Ho capito che qualcosa era definitivamente cambiato nel momento in cui il piccolo bimotore partito da Palermo si accingeva a toccare la pista dell’aeroporto di Lampedusa. Una breve lingua d’asfalto che corre lungo la costa sud dell’isola, dietro la collina della vergogna, a poche centinaia di metri dalla porta d’Europa. Dall’oblò dell’aereo si scorgevano le sagome dei carri funebri parcheggiati nei pressi dell’hangar dove erano state stipate oltre 100 bare nelle quali giacevano altrettante persone: uomini, donne e bambini annegati nel naufragio di qualche giorno prima.
Lo sgomento di fronte a quella scena ha lasciato immediatamente il posto alla rabbia per quello che non era stato fatto e che si sarebbe potuto fare. Ma oltre ogni cosa ho provato sdegno per le condizioni in cui sono stati accolti i 150 superstiti, ovvero quelle stesse persone che hanno visto i propri figli, le proprie madri e i propri fratelli inghiottiti dalle acque del Mediterraneo. Come nel peggior campo profughi palestinese, sono stati sistemati in un centro sporco, fatiscente e non in grado di garantire un tetto a tutte le 900 persone presenti in quel momento. A rendere ancora più surreale il tutto la pioggia, la presenza di cani randagi che si aggiravano nei pressi del centro e la spazzatura ammucchiata vicino al cancello di ingresso.
A quel punto era chiaro come il richiamo all’Europa e alle sue responsabilità fosse il modo più efficace per distrarre l’opinione pubblica da quelli che sono invece gli obblighi internazionali di un paese, l’Italia, che non è in grado accogliere chi fugge dalla guerra in un sistema nel quale sia garantito il rispetto di standard minimi di accoglienza. Addirittura per non svelare l’inganno si è anche cercato di limitare la visita del presidente Barroso ad alcuni luoghi dell’isola escludendo proprio il centro di accoglienza. Tutto questo accadeva sotto gli occhi di milioni di persone che, ignare dei meccanismi che sottendono questi sistemi, hanno creduto che modificando la Bossi Fini avremmo risolto il problema dei morti in mare e dell’accoglienza nel nostro paese. Povera Italia!
Oliviero Forti, Caritas italiana – Ufficio Immigrazione