Misericordia e Concilio Vaticano II
Concilio e misericordia sono una combinazione che può essere letta insieme. Il concilio ha avviato un cambiamento nella chiesa, sia nel modo di parlare di Dio agli uomini, sia nell’essere segno vivo dell’amore del Padre, che la chiesa realizza proprio attraverso la misericordia. Al termine del concilio Paolo VI, ricorda Francesco, ha dichiarato che la ricchezza di tutta la dottrina si indirizza verso «un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità».
Il Concilio Vaticano II è stato un evento straordinario. Con lo scorrere del tempo si possono evidenziare alcuni aspetti principali del percorso conciliare: «molti frutti sono penetrati nelle fibre del corpo ecclesiale… la maturata coscienza della vocazione ecclesiale di ogni battezzato; il richiamo a vivere l’autorità come servizio e non come dominio; l’invito e un accostamento assiduo alla Scrittura; la consapevolezza di tutti i credenti di essere chiamati all’annuncio del vangelo e alla testimonianza di vita; l’impulso al dialogo ecumenico e al confronto con altre religioni; la rinnovata apertura al mondo e alla cultura; la riscoperta della dignità di ogni persona umana e il riconoscimento dell’atto di fede come appello di libertà» (Vergottini, 2003). Il teologo Marco Vergottini, in Perle del Concilio, offre tre indicazioni per rileggere la novità dell’evento dopo cinquant’anni: il concilio come “aggiornamento” per rinnovare la chiesa alla luce di Cristo; il concilio come nuovo stile, che non impone leggi o lancia anatemi, ma che promuove ideali, favorisce una pastorale che maturi i cuori.
Proprio la misericordia può diventare la cifra per sintetizzare le novità introdotte e portare a una nuova forma la vita di fede personale e comunitaria. Misericordia, si legge nella Bolla di indizione è la parola che rivela la Trinità, è l’atto con cui Dio ci viene incontro; è la legge che abita il cuore di ogni persona, è la via che unisce a Dio. Per i cristiani la misericordia è una realtà concreta che da un lato evidenziala responsabilità di Dio per gli uomini e le donne, dall’altro lato evidenzia la credibilità della chiesa che passa attraverso le strade della pratica dell’amore. C’è una doppia direzione della misericordia. Quella verticale tra Dio e l’uomo: scrive il Papa «la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore viscerale» (Francesco, 2015, n. 8) Quella orizzontale tra gli uomini: «Gesù afferma che la misericordia non è solo agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere» (Francesco 2015, n. 9).
Misericordia come categoria generatrice
Il teologo di Walter Kasper sottolinea come la Misericordia sia una virtù trascurata dalla teologia tradizionale. Invece è una delle categorie con cui è più facile comunicare Dio, infatti, "la misericordia è la perfezione dell’essenza di Dio. Dio non condanna, ma perdona, dà e dona in una misura buona, sollecita, vagliata e sovrabbondante" (Kasper, 2013, p. 105). La misericordia può essere considerata una categoria generatrice per il pensiero cristiano. Esercitare misericordia è un’azione capace di connettere il pensiero e le opere in modo fecondo e di spronare con un nuovo stimolo la chiesa cattolica.
La misericordia, spiega Stella Morra in Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale, risponde, infatti, a una questione di forma della chiesa, cioè alla modalità che la rende visibile nel mondo e vivibile per i cristiani, come evidenzia la teologa. Morra segnala sette caratteristiche che delineano la potenzialità di categoria generatrice per la misericordia, sono sette opere-azioni (Morra, 2015, pp. 105-109):
1. L’oggetto fuori di sé: la misericordia si riferisce a una relazione, è adatta a indicare uno stile dei soggetti senza essere legata a situazioni particolari: «la misericordia non è una cosa ma si concretizza in cose, in gesti, azioni… non è una res, bensì il nome di una relazione e della sua qualità»;
2. La bi-direzionalità: all’interno di un’azione di misericordia soggetto e oggetto possono scambiarsi i ruoli: «mentre noi ci teniamo a distinguere tra i momenti in cui siamo oggetti passivi rispetto alla volontà di Dio (che ci crea, ci ama, ci mette alla prova…) e soggetti attivi rispetto alla responsabilità della vita (per cui io scelgo, io devo, io devo essere…), il vangelo racconta di un Gesù che parla quasi solo per enunciati performativi… al centro del vangelo non stanno le definizioni, ma le relazioni»;
3. La processualità interna: la misericordia può ripetersi ma non è mai identica, modifica i soggetti cambiandone la relazione. «Lo stesso movimento può essere ripetuto all’infinito e non sarà mai lo stesso atto: anche se avrà gli stessi soggetti e oggetti, il cambiamento operato in precedenza ha mutato anch’essi, per cui il nuovo atto di misericordia è sempre nuovo»;
4. Il valore pratico: la misericordia chiede di essere vissuta più che spiegata, sperimentata più che insegnata: «Il suo spiccato valore pratico ha una preponderanza rispetto a qualsiasi generalizzazione. La misericordia è sempre storica»;
5. L’inclusività: la misericordia è specifica e particolare ma, allo stesso tempo, generale; essa riesce a essere esperienza concreta per una persona e comprensibile a tutta l’umanità: «La misericordia è sempre collocata, precisa, è quella che ho ricevuto o che ho esercitato. Se è astrazione non è misericordia… Ogni esperienza particolare di misericordia è lo sfondamento, l’apertura che consente di comprendere quel gesto particolare come una finestra su qualche cosa che riguarda tutti»;
6. La non appartenenza: la misericordia non è esclusiva esperienza di una fede specifica o di una cultura particolare, quindi può essere terreno di incontro comune nella differenza: «nel linguaggio comune la misericordia “viene dal cuore”, non dal calcolo o dalla ragione. Alla categoria della misericordia come affidamento al totalmente altro arriva anche la riflessione di alcuni esponenti dalla scuola di Francoforte»;
7. La produzione di pensiero: la misericordia è un luogo creativo e innovativo che richiede intelligenza per immedesimarsi. «Bisogna essere capaci di indossare i panni dell’altro per esercitare misericordia, non basta la semplice intenzione. Occorre stare dentro una relazione in cui azione ed emozione non impediscono, ma producono un pensiero».
Giustizia e misericordia: un legame inscindibile
C’è un rapporto stretto tra giustizia e misericordia. La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile, perché contribuisce a regolare i rapporti tra le persone, a ristabilire un ordine; la giustizia può innescare una dinamica liberante se riesce a promuovere condizioni che valorizzino le potenzialità negate, represse o oppresse di uomini e donne. Nella Bolla di indizione del giubileo si presta attenzione anche ai criminali e ai corrotti che rompono l’equilibrio costruito sulla giustizia in una società. A loro viene rivolto un invito al pentimento e alla conversione di vita. Nell’approccio cristiano la misericordia diventa un criterio discriminante per applicare la giustizia. La porta del giudizio è aperta a stabilire o ristabilire una condizione di pace.
Il biblista Jean Pierre Sonnet presenta i due termini, giustizia e misericordia, come attributi di Dio, a partire dalla frase di Esodo 20, 5-6 «poiché io il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso, che visita la colpa dei padri presso i figli su tre o quattro generazioni, se mi odiano, e da prova della sua benevolenza a migliaia di generazioni, se mi amano e osservano i miei comandamenti». Sonnet segnala che durante l’Esodo, nel rapporto tra Dio e Mosè, si scopre una dinamica tra giustizia e benevolenza (misericordia). Dallo studio scaturisce che la colpa è attribuita solo al soggetto che rompe l’alleanza con Dio, il quale chiede un impegno responsabile. È il peccato che coinvolge le generazioni contemporanee al peccatore, per questo il Signore le avvisa e le visita, perché sono a rischio.
Contemporaneamente Dio fa «grazia e misericordia senza essere legato dalla fedeltà e dalla non fedeltà della controparte umana nell’alleanza» scrive Sonnet. Nella sua libertà Dio è capace di esercitare il perdono Mosè è un esempio di intercessore per il popolo. Spiega il biblista che «l’asimmetria tra la retribuzione immediata (lato giustizia) e la retribuzione a lunga durata (lato benevolenza) è rivelatrice: fa capire qual è la forza che sostiene la storia dal lungo corso»: si tratta della misericordia quella relazione tra Dio e l’umanità che segna in modo processuale e sempre nuovo la storia della salvezza del mondo, in un continuo rimando al legame di Alleanza.
Tenere nel cuore i miseri è uno dei sentimenti principali attribuiti a Dio, osserva Enzo Bianchi in una riflessione su Avvenire. La misericordia è scandalosa, scrive il monaco di Bose: «quasi sempre è apparso più attestato il ministero di condanna piuttosto che quello della misericordia e della riconciliazione. Basterebbe leggere la storia con attenzione, per vedere con quale sicurezza lungo i secoli è usata la parabola della zizzania, autorizzando il suo sradicamento, fino alla sua condanna al rogo». Legati alla capacità della misericordia c’è un’idea di giustizia e di perdono che vanno ricompresi. L’idea cristiana di misericordia non è legata al binomio sbaglio-punizione, ma peccato-perdono. Il padre buono della parabola non punisce il figliol prodigo che ritorna, ma lo ri-abilita; lo rende capace di agire di nuovo nella pienezza delle sue potenzialità.
Giubileo di misericordia, una lunga storia
L’anno giubilare diventa un tempo particolare, nella Bolla di indizione si rileva come uno dei segni del giubileo sia il pellegrinaggio, indicatore del percorso della vita. Anche la misericordia diventa meta da raggiungere per il cristiano, sapendo curare alcuni atteggiamenti: non giudicare, saper cogliere il bene, perdonare, donare.
Giubileo ha origine ebraica, fin dall’inizio è connesso a un’idea di misericordia, di attenzione agli ultimi, di ritorno a un equilibrio perso. Nella Torah ogni cinquant’anni è chiesto di festeggiare un anno di riscatto, di liberazione dalla sofferenza, dalla povertà, e dall’emarginazione, un anno di remissione dei debiti, di restituzione della terra. Il Dio di Israele chiede di rimettere il suo popolo in equilibrio, di collocare la società a un punto di ripartenza, dove si possano ridurre le disparità, a partire dalle disuguaglianze economiche e sociali.
In Levitico 25, 10-17 si legge: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest’anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo. Quando vendete qualche cosa al vostro prossimo o quando acquistate qualche cosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello. Regolerai l’acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l’ultimo giubileo: egli venderà a te in base agli anni di rendita. Quanti più anni resteranno, tanto più aumenterai il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il prezzo; perché egli ti vende la somma dei raccolti. Nessuno di voi danneggi il fratello, ma temete il vostro Dio, poiché io sono il Signore vostro Dio».
Al suono del corno di montone (Jobel) sarebbe iniziato l’anno di grazia. Il fondamento del giubileo si basa su motivi religiosi, che risalgono ai testi biblici: restituire il possesso della terra, a chi ne era stato privato, e liberare dalla schiavitù gli ebrei, che ne erano caduti vittima, sono modi per ricordare l’alleanza con Dio, che dona la terra promessa al suo popolo, e che lo libera dal giogo degli egiziani. Tuttavia «la pratica dell’anno giubilare non è testimoniata con certezza da alcun testo. È possibile che si tratti di una legge ideale di uguaglianza sociale, di giustizia mirante a limitare il diritto di proprietà dandone le ragioni profonde in pieno accordo con i principi del diritto esposti in tutto l’Antico Testamento» (Moraldi, 1988: p. 798).
È significativo che Gesù proclami il brano di Isaia, nel quale si annuncia la venuta dell’anno di misericordia del Signore, proprio nella sinagoga di Nazareth, episodio collocato dall’evangelista Luca come punto di inizio della sua predicazione. Gesù commenta Isaia con queste parole: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc. 4,21). Come a segnalare che il regno, che viene annunciato, realizza la profezia di Isaia (Is. 61,1-2):
«Lo spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di misericordia del Signore».
La Chiesa cattolica inizia a celebrare il Giubileo nel 1300, quando Bonifacio VIII emana la Bolla Antiquorum habet fida relatio. Si istituzionalizzava così una tradizione, non provata storicamente, di indulgenza dai peccati ogni cento anni dalla nascita di Gesù. La cancellazione dei peccati sarebbe stata concessa ai romani e ai pellegrini dopo la visita nelle Basiliche romane. Da allora si sono susseguiti trenta giubilei. Nel giubileo del 1500 Papa Alessandro VI introdusse la pratica del passaggio della Porta Santa. L’ultimo Anno santo è stato celebrato nel 2000 con Papa San Giovanni Paolo II (www.giubileo2015online.it).
Papa Francesco nella Bolla di indizione evidenzia alcune caratteristiche dell’Anno santo 2016: il pellegrinaggio che è segno del cammino di fede dell’uomo e della donna credente; la riconciliazione e l’indulgenza per aspirare alla perfezione per essere abilitati «ad agire con carità e a crescere nell’amore» (Francesco, 2015, 22); le opere di misericordia corporale e spirituale sulle quali riflettere per risvegliare la «coscienza assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina… Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti» (Francesco, 2015, 15). Un’attenzione particolare è data al rapporto tra giustizia, misericordia, conversione e perdono (Francesco, 2015, 18-20) «non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore… nella Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice. La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio» (Francesco, 2015, 20).
Bibliografia
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