La giustizia è una virtù sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti degli altri attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge. Di conseguenza una società che non riesce a garantire una base comune di diritti e di opportunità ai cittadini è ingiusta

La giustizia è una “virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge” (Treccani). Di conseguenza una società che non riesce a garantire una base comune di diritti e di opportunità ai cittadini è ingiusta. Potremmo sostenere che il livello di giustizia determina il grado di equilibrio delle relazioni di una società. Don Lorenzo Milani sosteneva che una delle più grandi ingiustizie e fare parti uguali tra diseguali. L’affermazione richiede di declinare in modo critico la virtù della giustizia. Richiede di uscire dal mero parametro di garantire un’uguaglianza omologante per dirigersi verso la valorizzazione della libertà di ognuno. Fare parti uguali tra disuguali significa considerare le differenze condizioni di partenza di ogni cittadino, ma anche le diverse caratteristiche personali, il diverso impegno, la diversa applicazione, il diverso merito di ognuno.

Alle origini di una lettura
Per Aristotele la giustizia è una proporzione dei rapporti tra le persone: una proporzione geometrica che richiede una ripartizione di cariche, onori e beni in base al valore di ciascuno e una proporzione aritmetica che distribuisce tra tutti in base al principio di uno scambio tra equivalenze. Si stabiliscono così due caratteristiche della giustizia: la distributiva che considera le peculiarità di ogni persona e la commutativa che invece è indipendente dai singoli.

Cicerone nel de officii sottolineava due compiti della giustizia che spettano all’uomo onesto: da una parte il rispetto dell’altro e il rispetto di ciò che è comune e di ciò che è privato; dall’altra parte la “beneficienza” cioè il “mettere in comune le cose di utilità comune” (Cicerone, de Officii, n 21). Nella sua lettura si evidenzia un aspetto della giustizia che è la tutela dell’uomo onesto e quindi la richiesta di garanzia di leggi che lo tutelino, non solo verso l’altro ma anche verso la Repubblica, mentre relega la giustizia commutativa all’iniziativa dei singoli.

Idee di giustizia
La giustizia come base di partenza è l’idea che caratterizza John Ralws: nella sua teoria politica i fondamenti per una giustizia si identificano in un accordo che individua “Istituzioni giuste” che tutti i contraenti (i cittadini) dovrebbero rispettare. John Rawls nel suo libro Una teoria della giustizia spiega che una società giusta si riconosce perché persegue il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone. A tale fine i beni sociali dovrebbero essere distribuiti in modo eguale per garantire simili opportunità. La giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali e si basa su un doppio impegno: ogni persona accetta, e sa che gli altri accettano, gli stessi principi; le istituzioni riconoscono e garantiscono quei principi per tutti.

Secondo Rawls in una situazione primordiale di convivenza le persone adotterebbero due criteri: «il primo richiede l’eguaglianza nell’assegnazione dei diritti e dei doveri fondamentali; il secondo sostiene che le ineguaglianze economiche e sociali, come quelle di ricchezza e di potere sono giuste soltanto se producono benefici compensativi per ciascuno, e in particolare per i membri meno avvantaggiati della società» (Rawls, 2002: 30).

Il contratto sociale tutelerebbe tutti gli individui dalle disuguaglianze di partenza, che originano la vera ingiustizia. Essa deriva non da una differenza di reddito o di posizione, da attribuire al merito delle persone, ma dalle disuguaglianze “immeritate”, come nascere povero o in una famiglia poco istruita, oppure avere un handicap: tutti elementi esterni che incidono sulle possibilità di una persona di vivere in modo adeguato. Garantire giustizia sarebbe il presupposto per garantire una cooperazione all’interno di una stessa comunità tra i cittadini che si sentirebbero liberi di agire senza essere vincolati nelle proprie scelte.

La giustizia come distribuzione delle risorse e delle possibilità è un altro approccio molto variegato, risalente alle correnti marxiste e agli studiosi illuministi come Adam Smith o Condorcet, si focalizza sull’interesse per le differenze che si osservano nelle condizioni di vita delle persone. Si basa sugli accordi possibili per migliorare la “giustizia” e le istituzioni che dovrebbero esserne garanti. All’interno di questo filone si colloca anche Marx che inserisce la riflessione sulla giustizia nella sua critica al sistema di produzione capitalistico sottolineandone la sua intrinseca sovrastruttura ideologica che giustifica il potere della borghesia. Per il pensatore tedesco la giustizia per essere criterio di librazione e non di oppressione si deve fondare sull’uguaglianza economica e sociale e si misura nella ripartizione del lavoro sulla base delle potenzialità di ognuno e nella ripartizione dei frutti del lavoro sulla base dei bisogni di ciascuno.

Tra gli esponenti contemporanei di questo approccio il personaggio maggiormente riconosciuto è Amarthya Sen, che si concentra sulla ricerca di giustizia basata sulla realtà concreta e centrata sulle persone. La sua teoria supera il contratto sociale che necessariamente deve tenere conto della presenza di uno Stato sovrano, perché si concentra sulla vita delle persone più che sulle situazioni e punta alla ricerca di un accordo ragionato per far progredire la giustizia invece di fissare un’ideale “le istituzioni giuste”. Scrive Sen che «questa differenza rende possibile discutere della “giustizia globale”, che è essenziale per affrontare problemi come le crisi economiche globali, il riscaldamento globale o la prevenzione e la gestione delle pandemie» (Sen, 2013: 15). Estendere le questioni di giustizia ai rapporti internazionali pone ulteriori interrogativi a partire dall’identificazione della comunità di riferimento e dei soggetti coinvolti. Sottolinea Marta Nussbaum, commentando il de officii di Cicerone che «il punto principale è che le istituzioni di un certo tipo sono buoni garanti del popolo, in virtù della loro sensibilità verso la voce della gente: e questo ne fa mezzi fatti a incanalare i doveri di aiuto» (Nussbaum, 2008: 88). Il limite della giustizia si colloca oggi nella dimensione internazionale come possiamo garantire diritti e sostegno al di fuori dei confini della “repubblica” o dello Stato e della comunità familiare? Per la Nussbaum mentre «immaginiamo di poter assicurare a tutti rispetto e sincerità, di poter garantire a tutti che non subiranno stupro, tortura, aggressione» diventiamo meno sicuri quando si tratta di affrontare problemi di redistribuzione, come se «la giustizia possa essere distribuita universalmente senza denaro» (Nussbaum, 2008, p. 90).

La giustizia come criterio per l’azione personale e politica sembra caratterizzare i pensatori cristiani. Per Jacques Maritain la giustizia è una pietra angolare per la convivenza civile oltre il machiavellico principio secondo cui il fine giustifica i mezzi: «la giustizia opera con la sua propria causalità, nel senso della prosperità e del successo per l’avvenire, come una buona linfa opera in vista del frutto perfetto; e che il machiavellismo, con la sua propria causalità, opera per la rovina e la bancarotta, come il veleno nella linfa opera per la malattia e la morte dell’albero» (Maritain, 1977: 143). Se il fine giustifica i mezzi qualsiasi azione che è praticata nel processo che avviene per raggiungere un obiettivo è possibile. Invece la felicità per il futuro è costruito dalla qualità del processo che costruisce la storia. Il filosofo evidenziava il ruolo virtuoso della giustizia capace, con la sua presenza o assenza, di condizionare le conseguenze di scelte economiche o politiche sulla vita dell’uomo. Teorie politiche ed economiche asettiche diventano corrosive e limitanti: «la politica ha per fine la prosperità, la potenza e il successo materiali per lo Stato e tutto ciò che porta al conseguimento di questo fine, – perfidia e ingiustizia incluse – è politicamente buono. L’economia ha per fine l’acquisizione e l’aumento illimitato delle ricchezze, la ricchezza materiale come tale. E tutto ciò che porta al conseguimento di questo fine – perfino l’ingiustizia, perfino condizioni di vita oppressive e inumane – è economicamente buono. … Le leggi politiche ed economiche non sono leggi puramente fisiche, come quelle della meccanica o della chimica, sono leggi dell’azione umana, che investono valori morali, la giustizia, la bontà, il retto amore del prossimo sono parti essenziali della stessa struttura della realtà politica ed economica» (Maritain in Perrotti Barba, 2009: 87-88). Per il filosofo dell’umanesimo integrale la giustizia diventa un criterio di discernimento per l’azione delle persone e per l’azione comunitaria e si misura attraverso la prospettiva delle potenzialità di crescita dei singoli e del bene comune.

Paul Ricoeur lega la realizzazione della giustizia alla virtù dell’amore: «La mia ipotesi è che il punto più alto a cui può mirare l’ideale di giustizia è quello di una società ove il sentimento di reciproca dipendenza – perfino anche di un essere reciprocamente in debito – resta subordinato a quello di reciproco disinteresse» (Ricoeur, p. 30). Il filosofo francese critica Rawls perché tende a isolare e decontestualizzare l’ideale di giustizia: questo circoscrive l’attenzione alla reciprocità vincolata agli interessi di ciascuno e di fatto limita la solidarietà. Secondo Ricoeur c’è un rapporto stretto, quasi vincolante tra giustizia e amore: solo riconoscersi reciprocamente in debito fonda l’equilibrio di una cooperazione soggettiva che permette di sopportare le disuguaglianze in una società di uguali; allo stesso tempo solo l’ancoraggio alla Regola d’oro, che afferma: «fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te» – fonda l’idea di giustizia distributiva –, permetterebbe di rendere accettabile l’amore per i nemici altrimenti, infatti come scrive Ricoeur «quale legge penale e in generale quale regola di giustizia potrebbe essere tratta da una massima d’azione che erigesse la non-equivalenza a regola generale» (Ricouer, 2000, p.40).

Nella Bibbia e nel magistero della Chiesa
Nella sapienza biblica la mancanza di giustizia provoca le grida del popolo che si lamenta per la sopraffazione degli ultimi, per il disinteresse verso i poveri, gli orfani e le vedove. La giustizia è indicata come relazione tra soggetti attenti alla loro libertà, quindi la sua assenza lede la libertà di ognuno: spiega il biblista Pietro Bovati che: «la giustizia è quella qualità della relazione per cui ad ognuno è dato quello che gli spetta come soggetto… la norma interiore della giustizia è l’altro (e non una legge per quanto perfetta); in altre parole, il soggetto è definito giusto o ingiusto a seconda del suo modo giusto o ingiusto di rapportarsi con l’altro» (Bovati, 1996).

La giustizia diventa un criterio di valutazione della libertà delle persone e dei popoli di vivere nella comunità internazionale dentro un sistema interdipendente. Nel Compendio sulla dottrina sociale della Chiesa si legge che «la giustizia risulta particolarmente importante nel contesto attuale, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni d’intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità e dell’avere» (n. 202).

All’interno di uno scenario globale il rapporto tra giustizia e ingiustizia non riguarda soltanto le persone ma i popoli. Come scriveva Paolo VI nella Populorum Progressio «combattere la miseria e lottare contro l’ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità».

Il Magistero sociale della Chiesa riconosce tre tipologie di giustizia:
– commutativa, che riguarda la regolazione nello scambio delle “cose”;
– distributiva, che considera la ripartizione delle ricchezze l’utilizzo dei beni pubblici;
– legale, che regola i rapporti tra società e i propri membri.
Alle tre si aggiunge la giustizia sociale che ha una prospettiva dinamica e «concerne gli aspetti sociali, politici ed economici e, soprattutto, la dimensione strutturale dei problemi e delle correlative soluzioni» (Compendio Dsc, 201).

Percorsi di giustizia
Per concretizzare le idee di giustizia proponiamo due possibili percorsi. In un caso si tratta di “ristabilire equità” in rapporti feriti delle persone nell’altro caso si tratta di applicare un criterio di redistribuzione per “non fare parti uguali tra diseguali” come affermava don Milani.

1. La giustizia riparativa
La giustizia riparativa si inserisce in una pratica innovativa, quando si cerca di recuperare uno stato di giustizia, e riguarda vari ambiti di vita: non solo del diritto penale ma si rivolge alla scuola o alla famiglia ad esempio. Si tratta di un processo di mediazione dove considerare dentro una stessa azione i tempi della vittima e quelli del colpevole, i tempi della comunità e quelli dell’istituzione.

La giustizia riparatoria penale è regolata da leggi e si può riconoscere dentro due ambiti:
– si mette sullo stesso piano di esercizio dei diritti reo e vittima: ovvero entrambi hanno diritto di parola rispetto alla comprensione dell’evento, della sua gravità e della regolazione della riconciliazione;
– lo Stato assume il diritto della vittima, che non partecipa al processo, il reo gode dei vantaggi derivanti dalla mediazione.

L’esempio classico di giustizia riparatoria è il processo di pacificazione in Sudafrica dopo l’apartheid: presupposto era l’irreparabilità di alcuni mali: in determinate situazioni non si possono ristabilire le condizioni iniziali; ai rei invece veniva chiesto di spiegare cosa era successo e come avevano agito loro e le vittime; l’obiettivo del fare memoria era quello di trovare una verità condivisa; le vittime o i loro parenti chiedevano un riconoscimento.

Rispetto all’azione riparativa, che in Italia introduce una cultura nuova; sono indicati quattro soggetti da tenere in considerazione: il reo, la vittima, lo Stato/istituzione, l’ambiente sociale (la comunità). Tutti entrano in gioco nel processo e sono fondamentali per avviare una riparazione.

Sono evidenziate cinque caratteristiche dell’azione, che deve
– essere inserita nella dinamica della violenza perpetrata e subita;
– accompagnare tutti i soggetti nella comprensione/accettazione e superamento dell’accaduto;
– meditare sull’equilibrio dei rapporti tra vittima e reo considerando che i loro tempi non sono gli stessi;
– essere unica e originale per ogni reato;
– essere produttiva di un nuovo punto di vista emotivo, essere capace di spostare le emozioni.

2. La giustizia fiscale
Le scelte politiche in materia fiscale, anche quando si tratti di opzioni a prima vista vantaggiose per il contribuente, non possono ignorare il basilare principio della giustizia tributaria. Trascurare questo principio equivale oltre a discreditare la classe politica, produce disaffezione verso le istruzioni democratiche. La storia insegna che, in qualche occasione, l’ingiustizia fiscale è stata la fonte di sanguinose rivolte.

L’attuazione di una vera giustizia fiscale e quindi sociale potrebbe essere conseguita solo considerando il fisco quale casa comune della collettività, in una visione di reciprocità e solidarietà, elevandolo in tal modo a strumento di promozione dello sviluppo e di una migliore distribuzione delle risorse disponibili.

Per questa via il fisco non risulterebbe più essere un autoritario e arbitrario prelievo senza nessun beneficio per i contribuenti, ma quale opportunità di spesa al fine di avere un vantaggio per tutta la collettività.

Di conseguenza l’evasione fiscale verrebbe considerata una disobbedienza e pertanto dovrebbe essere sanzionata. Questo non significa che oggi non siano previste sanzioni per chi evade il fisco, ma sono previste una serie di agevolazioni e riduzioni che consentono al contribuente di fare una serie di valutazioni sulla convenienza a sottrarsi alla legge tributaria.

L’evasione fiscale, che costituisce senza dubbio una piaga per l’economia italiana, è un fenomeno da combattere con forza se ci si vuole incamminare verso la prospettiva delle giustizia fiscale. Peraltro va osservato che tutti i grandi gruppi economici e finanziari del mondo centrano le loro strategie sull’utilizzo sistematico dei paradisi fiscali.

L’abuso di queste giurisdizioni, che garantiscono il segreto fiscale, bancario e societario, è oramai un cancro per l’intera economia mondiale. Come se non bastasse, i più grandi paradisi sono alcune delle principali piazze finanziarie, a partire dalla City di Londra e da Singapore. Chi ne fa le spese è la gran parte dell’umanità, in particolare i cittadini dei paesi in via di sviluppo che devono far fronte a una continua fuga di capitali dal loro territorio verso quelli più ricchi. E’ quindi necessario combattere l’evasione e l’elusione fiscale in stretta sinergia con l’impegno che su questo punto stati ed organizzazioni internazionali come l’Ocse si sono assunti.

Bisogna intervenire urgentemente nel settore nevralgico della finanza riducendo la propensione a sprecare risorse nelle speculazioni ad alta frequenza rendendo i capitali finanziari più pazienti e mettendoli al servizio dell’economia reale: separazione tra banca commerciale e banca d’affari, tassa sulle transazioni finanziarie e modifica dei sistemi premiali di manager e trader sono tre punti fondamentali della campagna 005 che si batte per questo cambiamento. Per questo le Acli da diversi anni sostengono questa Campagna che ridurrebbe drasticamente la mole speculativa dei mercati finanziari internazionali nell’interesse dei cittadini e dei più poveri del pianeta.

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