In questi giorni si ritorna a parlare di economia circolare perché il Parlamento Europeo di Strasburgo dopo anni di alterne vicende, ad aprile, ha approvato il pacchetto di misure relative al riciclo dei rifiuti. Ma l’economia circolare, sebbene comprenda anche gli aspetti del riciclo, ha una portata ben più ampia. La direttiva europea fissa le regole generali per la gestione dei rifiuti nei paesi membri che saranno obbligati a riciclare quelli domestici e commerciali in misura crescente negli anni. Si parte dall’obiettivo di riciclarne il 55% per poi nel 2030 raggiungere il 60% che diventerà il 65% nel 2035.
Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva in materia nell’arco di 24 mesi e saranno chiamati a regolare nel dettaglio la materia. Questo è l’aspetto che viene maggiormente enfatizzato. In realtà l’UE sta avviando una nuova fase di vero e proprio cambiamento di modello economico che, se si realizzerà concretamente, potrà avere un impatto davvero rivoluzionario. L’economia circolare segna il passaggio da un economia basata sul consumo e sull’idea dell’usa e getta, cosiddetta economia lineare, a quella che in cui i prodotti devono essere riutilizzabili e soprattutto riparabili.
Come si vede sarebbe un rivoluzione copernicana. Si passerebbe da prodotti dal ciclo di vita breve a prodotti ben progettati e riparabili dal ciclo di vita lungo. Insomma l’economia circolare si propone di sovvertire la logica produttiva attuale che ispira la grande industria globalizzata che spinge prodotti che esauriscono il loro ciclo di vita rapidamente (obsolescenza accelerata) e che sovente sono di difficile riparabilità e riciclabilità. Si avvia una prima transizione da un economia che incentiva lo spreco ad una che invece ha come valore la riparabilità, la possibilità di manutenzione e di riutilizzare il prodotto nelle componenti che lo costituiscono per immetterle nuovamente nel ciclo produttivo.
L’Unione Europea sulla base di studi condotti dalla Fondazione Mc Arthur e della società di consulenza manageriale McKinsey ha avviato, già da qualche anno, attività di studio e legislative in seno al Parlamento europeo al fine di indirizzare l’economia del continente verso questo nuovo paradigma economico. La svolta, se verrà accolta dal sistema produttivo, avrà effetti importanti anche di carattere geopolitico ed economico. Infatti verranno modificate le normative produttive e questo fatto potrà veramente costituire una barriera per i prodotti che non si conformano alla regolamentazione europea. Sarà così più complicato per prodotti non conformi provenienti da altri paesi trovare spazi di mercato. Essendo quello europeo uno dei principali mercati mondiale potrebbe spingere i grandi produttori internazionali ad adeguarsi ai nuovi standard innescando un ciclo virtuoso di cambiamento nell’economia globale.
I principi intorno ai quali si articola l’economia circolare sono diversi e riguardano la progettazione dei prodotti, i processi produttivi, il consumo, la gestione dei rifiuti, in genere il ciclo completo della sostenibilità economica.
Il concetto chiave è che un prodotto deve durare. Perciò deve essere costruito in modo da essere riparato facilmente. Su di esso inoltre deve essere effettuata un adeguata manutenzione per allungare il ciclo di vita ed evitare che diventi rapidamente un rifiuto che va ad aumentare il volume dei rifiuti urbani e commerciali.
In questo nuova economia l’Italia è tra i paesi più avanzati. Tra i grandi paesi europei è quello con la maggiore quota di materia circolare (materia prima seconda) impiegata dal sistema produttivo: quasi un quinto del totale (18,5%), ben davanti alla Germania (10,7%) unico paese più forte di noi nella manifattura. Mentre è seconda dopo la Germania (59,2 milioni di tonnellate) per riciclo industriale con 48,5 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi avviati a riciclo (meglio di Francia, 29,9 Mt, Regno Unito, 29,9 Mt, Spagna 27 Mt).
Questi risultati che sono il frutto della sinergia virtuosa tra l’innovazione delle imprese, l’attività di ricerca e formazione delle università, e la promozione di un nuovo modello produttivo da parte di consorzi e associazioni.
L’economia circolare stimola la creatività e la ricerca. Implica l’interazione tra diversi attori dello sviluppo, centri di ricerca, università, imprese, agenzie nazionali. L’economia circolare come nuovo paradigma produttivo, rivolto ad un utilizzo intelligente delle risorse costituisce un sfida ma anche una modalità che può riscrivere le gerarchie economiche globali. L’Italia si trova in una posizione di primo piano e di vantaggio, così come l’Europa. Investire su questo tipo di economia può contribuire a rendere il continente meno vulnerabile rispetto alla concorrenza cinese e americana, sicuramente anche più competitivo.
Insomma l’economia circolare così come si sta delineando e configurando può realmente diventare uno nuovo paradigma economico e introdurre rilevanti elementi di cambiamento dell’attuale sistema produttivo non solo europeo ma anche internazionale.
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