I) il quantitative easing;
II) una vera politica fiscale europea espansiva;
III) l’armonizzazione fiscale perché la presenza di paradisi fiscali interni rende impossibile l’equilibrio della finanza pubblica dei paesi membri;
IV) un programma di ristrutturazione del debito per tutti i paesi UE che prevedeva l’acquisto della quota eccedente il 60% del Pil da parte della BCE e la sua trasformazione in obbligazioni perpetue a tasso zero.
Di queste quattro cose l’unica realizzata è la prima e la Grecia ne è stata esclusa. La nostra previsione si è perfettamente avverata. La Grecia (anche per responsabilità proprie) è diventata l’anello debole del sistema che la sua probabile uscita dall’euro rischia di far saltare.
Per evitare il Grexit è necessario uno scambio di doni reciproco che ricrei fiducia tra le controparti. I creditori devono accordare una nuova riduzione del debito (allungando scadenze, riducendo interessi o condonando nominalmente parte del debito) e i debitori devono accettare un piano di recupero serio anche se non improntato all’austerità. Poiché nessuna di queste due condizioni sembra in vista, l’uscita della Grecia dall’euro sembra lo scenario leggermente più probabile.
La conseguenza sarà la percezione della non irreversibilità della moneta unica e la concorrenza valutaria. Se la Grecia dopo un duro periodo iniziale di inflazione si riprenderà gli euroscettici in altri paesi prenderanno coraggio e premeranno per l’uscita dall’euro. Dovremo allora valutare con molta cura ed attenzione (e senza ideologismi) pregi e difetti delle diverse opzioni. Evitando che l’euro o il suo superamento diventi un feticcio che ci impedisce di guardare in faccia la realtà e il vero obiettivo del bene comune del paese.