Le sanzioni americane applicate all’Iran stanno suscitando le preoccupazioni della comunità internazionale perché potrebbero alterare gli equilibri geopolitici dell’area e soprattutto i rapporti tra gli attori regionali principali che se ne contendono l’egemonia: l’Arabia Saudita e l’Iran. Il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) ha, infatti, riportato in vigore dal 5 novembre del 2018 tutte le sanzioni secondarie che erano state sospese per effetto dell’accordo nucleare. Le sanzioni colpiscono in modo particolare due settori dell’economia iraniana: quello finanziario e quello energetico. Aziende o banche straniere che intendono fare affari con l’Iran vanno incontro a multe o restrizioni da parte del governo americano qualora esse abbiano una presenza negli Stati Uniti.
Pertanto tra scegliere il mercato iraniano e quello americano, soprattutto da parte delle multinazionali europee, l’opzione è quasi scontata e cade su quello più grande in cui gli interessi economici sono più rilevanti. Inoltre il rifiuto delle banche internazionali di concedere credito in dollari sta portando ad una forte riduzione delle esportazioni di greggio iraniano con conseguenze pesanti sull’economia del paese che dipende in parte da questo prodotto4 per gli equilibri del bilancio statale. C’è chi sostiene che le sanzioni avranno l’effetto di spingere l’Iran verso posizioni sempre più intransigenti, e, quindi, di complicare la situazione fino a sbocchi imprevedibili, chi, invece, di costringere la dirigenza politica iraniana verso posizioni più flessibili e di disponibilità al dialogo per un futuro negoziato.
Per il momento sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze che stanno avendo sia sull’economia dell’Iran piegandola economicamente, fatto riconosciuto anche dalle autorità iraniane, che nei rapporti tra Europa e Stati Uniti dividendoli su posizioni antitetiche.
L’Unione europea per contrastare le conseguenze prodotte dalle sanzioni statunitensi ha promosso la creazione di uno speciale veicolo finanziario (Special Purpose Vehicle, SPV). Il 31 gennaio scorso Francia, Germania e Regno Unito, hanno costituito ‘INSTEX’, acronimo di Instrument in Support of Trade Exchanges, che garantirà maggiore agilità e protezione ai flussi finanziari da e verso l’Iran denominati in euro. Si tratta di una società di diritto francese, con sede a Parigi, nella cui compagine sociale compaiono direttamente i tre Paesi membri UE firmatari dell’accordo sul nucleare iraniano (Gran Bretagna, Francia, Germania). Gli aspetti operativi del nuovo SPV sono in via di definizione, ma è chiaro che INSTEX gestirà inizialmente solo i flussi finanziari relativi al commercio con l’Iran di medicinali, dispositivi medici, cibo e prodotti agricoli. Soltanto una volta che sarà sperimentata la piena operatività sarà esteso ad altre attività.
Per ora si stratta solo di uno strumento che facilita gli aiuti di tipo umanitario. In questo modo l’Europa ha inteso lanciare un segnale all’Iran ed affermare la volontà di continuare a mantenere le relazioni commerciali e gli impegni sul JCPOA, sebbene le grandi multinazionali europee abbiano preferito altre opzioni.
Fare previsioni rispetto allo scenario descritto appare quanto mai problematico. Vista, poi, la fluidità della situazione si può essere smentiti dai fatti appena conclusa una qualsiasi affermazione in merito. L’andamento del prezzo del petrolio è un indicatore emblematico degli incerti equilibri economici dell’area a cui è legata la stabilità della regione. Infatti i flussi finanziari generati dalla vendita alimentano le entrate dei bilanci dei paesi del Golfo e conseguentemente influenzano anche la loro capacità operative, militari, economiche e politiche. Agli inizi di ottobre 2018, in prossimità dell’applicazione dell’ultima fase delle sanzioni, il Brent raggiunge un picco di oltre 86 dollari, scivola fino a 76 euro per poi avere una ripresa e precipitare intorno ai 60/65 euro.
Gli attori principali giocano la loro partita e spesso le strategie non coincidono con le posizioni formali assunte. Gli Usa per rendere più efficaci le sanzioni stanno operando perché il prezzo del petrolio rimanga basso e aumentano la loro produzione. Chiedono all’Opec, ed in particolare all’Arabia Saudita loro principale alleato, di mantenere la produzione constante e di evitare tagli in modo che i prezzi non subiscano impennate tali da destabilizzare l’economia internazionale. Una tale politica se è vero che può penalizzare l’Iran che vedrebbe ridotti i proventi dalle entrate di petrolio e complicherebbe anche la postura strategica in Medio Oriente, rischia di trasformarsi in un serio problema anche per l’Arabia Saudita che sta da anni accumulando deficit di proporzioni che si stanno facendo insostenibili e rischiano di compromettere il successo della strategia Vision 2030. Recentemente anche Il Fondo Monetario Internazionale si è dichiarato preoccupato degli equilibri finanziari della Regno Saudita, che anche per l’anno in corso saranno caratterizzati da un consistente deficit.
L’Arabia Saudita, geopoliticamente schierata con gli Americani, ha interesse a diminuire la produzione per spingere i prezzi verso l’alto, perché ha necessità di riequilibrare i bilanci statali e mantenere una posizione strategica forte nel Golfo che richiede non solo capacità militari ma soprattutto finanziare. Due attori schierati dalla stessa parte si trovano in distonia quando si tratta di interessi economici, e i casi non mancano anche pensando alla Russia. Quest’ultimo paese ha appoggiato i tagli dell’OPEC ed anzi ha contribuito al successo dell’operazione. Ma ci sono segnali evidenti che la Federazione possa ripensare la sua posizione. Intanto non ha aderito all’OPEC+ e poi stanno emergendo nel paese due posizioni differenti una favorevole ai tagli, sostenuta da Krill Dmitriev capo del Fondo sovrano della Russia, ed una contraria quella della principale azienda petrolifera Rosneft guidata da Igor Sechin.
La Federazione con le sue decisioni potrebbe spostare gli equilibri ma si trova in una posizione piuttosto scomoda. Infatti, se appoggia i tagli l’economia della Russia e dell’Arabia Saudita ne beneficerebbero immediatamente. Ma poiché gli USA contemporaneamente aumentano la loro produzione questo si potrebbe tradurre nel offrire un vantaggio competitivo agli Stati Uniti che conquistano maggiori quote di mercato consolidandosi come maggiore esportatore mondiale.
Il contesto si va complicando di giorno in giorno con l’uscita del Qatar dall’Opec, e le spaccature in seno alla stessa organizzazione in merito alle decisioni sui tagli che vengono enfatizzate dall’Iran al fine di mettere in difficoltà l’Arabia Saudita. I singoli paesi sembrano giocare la propria partita senza guardare al contesto delle alleanze in cui sono inseriti. Se si aggiunge la richiesta inviata da parte di Trump al Presidente del Pakistan perché favorisca i processi di pace in Afghanistan15, il possibile ritiro delle truppe americane da Siria e Afghanistan, una intensificata proiezione saudita verso oriente (il viaggio di Bin Salman in Pakistan, India, Cina) i possibili investimenti sauditi nello stesso Pakistan16 si comprende quanto il quadro dell’area sia in movimento tanto da configurare equilibri variabili che fanno immaginare sbocchi imprevedibili.
È comunque certo che ci troviamo di fronte ad una guerra economica dichiarata dagli USA contro l’Iran con l’obiettivo esplicito di colpirne l’economia in modo da indebolirla e contenere il ruolo svolto dal Paese nel contesto mediorientale per arrivare ad un negoziato.
In Medio Oriente una volta ripristinato il potere di Bassar al Sad sulla Siria, degli Hizbullah in Libano e la vittoria delle forze politiche vicine all’Iran in Iraq si è accresciuta l’influenza iraniana. Si è creato in questo modo un corridoio tra Teheran e Beirut controllato direttamente da forze vicine alla Repubblica Islamica. Il tutto è stato reso possibile dall’intervento di Mosca in Siria che ha avuto l’effetto di rafforzare l’influenza iraniana grazie alla vittoria sull’ISIS. Questo nuovo assetto non è visto di buon occhio dagli USA, da Israele e Arabia Saudita che giudicano una minaccia il rafforzamento dell’Iran nell’area. La politica fortemente anti-israeliana dell’Iran, rafforzata anche dalle dichiarazioni di Khamenei che definisce Israele “un cancro che deve essere estirpato”, complicano ulteriormente le cose e hanno, oltre alle contestazioni relative al rispetto dell’accordo, indotto l’amministrazione Trump a ritirare gli USA e applicare severe sanzioni economiche rivolte contro il Paese ma mirate a colpire il ruolo del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, principale strumento per il finanziamento di organizzazioni che gravitano nell’orbita iraniana e che sono ritenute responsabili della destabilizzazione di molte aree del Medio-Oriente.
Il progetto di pace definito anche “accordo del secolo” tra Palestinesi e Israele, in un contesto di questo genere appare alquanto improbabile, considerata l’intransigenza iraniana nei confronti di Israele anche in presenza di una seppur ambigua posizione saudita di riconoscimento dello Stato di Israele che si può leggere nelle parole del principe Muhammad bin Salman quando afferma: “gli israeliani hanno diritto di vivere in pace nella loro terra”. Stando così le cose, appare difficile – non solo per l’amministrazione Trump ma anche per la Federazione Russa, che gioca un ruolo di leadership per avviare processi di pace in Siria – percorrere una strada che conduca alla pacificazione del Medio Oriente, perché senza il coinvolgimento positivo dell’Iran tutto ciò non è possibile, come, peraltro, lo stesso presidente Putin ha avuto modo di dichiarare recentemente.
Le variabili in gioco non sono poche e queste rendono gli esiti delle vicende del Golfo Persico e in generale del Medio-Oriente particolarmente difficili da leggere e prevedere.
Considerato l’effetto divisivo delle sanzioni in Occidente, è interessante capire quale può essere l’impatto in altre parti del mondo ed in particolare nelle relazioni tra Iran e sub-continente indiano. In questo contesto gli aspetti economici, politici, culturali si intrecciano forse più che in altre aree del mondo rendendo gli esiti delle sanzioni non immediatamente evidenti.
Iniziamo con il dire che il rapporto tra i due paesi è saldo tanto da far affermare a Nehru, ex primo ministro indiano, che pochi popoli sono stati così uniti e hanno condiviso la storia come quelli dell’India e Iran.
Una piccola ma importante comunità quella dei Parsi, cioè persiani, svolge da secoli, nella vita dell’India, un ruolo di assoluto primo piano soprattutto nel campo economico. Grandi conglomerate indiane come Tata ne sono la dimostrazione insieme a molti altri gruppi che giocano rilevanti ruoli economici. Una comunità indiana, sebbene non tanto numerosa come quella presente nei sei paesi del Golfo di 8 milioni, è presente in Iran con circa 4.000 persone. Le rimesse degli espatriati indiani da questi paesi raggiungono un valore consistente intorno ai 40 miliardi di dollari che rappresentano oltre il 50% del totale delle rimesse estere dell’India. Questo flusso di denaro costituisce una risorsa fondamentale per l’economia indiana soprattutto per alcuni stati indiani come il Kerala, Andhra Pradesh, Karnataka ecc. In questa area gli Emirati Arabi rappresentano il polo in cui si coagulano gli interessi strategici, economici e culturali indiani.
India e Iran intrattengono buone relazioni diplomatiche che hanno avuto il loro apice nell’aprile del 2001 con la Dichiarazione di Tehran, che ha rafforzato la cooperazione tra i due paesi, e, nel gennaio del 2003 con la Dichiarazione di New Delhi che ha aperto la strada ad una partnership strategica. In quell’occasione il Presidente Khatami ha visitato l’India ed è stato Chief Guest alla parata per la festa della Repubblica. Recentemente, nel 2016, le relazioni sono state consolidate da un viaggio di Modi a Teheran per la firma del Trilateral Transit Agreement relativo al porto di Chabahar23. Nel febbraio del 2018 il Presidente Rouhani ha visitato l’India, incontrato il primo ministro Narendra Modi e concluso una serie di accordi riguardanti connettività, energia e sicurezza, soprattutto in relazione all’Afghanistan. La visita è avvenuta dopo che Modi aveva completato una serie di viaggi in paesi non amici dell’Iran come Israele, Arabia Saudita, Emirati Arabi per implementare la politica del “Think West” e consolidare i rapporti con la regione del Medio Oriente che è strategica per il Paese non solo per il petrolio alle cui oscillazioni di prezzo l’economia indiana è particolarmente sensibile, ma anche come mercato di destinazione per le proprie produzioni.
Pertanto si può dire che l’India ha forti rapporti ed è assolutamente interessata alla stabilità di quell’area in cui risiede una parte di popolazione di origine indiana. L’India, inoltre, con i suoi circa 180 milioni di mussulmani è, dopo Indonesia e Pakistan, uno dei principali stati al mondo con una vasta popolazione mussulmana che tra l’altro genera annualmente per la visita alla Mecca flussi di milioni di pellegrini verso l’Arabia saudita. Anche questo costituisce un forte legame che mette in condizione il paese di comprendere, forse meglio di altri, le problematiche dell’area del Golfo Persico sia delle comunità sunnite e sciite, che anche di quelle minoritarie come Ismailiti e Ibaditi.
I principi di neutralità e di non ingerenza che sono i cardini della politica estera della Federazione Indiana, insieme alla capacità di interloquire con differenti culture, costituiscono la base della forte reputazione che il paese gode nel Golfo Persico.
Il legame con il mondo dei paesi del Golfo e l’Iran è di assoluta importanza ed in termini di interscambio commerciale costituisce la principale area economica di riferimento per l’India. Se si sommano gli scambi con il paesi del Golfo e l’Iran il valore è superiore ai 150 miliardi. In particolare con l’Iran oscilla tra 10 e 14 miliardi di dollari, mentre il partner principale è costituito dagli Emirati Arabi. Da questi paesi l’India compra prevalentemente petrolio e gas dal Qatar e vende servizi di information technology, prodotti farmaceutici, agricoli, gioielleria.
Questi pochi dati danno la dimensione del legame culturale ed economico dell’India con i Paesi del Golfo e l’Iran. L’India è in una fase economica di crescita con un tasso che si attesta intorno al 7,5% che il fondo monetario internazionale prevede si manterrà anche per i prossimi anni26. Tra le grandi economie del mondo è quella che si sta sviluppando più velocemente anche se ha ancora tanti problemi da risolvere come, per esempio, quello della povertà.
L’India nel 2017 risulta essere il sesto paese al mondo per dimensione del prodotto interno lordo (reale) e si appresta a diventare tra il 2018/19 la 5° potenza economica mondiale. Ha bisogno di capitali per ammodernare le infrastrutture porti, strade e rete ferroviarie. Tra i partner ci sono Giappone, Emirati Arabi e Singapore ma anche la Russia per la difesa e gli USA soprattutto nel settore nuove tecnologie informatiche e i sistemi militari.
In questo contesto assume un ruolo di particolare rilevanza l’Iran non solo come fornitore di petrolio, che potrebbe nel breve periodo essere parzialmente sostituito con altri dei paesi del Golfo, ma come porta di accesso ai paesi del centro Asia. Se l’India vuole crescere, considerati i rapporti con il Pakistan, ha necessità di mantenere buone relazioni con l’Iran che dispone di una posizione geografica di assoluto valore strategico.
Insomma quale impatto avranno le sanzioni? L’India presumibilmente ridurrà progressivamente come aveva annunciato a settembre gli acquisti di petrolio, anche per regioni diplomatiche con gli USA che hanno concesso una deroga, ma non rinuncerà al rapporto con l’Iran perché questo ha una valenza strategica per sviluppare la connettività verso Russia, Europa e Centro Asia.
Anche l’Italia dopo la visita di Conte e le dichiarazioni rese al magazine India Today intende svolgere un ruolo di partner dell’India soprattutto nelle tecnologie delle energie rinnovabili, dell’economia circolare, delle infrastrutture e food processing.
Conclusioni
In conclusione le sanzioni potrebbero perturbare il sistema di relazioni tra India e i paesi dell’area dell’Oceano Indiano Occidentale, creando imbarazzo crescente nel governo indiano, ma sostanzialmente i legami economici, politici e la strategicità geografica dell’Iran, di assoluta rilevanza per l’India e per il suo sviluppo economico, difficilmente potranno essere incrinati. Il summit India Russia ha indicato che la strada da percorrere è quella della connettività verso il Centro Asia, Russia ed Europa vitale per lo sviluppo economico indiano. Il passaggio in quella direzione è dettato dalla geografia e su questo punto l’India trova il supporto anche degli USA che hanno favorito il progetto Chabahar. Il recente 2+2 dialogue avvenuto ai primi di settembre 2018 ribadisce il ruolo di partnership strategica dell’India nella strategia statunitense dell’Indo Pacifico. Apre la strada ad una collaborazione che prospetta vincoli ma anche l’opportunità per l’India di giocare un ruolo da player regionale nell’area dell’Oceano Indiano occidentale. Una rivincita della geografia sulla logica delle sanzioni.
*Articolo pubblicato su www.vision-gt.eu il 28 marzo 2019
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