Si tratta di un’espressione che descrive un cambiamento in atto nella nostra società che riguarda sia gli stili di vita che le attività sociali, culturali ed economiche. Un cambiamento che si manifesta sia nella aree urbane che in quelle rurali. Secondo Alfonso Pascale (2014) “dopo un lungo processo di progressiva sovrapposizione socio-economica e culturale, città e campagna si presentano come un continuum non più distinguibile in modo netto e, nel contempo, le componenti rurali della società civile esprimono modelli innovativi per l’insieme delle comunità senza più rappresentare un mondo a parte non solo nella realtà, ma anche nell’immaginario collettivo. In sostanza acquista credito nell’opinione pubblica l’idea che l’innovazione sociale prodottasi nelle campagne negli ultimi 30-35 anni può costituire un importante correttivo di civiltà”.
Andare oltre la dicotomia urbano-rurale
La rielaborazione continua della dualità città-campagna è un’interessante chiave esplicativa dell’analisi di come l’uomo abbia abitato il territorio in epoca moderna.
Seguendo la ricostruzione proposta da Maria Caterina Fonte (2010) il primo tentativo di concettualizzare la ruralità risale alla fine dell’Ottocento, quando Tönnies teorizzò due diversi modelli di associazione umana: la comunità, intesa come unità primaria, spontanea, organica basata sul sentimento di appartenenza (che trova la sua prima affermazione nella famiglia) e la società, incentrata su rapporti definiti come ‘artificiali’, basati sulla funzionalità delle relazioni, sulla razionalità degli scambi, più che sulla spontaneità.
La sociologia rurale, nata negli Stati Uniti in seguito alla crisi agricola della fine del diciannovesimo secolo, ha sin dalle origini adottato la concettualizzazione dicotomica dello spazio urbano-rurale, associando città-società da un lato e campagna-comunità, dall’altro. Lo studio di comunità è diventato lo strumento metodologico fondamentale nella disciplina e la sociologia rurale si è dedicata, nella prima metà del novecento, a studiare “modelli di socializzazione, parentela, tradizioni, abitudini e folklore nelle campagne” (Newby 1980), senza prestare alcuna attenzione alle condizioni strutturali della vita e dell’economia. L’immagine delle aree rurali si configura come quella di zone escluse dai processi di modernizzazione prodotti dall’industrializzazione, destinate a rimanere arretrate.
Negli anni ’50 e ’60 del novecento, una serie di studi di comunità dimostrano come non esista una differenziazione netta nelle forme associative delle aree urbane e di quelle rurali. Herbert Gans (1968) nel suo studio di una comunità italo-americana a Boston descrive come funzionano i rapporti sociali di tipo comunitario in città ed in particolare come gli urban villagers siano minacciati dagli interessi del capitale immobiliare nello sviluppo urbanistico. Si pongono le basi di una critica alla dicotomia urbano-rurale, ripresa anche da Ray Pahl (1966), secondo cui “urbano” e “rurale” sono termini descrittivi e non certo esplicativi.
Ma non è solo la scoperta che anche in città gli uomini possono interagire secondo forme comunitarie a mandare in crisi gli archetipi di urbano e rurale. Nel corso degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, si avviano trasformazioni strutturali profonde nelle campagne. La ‘rivoluzione verde’ rompe l’autonomia dell’agricoltura come mondo produttivo a sé stante, capace di chiudere il ciclo della produzione e riproduzione delle risorse naturali. L’agricoltura diventa un ‘settore’ legato agli altri settori dell’economia: industria e terziario. L’azienda contadina si ristruttura in realtà più grande trasformandosi in un’azienda imprenditoriale, spesso a carattere familiare, ma sempre più strettamente vincolata al complesso agro-industriale.
A partire dalla seconda metà degli anni ’70, la crisi dell’economia fordista prima e quella delle politiche agricole europee poi sono alla base di un rinnovato interesse per le campagne. Dal punto di vista dell’economia, la rinascita della ruralità si iscrive nei movimenti di ristrutturazione spaziale del capitale post-fordista: decentramento delle produzioni e ruralizzazione dell’industria, flessibilità, piccole dimensioni, diversificazione, informalità. Movimenti economici e demografici cambiano totalmente il tradizionale assetto territoriale basato su una differenziazione tra città e campagna.
In Italia, nel corso degli anni ’70 “s’interrompe l’esodo dalle campagne che si era avviato negli anni Cinquanta e si registra una lenta inversione di tendenza. All’esodo rurale incomincia a subentrare l’esodo urbano. La fuga dalle città e il ripopolamento delle campagne interessano tutte le regioni dell’Italia centro-settentrionale, mentre al Sud solo la Puglia e la Sardegna si inseriscono nella corrente” (Pascale 2014). Emerge in sostanza un fenomeno definito “rurbanizzazione” che vede le città e le campagne accorciare progressivamente le rispettive distanze le une dalle altre.
A partire dagli anni 80 si manifesta in tutto il mondo una presa di coscienza dell’importanza degli spazi naturali. I problemi ambientali spostano lo sguardo verso lo spazio rurale, diffondono nuove forme di occupazione dello spazio conducendo ad una nuova immagine del rurale.
Negli anni 90, con il Summit di Rio, viene riconosciuto a livello internazionale l’importanza di un approccio multisettoriale e integrato per lo sviluppo del territorio. Il concetto di sviluppo sostenibile – utilizzato già nel rapporto Brundtland nel 1987 – entra lentamente anche negli obiettivi della Comunità Europea con le misure agroambientali, che affiancano ai sussidi volti al sostegno delle produzioni, incentivi volti al miglioramento dell’equilibrio ecologico dello spazio rurale (Rubino 2010). Si chiude idealmente il cerchio e si apre un epoca dove le dicotomie concettuali citta-campagna e urbano-rurale non sono più in grado di interpretare la realtà. Non a caso la stessa analisi sociologica di interessa oggi di ambiente e territorio e molto meno di rurale e urbano.
I caratteri della nuova ruralità
Oggi, finalmente anche in Italia, autorevoli studi sociali come quelli prodotti dal Censis (2012), mostrano con chiarezza come i cittadini apprezzino sempre di più l’agricoltura. Ma sarebbe riduttivo leggere questo apprezzamento come una sorta di ripiego verso un settore che, evidenziando segnali di maggiore tenuta occupazionale rispetto ad altri, avrebbe più possibilità di offrire lavoro soprattutto ai giovani. La nuova ruralità va vista invece come un fenomeno che sta portando a compimento un lungo processo di ricomposizione, sul piano socio-economico e culturale, che vede le campagne diventare finalmente parte integrante dell’economia e della società (Pascale 2014).
Ma quali sono i caratteri di questa nuova ruralità? Proviamo a descriverne alcuni:
– L’emergere di nuove forme spontanee di sviluppo locale nelle campagne e un passaggio graduale da una condizione di inerzia ad una di iniziativa.
– La crescita di insediamenti in zone periurbane e rurali non distanti dalle aree urbane. Spesso l’alto costo degli affitti urbani spinge le giovani coppie a evadere dalla città, dove però si continua a lavorare, dando loro la possibilità di utilizzare il loro tempo libero in attività legate alla cura della terra (dal giardinaggio all’orto).
– Ri-costruzione di nuove forme dell’abitare e di welfare locale in grado di affrontare e risolvere i problemi degli spazi periurbani e metropolitani
– L’affermarsi di stili di vita che riscoprono l’essenzialità, la sobrietà integrando gli aspetti irrinunciabili della condizione urbana (utilizzo delle strumenti della comunicazione) con le opportunità che i territori rurali sono in grado di offrire (dalla partecipazione alla fitta reti di legami sociali al piacere di coltivare un orto e di preparare una pietanza tipica).
– La ruralizzazione delle città che cerca di rispondere a bisogni vitali. Nelle città dei paesi industrializzati sono fiorite iniziative che tendono a ritrovare “sotto i selciati, la terra”. Si pensi ai giardini pubblici o privati, alla creazione di spazi per il giardinaggio rivolti ai bambini, alla valorizzazione delle piante e degli animali selvatici che vivono la città.
– La rigenerazione di un’agricoltura relazionale e di territorio. In particolare l’esperienza dell’agricoltura sociale, sia in Italia che in Europa, è l’esempio concreto di una nuova idea di urbano-rurale che sta prendendo corpo.
– Il diffondersi di esperienze di economica civile in ambito agricolo (es. agricoltura sociale) che spesso operano in un’ottica multifunzionale offrendo molteplici servizi alla persona e opportunità lavorative che accrescono il benessere fisico (dalle fattori didattiche agli agriturismi, dalle cooperative che inseriscono lavoratori disabili a realtà che si interessano di tutela dell’ambiente)
– La condizione per la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio è la presenza dell’uomo e non certo la sua assenza. Son a tutii i noti di danni dello spopolamento delle campagne
– La fioritura di una leva di neo-agricoltori il cui obiettivo non è produrre cibo in sé, ma produrlo in un certo modo per ottenere beni pubblici capaci di soddisfare bisogni collettivi. I nuovi contadini cercano forme di cooperazione con gli altri contadini nell’ambito del territorio locale o nazionale, attivando connessioni e sinergie, costituendo, ad esempio delle associazioni o situazioni di mercato autonome dalla grande distribuzione e capaci di essere alternative ai modelli dominanti.
– L’emergere di una tipologia di consumatore che vuol essere partecipe del processo con cui si crea il prodotto agricolo e non semplicemente spettatore. Vuole essere un co-protagonista che interagisce con il produttore, diventando un consum-attore. Egli non si limita ad informarsi sui diversi prodotti, guardare l’etichetta e acquistare passivamente il bene in qualunque punto vendita. Vuole invece partecipare attivamente al rapporto di scambio dopo essersi aggregato, anche informalmente, in gruppi di acquisto o in comunità di cibo (Pascale 2014).
– L’emergere di un nuovo umanesimo rurale. In sostanza la nuova ruralità opera una sorta di capovolgimento dei mezzi in fini, per ristabilire un ordine di priorità che si era smarrito con la modernizzazione: è l’uomo coi suoi bisogni e le sue aspirazioni più profonde e sono i beni pubblici, relazionali e ambientali, i fini dell’attività economica. Il processo produttivo, il prodotto e la sua scambiabilità sono soltanto i mezzi per conseguirli (Pascale 2014).
Bisogna infine osservare che la nuova ruralità nel Mezzogiorno si presenta con caratteristiche proprie e coerenti con una tradizione rurale che pone al centro le città e gli insediamenti abitativi, come parti integranti e non separate della campagna.
Nel nuovo volto dei territori italiani non più rurali e non più urbani emergono in forme nuove legami comunitari, economie civili, agricolture di servizi, reti di mutuo aiuto e di reciprocità sorte spontaneamente nell’humus di tradizioni e culture rurali millenarie, le cui forme costituivano sistemi di welfare ante litteram. L’attenzione che l’opinione pubblica sta rivolgendo all’agricoltura andrebbe, pertanto, esaminata guardando ad un arco temporale di lungo periodo per coglierne fino in fondo le cause e i caratteri. E per ripensare complessivamente lo sviluppo.
Il pensiero delle Acli
Le Acli, grazie anche all’azione culturale e politica di Acli Terra, da sempre sono attente al mondo agricolo e alle trasformazioni che sono avvenute dal dopoguerra ad oggi. Sul tema della nuovo ruralità va ricordato come negli Orientamenti congressuali 2009 dal titolo “Persone, comunità, territori: per un nuovo umanesimo rurale” venga detto esplicitamente: “Intendiamo coltivare una nuova idea della ruralità, investita, oltre che su processi produttivi, anche su finalità sociali di coesione delle comunità locali e di salvaguardia delle loro identità; pensiamo, nel contesto, ad un rinnovato welfare, che pratichi, rispetto al mondo rurale, forme molto più inclusive di garanzia di diritti di cittadinanza specifici di territori e di comunità altrettanto specifici. A partire da un tale possibile progetto, si possono intravvedere gli elementi della costituzione culturale di un nuovo umanesimo rurale, tutti rintracciabili in una riconsiderazione del ruolo formidabile di cui è capace un’agricoltura protesa a fare della produzione di beni e servizi, come della tutela della natura e dell’ambiente, luoghi essenziali per la vita dell’uomo e per la custodia del creato. (p. 3)
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