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L’economia civile propone un modo di pensare al sistema economico basato su alcuni principi – come la reciprocità, la gratuità e la fraternità – che superano la supremazia del profitto o del mero scambio strumentale nell’attività economica e finanziaria. Si propone quindi come possibile alternativa alla concezione capitalista del mercato

Con economia civile si intende un modo di pensare al sistema economico basato su alcuni principi – come la reciprocità, la gratuità e la fraternità – che superano la supremazia del profitto o del mero scambio strumentale nell’attività economica e finanziaria. L’economia civile si propone come possibile alternativa alla concezione capitalista, dove il mercato diventa la principale e unica istituzione necessaria per la produzione e distribuzione di beni. L’economia civile cerca di tradurre la convinzione che una buona società è frutto sia di un mercato che funziona sia di processi che attivano la solidarietà da parte di tutti i soggetti. Quindi l’attenzione alla persona non è elusa e neppure rimandata alla sfera privata o a qualche forma di pubblica filantropia che si limita a curare le disfunzioni del mercato. Se potessimo dirlo con un’unica espressione, diremmo che l’economia civile propone un umanesimo del mercato. Si tratta di un cammino iniziato da diversi anni, attraverso esperienze concrete – basti pensare all‘Economia di comunione e a tutto il vasto mondo della cooperazione – che mostra come sia concretamente possibile un percorso di incivilimento del mercato.

Alcuni autori sostengono che l’economia civile sia un modo d’intendere l’economia tipicamente italiano, nato tra il Quattrocento ed il Cinquecento e poi sviluppato nel Settecento, soprattutto in quello napoletano e milanese, mantenendo una certa influenza fino alla metà dell’Ottocento. Il termine è certamente utilizzato nel 1754 da Antonio Genovesi, come titolo del volume delle sue Lezioni di economia. Secondo Genovesi l’ordine sociale costituisce il risultato di un bilanciamento tra la forza concentrativa (auto-interessata) e la forza diffusiva (o di cooperazione).

Il termine è poi ripreso dagli economisti Zamagni e Bruni, a cui va il merito di aver riscoperto il valore e la modernità del pensiero di Genovesi e della Scuola italiana del Settecento (ad esempio Giacinto Dragonetti, Gaetano Filangieri) e di avere chiarito come l’homo oeconomicus si debba nutrire anche di relazioni e fiducia. L’attività economica ha dunque bisogno di virtù civili, di tendere al bene comune più che alla ricerca di soddisfazioni individuali. Bruni e Zamagni, attraverso il dizionario di economia civile, affermano che “l’espressione economia civile (…) è entrata, ormai da qualche tempo, nel dibattito scientifico oltre che nel circuito mediatico, ma con significati plurimi, spesso confliggenti. C’è chi la confonde con l’espressione “economia sociale” e chi invece ritiene che economia civile altro non sia che un modo diverso, più antico, di chiamare l’economia politica. Vi sono poi coloro che la identificano con il variegato mondo delle organizzazioni non profit e addirittura coloro che vedono l’economia civile come un progetto intellettuale che si oppone all’economia solidale”.

L’economia civile si fonda –  in genere – sui seguenti principi:

1. Il principio economico di riferimento dell’attività econonica è la reciprocità. Dato che i beni e i servizi hanno un contenuto relazionale insito nel rapporto che si instaura tra chi li eroga e chi li riceve, allora esiste anche una reciprocità che può rendere lo scambio personale e significativo: reciproco. La reciprocità è diversa dallo scambio di equivalenti. Mentre il fine ultimo dello scambio di equivalenti di valore è l’efficienza e quello della redistribuzione è l’equità, il fine della reciprocità è la fraternità. Una società dove la cultura della reciprocità non ha spazio, è una società nella quale la fraternità è cancellata.

2. Il secondo principio è la fraternità, che legittima le diversità (culturali, religiose, etniche ecc.) e le rende compatibili. La società fraterna è quella che consente a ciascuno di affermare la propria personalità e la propria dignità, in un contesto di parità, cioè senza che questa diversità diventi elemento di conflitto, ma viceversa di unità. La fraternità è un bene di legame, che fa sì che gli individui liberi e uguali diventino anche persone, cioè individui in relazione tra di loro. All’anomia dell’approccio capitalistico (esito più volte manifestato), l’economia civile propone la fraternità.

3. Il terzo principio è la gratuità, da non confondersi con l’altruismo e la filantropia; la gratuità porta ad accostarsi agli altri non in cerca di qualcuno da usare a nostro vantaggio, ma da trattare con rispetto, in un rapporto di reciprocità.

4. Il quarto principio è la felicità pubblica. Mentre la ricerca della felicità mette al centro l’individuo, la ricerca della felicità pubblica nasce da un’etica delle virtù e del bene comune. In questi tempi di crisi stiamo vedendo che la stessa ricerca individuale di felicità non si compie senza prendere sul serio la dimensione sociale e relazionale. Non c’è felicità individuale senza quella pubblica.

5. Il quinto principio è la pluralità degli attori economici. L’economia civile consente di rendere più democratico il sistema economico coinvolgendo sia imprese profit sia non profit, sia pubblici sia privati, superando così il duopolio Stato – mercato. Accanto alle forme tipiche dello Stato e del mercato, le attività di economia civile possono dar vita ad istituzioni di welfare civile che si diffondono sul territorio e a forme di democrazia deliberativa che consentono di ascoltare e consultare i cittadini. L’economia civile può dunque promuovere lo sviluppo di forme innovative di welfare e di democrazia.

L’economia civile è spesso confusa con altre espressioni che si richiamano a matrici culturali non dissimili. Pertanto proponiamo, facendo ancora riferimento al dizionario di economia civile di Bruni e Zamagni e al Glossario di economia sociale realizzato da Aiccon, qualche elemento per usare con più proprietà i diversi termini.

Economia sociale
Si tratta di un’espressione che contiene più significati.
Un primo significato identifica quei soggetti socio-economici che operano perseguendo un obiettivo differente dal solo profitto e che nel loro agire sono mossi da principi quali la reciprocità, la democrazia, la solidarietà. Ad esempio in Francia identifica quella serie di organismi differenti – dalle associazioni, alle mutue, dalle cooperative alle fondazioni – che dà luogo alla “economia sociale e solidale”. Di conseguenza l’aggettivo sociale si riferisce ai soggetti che creano rapporti economici secondo alcuni valori. Tra questi soggetti vi possono essere anche soggetti profit e soggetti pubblici (es. aziende di Stato).

Un secondo significato rinvia ad un’istanza partecipativa tra i molti soggetti, singoli o aggregati, che prendono parte alle decisioni in ambito economico; di conseguenza l’aggettivo sociale fa riferimento all’economia tutta, formata da imprese nelle quali è assicurata la partecipazione democratica di tutti coloro che in esse lavorano oppure al controllo della conduzione degli affari e alla ripartizione dell’utile di esercizio (ad esempio, l’impresa cooperativa). Un esempio è la Germania, dove il capitalismo è temperato da un’impronta sociale, che traduce la vicinanza a forme di solidarietà concreta fondate sulla partecipazione e sull’associazione e che riducono il divario tra capitale e lavoro.

Un terzo significato veicola l’idea di un modo di concepire l’economia secondo cui il benessere prodotto include tutti i cittadini; dunque l’aggettivo sociale sarebbe l’esito finale dei processi politici messi in atto nella società, per correggere le distorsioni generate dal mercato.

Economia solidale
Con questo termine si individua un modello economico che mette al centro del proprio operare la vita delle persone e le sue relazioni, la qualità della vita e l’ambiente. Il sistema su cui si basano le imprese dell’economia solidale è formato da soggetti che agiscono all’interno di una rete di relazioni sociali per favorire lo sviluppo sociale locale attraverso la diffusione di legami basati sulla solidarietà.

L’economia solidale ha assunto forme e connotazioni differenti. Nel “Sud del mondo” l’economia solidale riguarda iniziative legate all’autosostentamento, a opportunità di lavoro create nel settore informale del commercio o dell’autoproduzione, al mutuo sostegno in ambito comunitario. Nel “Nord del mondo” essa comprende quelle iniziative rivolte alla solidarietà e alla sostenibilità ambientale, al recupero del legame sociale e all’innalzamento della qualità della vita. In Italia essa comprende iniziative come, ad esempio, il consumo critico, i bilanci di giustizia, i gruppi di acquisto solidali, il commercio equo e solidale, la finanza etica, il turismo responsabile, l’agricoltura biologica, le cooperative sociali e di produzione.

Il dibattito sul tema
Il dibattito sviluppatosi sopratutto in Italia sull’economia civile parte da una radicale critica al pensiero unico del one best way, che identifica il mercato come luogo in cui gli individui sono motivati all’azione dal solo interesse proprio (self-interest) e a tesi che affermano in modo deterministico come sia sufficiente estendere al massimo l’area del mercato per accrescere il benessere per tutti. La realtà economica e sociale che stiamo vivendo mostra i limiti di queste teorie, dando forza alla prospettiva dell’economia civile.

Questo confronto va visto in relazione ad una più ampia critica al modello di economia dominante, colpevole di aver generato una situazione di crescente disuguaglianza tra i Paesi e soprattuo all’interno dei singoli paesi. Basti pensare alle analisi di economisti come Amartya Sen, Joseph Stiglitz, Jean Paul Fitoussi e piu recentemente di Thomas Piketty.

Stefano Zamagni parte dalla critica del modello neoliberista, colpevole di aver proposto in modo irresponsabile una visione che divide in due la società, definendo il mercato come il luogo dell’utilitarismo e delegando l’altruismo e la filantropia a tutti gli altri ambiti della vita sociale che non siano ‘mercato’. Questo modello non regge di fronte alle crisi più pesanti. Così come l’economia sociale di matrice tedesca, che mostra anch’essa qualche limite. L’economia civile – secondo il noto economista – non contrappone lo Stato al mercato o il mercato alla società civile, cerca semmai di trovare codici condivisi (seppur differenti) di azione: in sostanza non separa il momento della produzione del reddito e della ricchezza dal momento della sua distribuzione; non separa l’economia dall’etica mostrando come nel mercato possano e debbano operare contemporaneamente sia le imprese capitalistiche sia le imprese sociali.

Secondo Luigino Bruni l’economia civile consente all’economia di riappropiarsi di una dimensione tipica dell’umano: la sua apertura al dono, alla gratuità. Se l’economia è un’attività umana, allora essa non è mai eticamente e antropologicamente neutra: o costruisce rapporti di giustizia o li distrugge. Da tale prospettiva il mercato è richiamato alla sua vocazione originaria, legata all’inclusione sociale, così come descritta anche da Adam Smith e dagli economisti classici, dove il contratto è sussidiario all’autentica promozione umana e al bene comune.

Leonardo Becchetti sostiene che l’economia civile si sta ponendo come una rivoluzione copernicana che supera la precedente concezione, da lui definita tolemaica, fondata su degli assunti tradizionali del pensiero economico neoclassico (massimizzazione del profitto, mano invisibile, ecc…) che mostra ormai evidenti limiti sul piano etico, sulla capacità di valorizzare i veri fattori che muovono la vita economica, come la felicità e la fiducia. Becchetti richiama i cittadini e le imprese a divenire attori di questo cambiamento: i cittadini sono chiamati a diventare consum-attori, ovvero a rendersi consapevoli del potere di cui essi dispongono attraverso le loro scelte di consumo e risparmio (voto con il portafoglio) per orientare i sistemi economici verso il bene sociale comune. Le imprese sono dunque chiamate ad essere più attente alla responsabiltà sociale che hanno per lo sviluppo del territorio.

Infine Lorenzo Caselli sottolinea come i paradigmi della scienza economica siano entrati in evidente crisi sia sul piano dell’interpretazione della realtà sia su quello normativo. È quindi urgente e necessario operare una riconciliazione tra il sociale e l’economico, superando l’impostazione per cui tutto si riconduce al calcolo dei costi o a vincoli da minimizzare. In questo senso è necessario pensare a una economia e a un welfare innestati nella società civile, in grado al tempo stesso di esercitare un’azione di pressione e di contaminazione nei confronti tanto dello Stato quanto del mercato.

Il pensiero della Chiesa sull’economia civile
La Dottrina sociale della Chiesa in diverse occasioni sottolinea la necessità di umanizzare l’economia, di renderla più civile. Citiamo solamente due documenti, tra i più importanti.
Il primo è la Centesimus annus di Giovanni Paolo II, che sottolinea la necessità di un sistema che superi il duopolio tipico del sistema capitalistico (Stato e mercato), attraverso l’affermazione di un terzo soggetto, ovvero la società civile organizzata. La Centesimus annus mette in evidenza come lo scopo dell’impresa non sia “semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società”. In questo senso “il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa” (n. 35)

Nella Caritas in veritate Benedetto XVI fa un esplicito riferimento all’economia civile. Infatti la società civile è l’ambito più proprio dove vivere «un’economia della gratuità e della fraternità» poiché «la solidarietà è anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti» (n. 38). Secondo Papa Benedetto il mercato ha bisogno di riscoprire la fiducia, la gratuità, il dono, poiché “senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca […] non può pienamente espletare la propria funzione economica”. Il Papa precisa che l’agire economico non è “da considerare antisociale. Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per sé il luogo della sopraffazione del forte sul debole […]. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l’economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici”. Anche nel mercato e nella finanza devono trovare accoglienza “il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità” (n. 36). L’attuale crisi mostra l’importanza di coniugare la giustizia in «tutte le fasi dell’attività economica, perché questa ha sempre a che fare con l’uomo e con le sue esigenze. Il reperimento delle risorse, i finanziamenti, la produzione, il consumo e tutte le altre fasi del ciclo economico hanno ineluttabilmente implicazioni morali» (n. 37).


Il pensiero delle Acli

Già nel 1999, nel ambito dell’incontro nazionale di Studi di Vallombrosa “Umanizzare l’economia. La sfida della globalizzazione”, le Acli si interrogavano sul ruolo dell’economia civile come cerniera tra solidarietà e mercato, tra dimensione locale e globale. Si comprendeva il ruolo cruciale dell’economia civile sia sul piano della critica degli effetti perversi della globalizzazione che della costruzione di possibili alternative. Da lì in avanti la consapevolezza di essere un attore dell’economia civile ha via via accompagnato l’azione sociale e politica delle Acli fino alla scelta di promuovere, insieme ad altri soggetti, la nascita della Scuola di Economia civile.

Più recentemente negli Orientamenti congressuali del 2012 “Rigenerare comunità per ricostruire il paese. Acli artefici di democrazia partecipativa e di buona economia“, l’associazione sceglie di dedicare un paragrafo all’economia civile che viene definita una scelta associativa. L’economia civile secondo le Acli propone una visione sociale ed economica di cui il Paese non può fare a meno per rigenerarsi, per ricostruire e sviluppare il tessuto delle comunità locali, per realizzare un modello economico più inclusivo. E per recuperare principi come quello della solidarietà, della fiducia, del dono, della gratuità, della giustizia. “Per sostenere un’economia civile occorre ragionare su uno Stato abilitante che promuove e incoraggia tutte quelle forme di azione collettiva che hanno effetti pubblici attraverso la promozione di assetti istituzionali che facilitano la fioritura dei corpi intermedi”. In questa chiave – si legge ancora nel documento – “le Acli si impegnano (…) per edificare sulle rovine di un modello economicistico ormai esaurito un inedito umanesimo della fraternità. (…) La fraternità posta dentro un orizzonte di economia e declinata come questione sociale apre ad una svolta politico-economica: proprio la fraternità è il criterio decisivo affinché anche la sussidiarietà, la solidarietà e la reciprocità possano dare i loro frutti sul piano della giustizia e del bene comune”.

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