A bocce ferme anche noi vogliamo entrare nel dibattito sul crollo del ponte di Genova. Quel ponte aveva delle “criticità”, come dicono i tecnici, ma quando fu progettato e costruito, all’inizio degli anni ’60, rappresentava una innovazione straordinaria. Era bello, elegante e soprattutto appariva robusto, tanto da “proteggere” le stesse abitazioni sottostanti.
Ci piaccia o no, esso era comunque una sperimentazione perché gli altri due ponti firmati da Morandi” sono di epoca successiva.
Oggi noi ci scagliamo contro chi non avrebbe fatto manutenzioni adeguate, ma anche fare la manutenzione ad un ponte “sperimentale” rappresenta una sperimentazione essa stessa perché non c’è una letteratura consolidata in materia, appunto perché sperimentale. Eppure non possiamo mettere a repentaglio le vite umane per ovvi motivi.
Da qui nasce una contraddizione difficilmente sanabile: il bisogno di sicurezza delle persone e il bisogno dell’innovazione. Da una parte c’è un pensiero corrente che vuole avere certezze assolute riguardo alla propria sicurezza, e dall’altro la necessità dell’innovazione tecnica, tecnologica e sociale.
La nostra società può vivere senza l’innovazione? Senza la ricerca? Senza la sperimentazione? Certamente no, tuttavia esse hanno in sé una alea di rischio che è ineliminabile appunto perché è comunque una sperimentazione.
Il grande genio del Rinascimento, Leonardo da Vinci, avrà pure sperimentato le sue invenzioni in particolare le ali dell’aeroplano. Oggi sappiamo che quelle ali non avrebbero mai potuto volare, e quindi nella sperimentazione leonardesca qualche incauto “stuntman” si ruppe l’osso del collo. Che dire poi dell’uomo rana di Leonardo? Qualcuno è annegato sicuramente.
In letteratura abbiamo la grande figura di Ulisse che per la sola sete di conoscenza sacrifica il suo intero equipaggio a morte certa: un giudice dei nostri tempi lo avrebbe condannato all’ergastolo invece di reinsediarlo come Re nella sua “petrosa” Itaca.
Di contro è vero che la vita umana è sacra e come tale va trattata, dunque essa va salvaguardata ad ogni costo. Innovazione e salvaguardia della vita sono due termini che confliggono, quantomeno a livello teorico per loro intrinseca natura.
In passato si ricorreva al fato o al destino per fornire a noi stessi una ragione: un fato di per sé imperscrutabile ma che comunque aveva il potere di alleviare il dolore. Oggi tutto deve essere non solo spiegabile ma anche prevedibile per cui, scomparso il fato, all’uomo, padrone e signore della scienza, quindi omnisciente, non è più concesso sbagliare una previsione.
Proprio la Procura di Genova mandò sotto inchiesta penale i meteorologi che non seppero prevedere la bomba di acqua che colpì il levante ligure alcuni anni or sono e che provocò diverse vittime e molti danni. Forse quei magistrati non conoscevano le teorie del caos che nella meteorologia si traducono nella incertezza delle previsioni stesse; oppure non conoscevano il detto di mia nonna: “del futuro non c’è vecchio che si ricordi”.
In realtà il primo imputato del crollo del ponte è la pretesa onniscienza dell’uomo. Di contro c’è una opinione pubblica che non vuole giustizia ma vendetta; non vuole attendere il responso delle indagini, ma decreta subito il colpevole di turno, in questo assecondata e fomentata da una classe politica che per qualche voto in più porterebbe la madre alla forca.
Il clima generale è talmente pesante che un ragazzo con la clavicola rotta, non trovava un medico disposto a operarlo per la vicinanza dell’osso alla vena; nessun chirurgo voleva rischiare una condanna per un intervento non riuscito.
Il risultato è che ognuno fa il meno possibile avendo così il minor rischio possibile, come già fanno molti burocrati. C’è una situazione da anni ’30 in Urss quando era prevista la pena di morte per i sabotatori, tanto che nessuno adoperava più i trattori per arare i terreni nel timore che colpendo una pietra nascosta sotto terra, il vomere si spezzasse. Il risultato fu una carestia da 5 milioni di morti.
Dalla magistratura si levano già le voci che “non è una fatalità”, quando nessun tecnico, anche terzo, non ha mai indicato la necessità di chiudere il ponte al traffico. Qui si annida un atavico retro pensiero: un non detto che pervade tutta la Magistratura.
I magistrati sono gli unici che non devono rispondere dell’errore giudiziario, se condannano un innocente. Lo dico subito, è giusto così, altrimenti ci troveremmo nella situazione che nessuno sarebbe più condannato.
Tuttavia lo stesso principio deve valere per tutti coloro che operano unicamente secondo “scienza e coscienza”, senza assecondare la voglia di ghigliottina che serpeggia per il Paese. Nel 1937 venne inaugurato il primo ponte sospeso, il Golden Gate Bridge di San Francisco; nel 1940 quello di Tacoma che però pochi mesi dopo crollò per un effetto allora sconosciuto: la risonanza.
Il primo paracadutista della storia, oltre a Leonardo che però faceva sperimentare gli altri, fu un sarto parigino che si lanciò ai primi del ‘900 dal primo piano della torre Eiffel, schiantandosi al suolo. Nonostante questi errori oggi si costruiscono ponti strallati e si fa paracadutismo sportivo.
Robespierre e Saint Just andarono al potere sull’onda di un confuso desiderio di vendetta dei parigini; essi lo assecondarono, anzi in molti casi lo promossero; dopo circa un anno toccò a loro salire sul carretto che li conduceva a Place de la Concorde.
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