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La democrazia digitale è un concetto utilizzato per descrivere il sempre più intenso e diffuso utilizzo delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione in ambito politico, con lo scopo di sperimentare forme di democrazia diretta. Il termine democrazia digitale è antecedente rispetto al concetto anglosassone di e-democracy che indica le possibilità di partecipazione dei cittadini alle attività delle pubbliche amministrazioni e ai loro processi decisionali

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E’ un concetto utilizzato per descrivere il sempre più intenso utilizzo delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) in ambito politico, con lo scopo di sperimentare forme di democrazia diretta. Come osserva Stefano Rodotà “la politica si è sempre servita delle tecniche via via disponibili per finalità di comunicazione, organizzazione, controllo, ma (..) la fase più recente vede le tecnologie dell’informazione e della comunicazione strutturare in forme nuove la stessa politica, creando addirittura sfere pubbliche che sono distinte da quelle costruite attraverso i canali politici tradizionali, mutando anche la natura delle organizzazioni sociali”.
Il termine democrazia digitale è antecedente rispetto al concetto anglosassone di e-democracy, nato a metà degli anni Novanta, per descrivere le possibilità di partecipazione dei cittadini alle attività delle pubbliche amministrazioni e ai loro processi decisionali. Questo perché l’impiego innovativo delle ICT consente l’apertura di nuovi spazi di dialogo tra cittadini e amministrazione che integrano e rafforzano le forme tradizionali di partecipazione. L’uso di ICT, in particolare del web, ossia delle rete internet, registra alcuni punti di forza e altri di maggiore criticità. Proviamo ad elencarli.
Punti di forza dell’ICT

a) l’aumento di partecipazione (intesa come scambio di opinioni) che allarga ad ampi settori della società la possibilità di entrare consapevolmente nel dibattito sulle scelte politiche;
b) l’estensione della sfera pubblica delle decisioni, per favorire la formazione di un’opinione pubblica informata migliorando la qualità della deliberazione democratica;
c) la possibilità di una democrazia più diretta e più capace di ascoltare il parere dei cittadini nel momento in cui si prendono le decisioni sia a livello locale che nazionale; in questo senso è importante sottolineare come presenti una certa problematicità la relazione tra democrazia digitale e tradizionale, ovvero tra “piazza reale e piazza virtuale”, anche rispetto al tipo di modello d’integrazione tra luoghi e mezzi diversi (mixed reality), col rischio della cancellazione dei vecchi media ad opera dei nuovi o l’assoluta prevalenza del cyberspazio.
Punti di debolezza dell’ICT

a) la possibile confusione tra democrazia elettronica e democrazia diretta; la democrazia diretta si basa su un cittadino informato, ma essere informati sui temi della democrazia ha un costo (calcolato in tempo e capacità) che non tutti possono permettersi; infatti non vi è alcuna certezza che assicuri un rapporto di causa ed effetto tra maggiore utilizzo di piattaforme e risorse web e incremento nella qualità della vita democratica; inoltre la stessa qualità dell’informazione non è sempre garantita, perché internet consente a chiunque di inserire in rete contenuti non controllabili eludendo il principio di responsabilità con il rischio di provocare dei danni collaterali di ogni genere;

b) il potere apparente di chi esercita il voto rispetto al potere reale di chi costruisce l’agenda, ovvero i temi su cui le persone sono chiamate a decidere; vi è anche un possibile uso delle tecnologie teso a plasmare il pensiero e le menti: sono interventi non si limitano alla censura di notizie e al controllo della e-mail, ma consistono anche nella creazione di un vero e proprio sistema modulare di censura tecnologica. E’ quello che sta avvenendo nei Paesi islamici.
Questo ci permette di affermare che una decisione politica non può riflettere soltanto la volontà contingente di una maggioranza registrata secondo modalità stabilite da pochi guru della comunicazione, ma piuttosto deve rappresentare il risultato di un confronto dialettico che tenga conto delle conseguenze presenti e future che quella decisione comporta (Franco Chiarenza).
c) il mutamento della democrazia liberale: la pretesa di trasferire in rete i processi decisionali ed elettorali, sostituendo le attuali procedure democratiche completando il processo evolutivo verso la democrazia diretta, visibile nel moltiplicarsi di sondaggi e referendum è un rischio, perché muterebbe la concezione tradizionale della democrazia liberale (obiettivo a cui sembrano puntare i movimenti populisti di tutta Europa ed in Italia il Movimento 5 Stelle).
Il dibattito sul tema
Il confronto sulla democrazia digitale può essere ricondotto a tre approcci: tecno-pessimista, tecno-ottimista e tecno-realista. Al primo approccio, quello tecno-pessimista appartiene Giovanni Sartori che sottolinea come la diffusione della rete rischia di alimentare l’equivoco sulle possibilità di attuazione della democrazia diretta aumentando i rischi di manipolazione. Al cittadino seduto davanti al suo computer, arrivano le questioni ed egli risponde con il sì o con il no, in base al suo grado di maturità civica. Poiché non si ha una interazione tra soggetti politici, vengono meno la discussione reale e la negoziazione, finalizzata all’approvazione delle decisioni, ciò rischia di aggravare le condizioni di conflitto sociale, risultato contrario a quanto ci si prefiggeva in partenza.
I fautori dell’approccio tecno-ottimista si rifanno ad autori come Pierre Lèvy che teorizza la nascita, grazie alla rete, di un’intelligenza collettiva che supera i singoli saperi di ognuno ed è capace di una potenza illimitata. In Italia, oltre a Gianroberto Casaleggio teorico del M5S, segnaliamo le riflessioni di Paolo Becchi secondo il quale “Internet offre gli strumenti per passare dalla partecipazione intermittente a quella continua. (…) Nelle agorà virtuali già si discutono i problemi senza seguire ciecamente quello che ha detto questo o quel partito. Nascerà una nuova politica senza partiti, dialogante e discorsiva”.
All’approccio tecno-realista appartengono molti studiosi. Segnaliamo in particolare Stefano Rodotà e Amanda Clarke. Rodotà osserva come “diventa importante muoversi costantemente verso la costruzione di una dimensione ‘costituzionale’ di Internet, che va nella direzione esattamente opposta a quella che può imboccare qualsiasi forma di cyberpopulismo. Nell’intrecciarsi degli splendori e delle miserie di Internet, la dimensione della politica, nella sua versione tecnopolitica, esige un esercizio continuo di vigilanza critica, per non restare prigioniera di improvvisi entusiasmi e di cadute altrettanto repentine”.
Amanda Clarke introducendo lo World Forum for democracy 2013 ha affermato che “pur se la rete si è dimostrata in certi casi un potente strumento di democrazia, non ci sono prove che favorisca necessariamente gli ideali democratici”. Perché il web è ciò che ne facciamo. “E se diventa uno strumento di sorveglianza globale (come si è visto per il Datagate) o di censura e repressione del dissenso, è probabile che la fiducia dei cittadini si riduca ulteriormente. La prima fase della partecipazione politica abilitata dal web non è riuscita a porre rimedio alle tendenze preoccupanti” presenti nelle democrazie occidentali: crisi di rappresentatività e sfiducia verso le istituzioni.

 

Bibliografia

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Chiusi F., Lo stato della democrazia digitale nel 2013, in www.wired.it.
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Santoro G., Cervelli sconnessi. La resistibile ascesa del net-liberismo ed il dilagare della stupidità digitale, Castelvecchi, Roma 2014.
Sartori G., Democrazia. Cosa è, Rizzoli, Milano 2007.

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