Proprio il suo carattere relazionale inserisce la cittadinanza in un processo che la rende continuamente imperfetta, perché richiede la formulazione di continue risposte ai cambiamenti storico sociale, il senso di condivisione di un “comune destino” e di protagonismo delle persone, la garanzia delle condizioni che determinano autonomia e indipendenza per i singoli.
Le origini del concetto
In epoca classica i cittadini erano i protagonisti della polis greca e godevano del diritto di esprimersi e partecipare alla definizione e individuazione degli obiettivi pubblici e alla scelta delle strategie per raggiungerli. Con la civitas i romani aggiungono il dovere del cittadino di essere leale verso l’urbe e di rispondere a determinate virtù civiche. Invece nella città medievale, soprattutto attraverso le corporazioni si esprimevano i diritti e doveri dei cittadini e la loro partecipazione alla vita pubblica.
L’idea moderna di cittadinanza scaturisce dalla definizione di un patto, da un “contratto sociale” scriveva Jean J. Rousseau: in esso gli individui liberi cedono parte dei loro diritti a favore di un “corpo politico” che dovrebbe essere pensato come un “Io comune”, e che dovrebbe indirizzare le azioni dei neonati cittadini al bene comune. Thomas Hobbes parla di cessione di libertà, per essere tutelati, a favore di un’autorità superiore, identificando così il suddito con il cittadino: il suddito obbedisce al sovrano come risultato di un contratto sociale e riceve in cambio la sua protezione e un ordine nel quale potrà vivere.
Dopo la rivoluzione francese, come suggerisce il filosofo Salvatore Veca, «la trasformazione di sudditi in cittadini traduce in istituzioni e tecnologie politiche l’ideale dell’emancipazione liberale» (Veca, 2009: p. 26). Cittadinanza diventa un processo di abilitazione per uomini e donne: le basi della cittadinanza si rintracciano nella libertà che si distingue sia per l’autonomia da vincoli e per l’indipendenza da possibili interferenze in modo da poter desiderare o preferire qualcosa, sia per la capacità di condividere desideri e preferenze comuni ad altri, e di riconoscere istituzioni formate in modo che siano accettabili per i cittadini.
Oggi nella cittadinanza sono presenti diritti e dovei che permettono a uomini e donne scelte autonome e responsabili. Inoltre garantire a tutti un ventaglio di abilità diventa una prima misura di uguaglianza perché tutti siano in condizioni di usufruire di “pari opportunità”, per raggiungere le loro scelte. Le istituzioni non sono più solo garanti dell’ordine pubblico, ma anche promotrici di uguaglianza. Uno degli esempi più espliciti e chiari è nella nostra Costituzione all’art. 3.
Elementi di cittadinanza e i segni di imperfezione
Thomas Marshall nel suo famoso saggio Cittadinanza e classi sociali evidenzia tre elementi centrali ormai classici, per descrivere gli ambiti del concetto. La loro continua revisione ne sottolinea il carattere inclusivo e progressivo perché gli uomini e le donne si sentano: «accettati come membri a pieno diritto della società, cioè cittadini» (Marshall, 2002: p.10). La formulazione della tripartizione segue un percorso storico che vede un processo di maturazione della cittadinanza e mantiene aperto il suo fluire nel futuro:
– L’elemento civile si afferma nel XVIII secolo e comprende i diritti necessari alla libertà individuale di espressione, di proprietà, di professare il proprio credo, il diritto a ottenere giustizia, importante perché implica una condizione di uguaglianza per tutti di fronte alla legge;
– L’elemento politico si afferma nel XIX secolo con la progressiva estensione della partecipazione all’esercizio del potere di concorrere alle scelte della comunità a cui si appartiene, sia come membro di organi di autorità sia come elettore di tali componenti;
– L’elemento sociale si afferma nel XX secolo con «tutta la gamma che va da un minimo di benessere e sicurezza economica fino al diritto di partecipare pienamente al retaggio sociale e a vivere la vita da persona civile» (Marshall, 2002: p. 13).
Agli inizi del XXI secolo questi tre elementi rimangono aperti, perché affrontano questioni nuove presentate dalle trasformazioni storiche, sociali e promosse da innovazioni tecnologiche, dimostrano così la potenzialità di cercare vie per la ricerca di nuova maturità per il concetto di cittadinanza.
All’elemento civile appartiene tutta quella sfera di diritti attorno, ad esempio, alle questioni antropologiche e di bioetica che toccano i confini del principio della libertà della persona, quello della tutela della vita e quello del rispetto della dignità umana.
All’elemento politico attiene tutta la sfera che vede una partecipazione alle scelte della vita pubblica che non si limita alla delega a rappresentanti eletti, ma coinvolge i cittadini nella direzione di una democrazia partecipativa e deliberativa e introduce lo spazio alla democrazia digitale. Dall’altra parte c’è la questione dell’accesso alla cittadinanza da cui deriva l’estensione della cittadinanza agli immigrati di seconda o di terza generazione.
All’elemento sociale si presentano un ventaglio ampio di sfide: dai diritti di conciliazione vita-lavoro a quelli per riequilibrare maternità e paternità nella possibilità di cura dei figli; dal diritto all’informazione alla riduzione del digital divide; dall’accessibilità universale ai beni collettivi (acqua, terra, alimenti, aria) all’emergere delle figure di consumatore e risparmiatore responsabile, che possano influenzare i mercati.
La cittadinanza cosmopolita
Un segnale del mutamento che rende imperfetta della cittadinanza si intercetta oggi nel suo legame all’identità nazionale e territoriale.
Ci troviamo di fronte al sorgere di un regime internazionale dei diritti umani e alla diffusione di norme cosmopolitiche, i confini dello Stato-nazione vengono oltrepassati e si apre una contraddizione sulla legittimità democratica. La cittadinanza cosmopolita interroga la dimensione tradizionale, che lega la cittadinanza a un popolo (jus sanguinis) o a un territorio (jus soli), e identifica la cittadinanza con una nazione. La cittadinanza cosmopolita si sviluppa almeno lungo due traiettorie: una si dirige verso l’estensione del diritto di cittadinanza: "gli stranieri possono diventare residenti, e i residenti possono diventare cittadini. Le democrazie hanno bisogno di confini porosi" (Benhabib 2006: p. 105); la seconda traiettoria riguarda il riconoscimento di una cittadinanza che superi il livello di appartenenza territoriale o nazionale per riferirsi al sistema mondo e si basa sulla dichiarazione universale dei diritti umani. Come rilevava Ulrich Beck in La società cosmopolita si affacciano movimenti globali che chiedono conto delle decisioni o delle mancate decisioni attuate o meno da organizzazioni internazionali o da trattati tra Stati (Beck 2003).
Il doppio movimento porta a riconoscere da un lato la formazione di movimenti civili transnazionali che vanno dalla difesa dell’ambiente al diritto dell’istruzione per tutti, alla lotta contro le guerre o gli abusi nel libero mercato di multinazionali; dall’altro lato si afferma l’idea di una cittadinanza simbolica che sia capace di garantire i diritti culturali in società sempre più multiculturali. Uno studioso che affronta questo secondo tema è Will Kymlicka, che ipotizza la possibilità di una cittadinanza multiculturale che posa introdurre dei diritti comunitari per riconoscere, tutelare e sostenere pratiche religiose, tradizioni e abitudini delle comunità etniche di appartenenza (Kymlicka, 1999).
Homo civicus
Se il concetto di cittadinanza richiede una partecipazione alla comunità anche la dimensione della responsabilità rimane un processo in fieri, in continua evoluzione, come il processo di individuazione e riconoscimento dei diritti e come il processo di de-nazionalizzazione.
I sociologi parlano di homo civicus come figura che meglio può contribuire a costruire una società dei cittadini. "L’esercizio della cittadinanza diventa una cerniera essenziale della società contemporanea: essa è l’unica forma attraverso la quale gli interessi comuni ritornano, senza imposizioni dall’alto, al centro dell’attenzione degli individui, la forma libera e democratica con cui si combatte l’idiotismo di massa e i suoi interessati tutori e cantori, quell’uscita dalla solitudine che è assolutamente necessaria per coloro che sono più deboli" (Cassano, 2006, p. 29).
Franco Cassano osserva che se la civitas è una forma di comunità compatibile con libertà individuale e il bene comune per trovare un equilibrio dovrebbe tendere a promuovere modello e comportamento per gli uomini e le donne in modo che "la centralità di una forma di vita spinga i soggetti a occuparsi delle questioni pubbliche, che incoraggi le virtù civiche" (Cassano, 2006; 20). La figura di homo civicus si definisce come cittadino attivo che attraverso la sua capacità di associarsi supera l’isolamento individualistico ed è responsabile della città. Per questo diventa un cardine per garantire una società realmente democratica. Per il sociologo le qualità dell’homo civicus sono la potenzialità di autogoverno, la dotazione di tempo, di volontà e di capacità di emergere tutti elementi che non sono distribuiti in modo uniforme nella popolazione, per questo dovrebbe assumere l’impegno di associare i più deboli nella società di modo che non siano condizionati dai più forti.
Il sociologo Vincenzo Cesareo caratterizza la figura di homo civicus per la sua “libertà responsabile” attraverso la quale esprime la sua soggettività in un’azione che si distingue e lo rende non solo attore, ma protagonista della storia, perché non solo come attore si muove su un plcoscenico secondo le regole e i compiti che il suo ruolo ricopre, ma come soggetto storico interpreta il suo contesto culturale e sociale per mettere in campo azioni tese al cambiamento. Dunque homo civicus sarebbe "capace di assicurare alla persona di essere compiutamente soggetto cioè dotata di autonomia e capacità di costruire la propria storia… essere autore della propria vita" (Cesareo, Vaccarini, 2006, p. 287). Per la formazione di homo civicus diventa essenziale la società civile che riproduce alcuni connotati della società tout court, ma attraverso la costruzione di legami dal basso riuscirebbe a valorizzare le scelte autonome e responsabili dei cittadini come persone attive e attente al futuro della loro comunità. Tale spazio sociale si configurerebbe come una palestra per gli altri ambienti: politico ed economico.
L’impegno delle Acli
Le Acli si sono mosse nel tempo per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, in special modo quelli sociali. Si pensi ad alcuni servizi storici come al Patronato per la tutela dei diritti, all’Enaip per la formazione e l’orientamento al lavoro. Si pensi anche alle attenzioni di advocacy per influenzare le politiche pubbliche in modo da ridurre le disuguaglianze tra le persone con l’impegno nell’Alleanza contro la povertà che chiede l’introduzione di un reddito di inclusione sociale per sostenere la qualità della vita dei cittadini più deboli oppure la campagna L’Italia sono anch’io, che chiede il riconoscimento della cittadinanza per gli immigrati di seconda e terza generazione. Su un livello internazionale le Acli sono promotrici di cittadinanza, quando si muovono per informare e sensibilizzare alla partecipazione a un movimento transnazionale come quelli di critica al Ttip che prevedono accordi tra UE e Usa su tutele per i lavoratori, per la ssaltue, l’ambiente senza un reale coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali.
Anche a livello culturale le Acli hanno affrontato il tema in particolare con l’Incontro nazionale di studi del 2009 titolato Cittadini incompiuti. Quale polis globale per il XXI secolo nel quale si sottolineava il confine mobile del concetto di cittadinanza che ha a che fare con quelli di democrazia e di inclusione sociale e richiede un continuo aggiornamento dei diritti e l’apertura a nuove sfide poste dal pluralità del mondo globale e interdipendente e dall’emergere di nuovi soggetti sociali come gli immigrati.
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