Elogio della lumaca che in una fredda ed assolata mattina di novembre ho incontrato per caso. Non era previsto che mi trovassi lì, in quel luogo, ad osservare un frammento di realtà che ha consentito ai pensieri di fluttuare e alle parole di esprimere qualcosa che condiviso, forse può regalare qualche minuto di riflessione su qualcosa che ci riguarda tutti. Indistintamente.
La lumaca non parla, se pensa, non lo so. Si muove lentamente. Forse anche accelera, ma sembra che ciò avvenga in modo impercettibile. E comunque per accorgersene bisogna avere molta pazienza e regalarsi molto tempo che di questi tempi non sono conquiste da poco.
La lumaca che io ho incontrato si trovava davanti ad una fessura tra due mattoni. Non so perché, ma quella scena mi ha colpito. Era morto da qualche giorno mio nonno “Paolo El Grande”, così come l’ha simpaticamente definito un caro amico: 101 anni di storia che solo a pensarci, mi vengono i brividi. Quanto “pensato”, “detto” e “non detto” in quel grande patrimonio di esperienze che è stata la sua vita, avvicinata dalla morte piano piano, consumandolo come una candela dalla luce sempre più fioca, come se non volesse fargli troppo male. E quanti ricordi che si intrecciano, si accavallano quando meno te lo aspetti. Insomma la morte, come suo solito, aveva creato una cesura tra il prima e il dopo, così come uno spazio vuoto c’era tra quei due mattoni. Ciascuno di noi nell’affrontare un lutto attinge a risorse più o meno nascoste, si aggrappa ai ricordi, mette in atto le modalità più diverse per fronteggiarlo.
Può accadere che ci sia bisogno di inoltrarsi dentro le fatiche di un percorso terapeutico. In questo caso qualcosa di più semplice: c’era di mezzo una lumaca, che mi è sembrata in procinto di attraversare quella fessura. Pronta ad osare. Avrei potuto rimanere lì ad osservare se, quanto da me fantasticato, la lumaca l’avesse concretizzato. Non ho potuto aspettare, urgevano una serie di incombenze che andavano portate a termine. Quando sono tornato, la lumaca non c’era più. E ho continuato ad immaginare: aveva attraversato quella fessura, era andata oltre, munita delle sue antenne, del suo guscio, peso e protezione allo stesso tempo. Ce l’aveva fatta! Forse assomigliamo, un pò, alla lumaca. Ho pensato a mio nonno che non c’era più e soprattutto a quanti vivono lutti al limite dell’umano. Si è vero, la morte è morte, ma, purtroppo, non a tutti arriva allo stesso modo e dopo una lunga vita; e quanto bisogno c’è di non essere lasciati soli, ascoltati, incoraggiati, sostenuti nel “lavoro” del lutto a volte impetuoso, a tratti silente come la scia della lumaca, ma sempre emotivamente impegnativo.
La vita, quella spicciola, che non accede agli onori della cronaca, mi aveva offerto qualcosa di inaspettato, un esempio di vitalità discreta, che mi aveva emozionato, strappato un sorriso e fatto pensare sulla vita e la morte, regalandomi un pizzico di serenità, mentre lasciavo con un pò di rammarico quel “mondo” tra il reale e l’immaginario.
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