convinzione che con la modernità si deve ragionare, sia per evangelizzare la cultura sia per purificare la ragione, non per calare dogmi che appesantiscono solo le spalle dei fedeli.
In realtà la vera mediazione Montini la cercò con la storia, nella convinzione che il Vangelo illumina le strade della vita di ogni persona e di ogni Paese: Cristo è il centro e la guida della storia. Stare nella storia significa stare nel mondo con Gesù, comprendere il linguaggio dell’incarnazione, il Verbo che si fa carne, materia. La storia non è nemica di Dio. Non si tratta di compiacere al mondo (ad un certo mondo, soprattutto), ma di fondare le proprie ragioni, le proprie istituzioni e la propria pastorale partendo dal mondo. Il mondo, insomma, non è quel luogo cattivo per definizione: anzi, il fedele si rapporta ad esso con simpatia.
Il papato di Francesco sembra recuperare – con toni più moderni – questa simpatia verso e questa apertura al mondo. Senza paura. La parola misericordia, spesso citata dall’attuale papa, dice molto di una chiesa cattolica che vuole essere più madre che maestra. Questo papa sta recuperando il pensiero montiniano con rapidità e con decisione.

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Il papato di Francesco sembra ispirarsi a questo grande papa bresciano, che non si limita a denunciare i mali del mondo, perché sa che il realismo cristiano chiede di capire le cause senza nascondersi, di proporre e intervenire e perciò di dare speranza. Per questo la Populorum progressio rappresenta bene il “punto montinano”, il suo stile e il suo modo di stare nel mondo senza essere del mondo.

Recuperare Paolo VI, oggi, significa esattamente recuperare il rapporto col mondo. Significa uscire dalla propria terra fatta di certezze e di linguaggi interni per affrontare il viaggio che ci porta tra le periferie del mondo, dove manca la speranza.

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