Come nel celebre detto, per le donne italiane il lavoro rappresenta ancora “croce e delizia” della loro vita. Rappresenta un serio problema quando non c’è e spesso non c’è, come ci informano le statistiche: a gennaio 2019 il tasso di occupazione femminile è ancora al di sotto del 50%, con un distacco di più di 18 punti percentuali rispetto al corrispondente tasso maschile, con una crescita di appena lo 0,3% nell’ultimo anno. Parallelamente il tasso di disoccupazione femminile resta di due punti percentuali superiore a quello maschile e il tasso di inattività quasi doppio rispetto a quello degli uomini. L’assenza di lavoro rappresenta di per sé un problema, non solo perché nega sostentamento e autonomia, ma anche perché non consente a molte donne di cimentarsi in questa attività, di fornire il proprio contributo, di realizzare pienamente se stesse, ma pure di mettere a disposizione del Paese le risorse umane di cui avrebbe bisogno.
Tuttavia il lavoro rappresenta un problema per le donne anche quando c’è, perché spesso non ha i connotati di un lavoro dignitoso e astrae dalla vita reale delle persone, che hanno esigenze familiari non azzerabili dal lavoro e prevalentemente a carico delle donne, stante l‘asimmetria di genere nelle responsabilità di cura. È nota la difficoltà delle donne a mantenere il lavoro alla nascita dei figli e sono ormai una su quattro quelle che rinunciano alla maternità per ragioni professionali o economiche; costrette, in ogni caso, ad operare scelte personali gravose, senza un supporto adeguato del welfare.
I dati a nostra disposizione e che abbiamo raccolto nel volume “Valore Lavoro”, edito di recente da Rubbettino, confermano anche tra le giovani donne un rapporto più instabile e discontinuo con il lavoro, a partire dalle forme contrattuali con un maggior contenuto di precarietà, la frequente sovraistruzione rispetto al lavoro svolto, la costante segregazione in alcune professioni, la retribuzione insufficiente, le limitate possibilità di carriera. È la ragione per cui sempre più giovani donne lasciano il nostro Paese per sottrarsi ad un destino di discriminazione che pare già segnato. In casi estremi, ma purtroppo non rari, il lavoro diventa poi anche il luogo in cui le donne subiscono molestie e sopraffazioni. Tornano, o forse non se ne sono mai andate, le criticità storiche con cui le donne si sono confrontate nel campo del lavoro retribuito.
Malgrado le molteplici forme di discriminazione cui le donne sono sottoposte, è sorprendente la quantità di significati che riescono a rintracciare nel lavoro, che rappresenta tutt’oggi uno dei fattori fondamentali dell’emancipazione femminile. Seppur lentamente, il numero di donne con lavoro extradomestico è cresciuto negli ultimi decenni, ed è un fenomeno non più marginale ma strutturale della nostra società, portando ad essa un contributo notevole anche in termini economici. Le donne sono ormai un motore economico fondamentale per la società di oggi, non solo per il letteralmente inestimabile lavoro di cura, ma anche perché molti nuclei familiari sopravvivono grazie al solo reddito del lavoro della donna. Al di là, dunque, delle difficoltà incontrate le donne considerano ormai il lavoro produttivo uno strumento cardine per realizzare completamente le proprie aspirazioni e diventare attrici del cambiamento sociale. Il lavoro – in quanto fondamento che orienta le scelte effettive – non può più essere considerato una esperienza transitoria nella vita delle donne, bensì una parte significativa della loro traiettoria identitaria individuale e sociale.
Non possiamo, inoltre, trascurare che ci troviamo a sperimentare la realtà di un mercato del lavoro trasformato, in cui i nuovi modi di produrre sono basati sulla virtualizzazione e l’interconnessione tra dispositivi intelligenti. All’interno di questo inedito scenario caratterizzato da una forte innovazione tecnologica e digitale, se si vuole tendere ad una società competitiva ma anche giusta e sostenibile, occorre passare attraverso la possibilità per le donne di esercitare un’influenza sia nel definire processi di automazione vantaggiosi, sia nel definire una gestione e una organizzazione del lavoro che le valorizzi, eliminando i divari esistenti.
Poche donne sono oggi presenti nelle professioni di ambito scientifico-industriale; tuttavia, poiché anche questo campo non è estraneo alla questione di genere e rischia di riproporre stereotipi e squilibri noti, iniziative di formazione e orientamento, come pure interventi di ordine culturale più ampio sono necessari e urgenti, per non rischiare che le donne si trovino ad affrontare nel mercato del lavoro una condizione ancor più difficile di quella attuale. L’esito di una tale, ulteriore svalutazione sarebbe un danno per l’occupazione femminile e produrrebbe l’aumento delle disuguaglianze e della povertà per questa metà della popolazione. Mentre opportunità impreviste potrebbero rivelarsi qualora le donne riuscissero a partecipare attivamente e alla pari alle tendenze in corso.
Molte sono, dunque, le questioni e grande ci pare la necessità di tenere sempre desta l’attenzione sul lavoro delle donne. Per questo vogliamo dedicare la giornata dell’8 marzo e l’approfondimento del mese di marzo di BeneComune.net al lavoro guardato al femminile. Attraverso i contributi che verranno pubblicati vorremmo compiere una ricognizione sull’orizzonte attuale, esaminare come si presenta ad oggi la situazione e provare a cogliere le prospettive presenti e future del lavoro femminile sullo sfondo della quarta rivoluzione industriale.
Come mutano le condizioni di lavoro per le donne nel nuovo scenario di Industria 4.0? Quali sono i limiti e le potenzialità del nuovo contesto? Si stanno producendo trasformazioni favorevoli al lavoro delle donne, o il quadro resta il medesimo conosciuto finora? Quali sono gli svantaggi che l’universo femminile sconta nel mondo del lavoro e quali nuove attenzioni nei loro confronti possono scorgersi? Sono queste alcune delle domande che ci interrogano e intorno alle quali vorremmo sollevare un ampio dibattito. Con un’attenzione sempre viva alla realtà concreta delle donne, perché dietro la facciata omologante del lavoro ci sono le vite delle cittadine di questo Paese, ci sono i loro volti e perfino i loro corpi, la differenza inesauribile di cui sono portatrici, che è una ricchezza di cui l’Italia non fa buon uso.
Come abbiamo scritto nel documento con cui ogni anno accompagniamo la ricorrenza dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, «non vogliamo, infatti, dimenticare che dietro le occupazioni e i ruoli ci sono le persone in carne ed ossa, le loro storie, i loro volti, le loro speranze, i loro sogni, i loro bisogni, che formano e sostengono anche le loro performance lavorative.
Vogliamo confrontarci con la loro realtà quotidiana, le difficoltà in cui si imbattono, i differenti ruoli – tutti estremamente esigenti – che si trovano a gestire, il costo esistenziale di stare oggi nel mondo del lavoro o di tentare di entrarvi. La strada per raggiungere le pari opportunità nel mercato del lavoro è ancora lunga e l’8 marzo è utile se rappresenta l’occasione per riflettere su questi temi economici e sociali, che non sempre vengono presi nel debito conto dalla politica, dalle istituzioni, dal mondo dell’impresa e dalla stessa società civile.
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