Limitandosi ai cambiamenti climatici, la scienza ci avvisa: entro una diecina d’anni potremmo creare le condizioni che ci farebbero superare la soglia di un riscaldamento medio globale di 2 gradi centigradi, che già implicherebbero un pesante aumento dei fenomeni atmosferici estremi, penurie, e crescenti conflitti per risorse essenziali in via di rarefazione, come cibo e acqua. Ma sarebbe solo l’inizio: oltre quella soglia, si metterebbero in moto cicli cumulativi connaturati alla biosfera che sospingerebbero rapidamente il pianeta verso medie di riscaldamento superiori a 4 gradi. Significa uno scenario di estinzioni accelerate nel mondo naturale; di carestie, migrazioni e guerre nella sfera umana, entro la fine di questo secolo.
A questa minaccia chiarissima rispondiamo tuttavia tutti – istituzioni, imprese, e pubblico – con esitazione; con un certo immobilismo dettato dalla vastità della sfida, dall’impressione di ciascuno di non poter fare da solo la differenza, e da una certa inerzia nel cambiare mentalità, abitudini e priorità. Reagiamo col sentimento che correre ai ripari rappresenterebbe un “sacrificio” forse non così urgente e soprattutto inutile da parte degli individui, troppo piccoli per sentirsi significativi. Ma sono solo loro a poter fare la differenza.
L’inerzia sociale si può forse contrastare mettendo a fuoco due verità taciute: che la soluzione, col contributo di tutti, è molto meno traumatica e molto più a portata di mano di quanto si pensi; e che il “sacrificio” del cambiamento di costumi in realtà non è un sacrificio, bensì porta immediati e tangibili vantaggi.
La soluzione, anzitutto. Per evitare di oltrepassare la soglia critica dei 2 gradi non occorrono tecnologie rivoluzionarie, immani investimenti, sconvolgimenti del nostro modo di vita. Basta introdurre in ogni settore produttivo che genera gas serra alcune razionalizzazioni che riducano marginalmente gli sprechi e aumentino ragionevolmente l’efficienza produttiva. Ne deriverebbe qualche punto percentuale di riduzione delle emissioni settore per settore – nell’agricoltura, nell’industria, nei trasporti e via dicendo, con qualche complessità maggiore nel settore dell’energia – che sommandosi sarebbero sufficienti a correggere la rotta.
Ed ecco la prima sorpresa: una produzione più efficiente e oberata da minori sprechi non è un sacrificio, bensì un investimento che tende a ripagarsi da solo, generando oltretutto crescita e impiego. Questo è il primo grazie di Gaia che vale a tutti i livelli: dall’individuo che aumenta l’efficienza energetica della sua abitazione, fino alla nazione che si rende più competitiva. La natura, vista da alcuni come un freno allo sviluppo e al benessere, ci consiglia invece di diventare più efficienti e competitivi e di rimpinguare così i nostri portafogli.
Ma questo aspetto è solo un segmento di un meccanismo molto più vasto e potente secondo il quale ogni investimento di tutela dell’ambiente esplica un immediato e poderoso moltiplicatore dei suoi effetti in termini di benessere umano. L’economia ci insegna che ogni investimento si propaga amplificandosi al sistema e questo è vero ben oltre l’orizzonte monetario e strettamente produttivo.
La biosfera funziona come una collezione di equilibri concatenati che concorrono a sostenere un equilibrio più generale e planetario. Uno squilibrio iniettato in un settore si propaga agli altri amplificandosi e, se si va troppo oltre, si innescano cicli cumulativi di squilibrio globale come quelli temuti se si oltrepassano i famigerati 2 gradi di riscaldamento planetario. Ma è vero anche il contrario: ogni riequilibrio apportato in un comparto del sistema biosferico si propaga agli altri, generando riequilibri e benessere a catena, anche in quel particolare sottosistema dell’equilibrio terrestre che chiamiamo genere umano.
Gli esempi sono infiniti. Un’immagine, per cominciare: la dieta in assoluto più salutare – che limita al minimo le proteine animali e privilegia cibi vegetali – è anche quella a minor impatto ambientale. Quindi, vera salute individuale coincide con salute ambientale; ma coincide anche con salute sociale e pace, perché una dieta del genere corregge l’ingiustizia di un mondo polarizzato fra ricchi, obesi, cardiopatici e diabetici da una parte, e sottonutriti privi di speranze dall’altra, disinnescando oltretutto una fonte di conflitto fra questi due mondi.
Oppure, recuperare un ettaro di terreno degradato, disboscato, o desertificato ha un costo generalmente abbordabile ed è un’efficacissima maniera per creare un pozzo di carbonio. Allo stesso tempo, protegge la biodiversità e mantiene le capacità produttive di quella terra, dà un orizzonte di dignità, reddito e lavoro ai suoi occupanti tradizionali, ancorandoli alle loro terre e quindi frenando pericolose dinamiche conflittuali e migratorie.
Questi sono solo esempi. Che dire del rapporto fra autotrasporto ossessivo e malattie della sedentarietà, dello strano fatto che le attività eco-compatibili tendono a generare più impiego di quelle che degradano l’ambiente, del riequilibrio e della carica di giustizia insiti nella riconosciuta necessità di trasferire tecnologie e risorse ai Paesi più poveri per metterli in grado di concorrere alla sfida globale del clima?
Non sono coincidenze casuali. Si tratta di un meccanismo di portata generale, un moltiplicatore – da indirizzare verso cicli cumulativi catastrofici o verso il vero benessere – connaturato a tutto il sistema. Madre terra non ci chiede di rinunciare a nulla, anzi ci indirizza solo a privarci delle derive letteralmente “tossiche”, insalubri oppure ingiuste del nostro modello. Ci dice che condizione della sostenibilità è la salute individuale e collettiva, non la penuria, e che la conseguenza è un gran bel regalo: un po’ più di giustizia e pace. Non c’è nulla di divino in questa strana saggezza della natura, è solo il gioco degli equilibri interconnessi. O forse… un soffio divino c’e’?