Adottiamo questa espressione, più spesso utilizzata in forma aggettivale (commissione antimafia), con un’accezione più ampia, che interessa più livelli: repressivo, politico, educativo e culturale. La lotta per combattere e sconfiggere la mafia è in corso in Italia da più di un secolo: è una questione nazionale con cui tutti, con conscienza e responsabilità, devono fare i conti  

Definizione
Affrontiamo questa espressione, più spesso utilizzata in forma aggettivale (es. commissione antimafia), con un’accezione più ampia, su più livelli: repressivo, politico, educativo e culturale.
La lotta per combattere e sconfiggere la mafia in Italia è in corso ormai da più di un secolo. È una lunga questione nazionale.

La mafia, la camorra e l’ndrangheta nascono nello stesso periodo storico all’inizio dell’Ottocento (mentre la Sacra Corona unita nasce nel novecento, agli inizi degli anni settanta), a ridosso della fine del feudalesimo (nel 1806 a Napoli e nel 1812 in Sicilia) ad imitazione delle associazioni politiche segrete che si opponevano al regime borbonico. Come osserva Isaia Sales sono tre i fenomeni criminali coevi, che nascono e si consolidano sotto lo stesso regime politico preunitario e che hanno evidenti tratti comuni. In questo senso la storiografia sulla mafia si è concentrata troppo sulle singole differenze regionali. Non ha raccontato una storia che è invece unitaria. Studiare separatamente le mafie non aiuta a risolvere i problemi. Esiste infatti un comune modello e metodo mafioso “vincente” da studiare e analizzare (Sales, 2014).

Come sconfiggere questi fenomeni? L’antimafia deve operare contemporaneamente su più livelli. È un’impresa tutt’altro che facile, ma adeguata alla sfida visto che, come disse Giovanni Falcone, ogni fenomeno della storia degli uomini è destinata da avere un inizio e una fine (Tranfaglia, 2008).

Livello Repressivo
Per contrastare il fenomeno mafioso lo Stato ha intrapreso molte azioni: interventi delle forze dell’ordine, operazioni di polizia giudiziaria, arresti dei latitanti, sequestrati e confisca dei beni mafiosi, azione di controllo del territorio, così semplici azioni burocratiche finalizzate ad un controllo di dettaglio.

A partire dal 1992 lo Sato si è dato un’organizzazione specifica istituendo alcuni organismi ad hoc:
Il Procuratore nazionale antimafia. Dirige la Dia ed è sottoposto alla vigilanza del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione che riferisce al Consiglio Superiore della Magistratura.
La Direzione nazionale antimafia (Dna). È composta dal Procuratore nazionale antimafia e da 20 magistrati del Pubblico ministero che sono i sostituti Procuratori nazionali antimafia. La Dna è organizzata in servizi (studi, documentazione, cooperazione internazionale) e materie di interesse (mafia, camorra, ’ndrangheta, narcotraffico, tratta di esseri umani, riciclaggio, appalti pubblici, misure di prevenzione patrimoniali, ecomafie, contraffazione di marchi, operazioni finanziarie sospette, organizzazioni criminali straniere).

La Direzione investigativa antimafia
(Dia). È un organismo investigativo preventivo le cui attività servono a svelare le strutture, le articolazioni e i collegamenti interni e internazionali, gli obiettivi e le modalità operative delle organizzazioni criminali. Il ministro dell’Interno riferisce ogni sei mesi al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Dia.
Il Pool antimafia. Si tratta di un gruppo di magistrati che si occupa di indagini relative al fenomeno mafioso. La gestione di un’indagine da parte di un unico magistrato è meno efficace e rischiosa rispetto ad un pool, dove i magistrati che ne fanno parte condividono le informazioni. Quindi anche se venisse ucciso uno dei magistrati gli altri potrebbero continuare il suo lavoro.

In sintesi le principali misure antimafia possono essere così sintetizzate: aggressione ai patrimoni mafiosi (es. i beni confiscati non potranno più essere restituiti agli eredi); inasprimento delle pene (es. il regime del carcere speciale, il cosiddetto 41bis; oppure l’introduzione di un nuovo reato per chi agevola la comunicazione all’esterno dei soggetti sottoposti al 41bis; in particolare quest’ultimo è un fatto di rilievo, dato che colpisce uno dei punti di forza del potere mafioso: il carcere è da sempre il luogo principale di diffusione e socializzazione delle regole delle mafie, come afferma Sales); creazione del fondo unico di giustizia (il denaro e i beni sequestrati in un fondo per la tutela della sicurezza pubblica); prevenzione delle infiltrazioni mafiose (es. controllo dei cantieri dei lavori pubblici, degli appalti); ampliamento delle categorie dei soggetti presso i quali verificare il pericolo di infiltrazione mafiosa; esclusione dagli appalti pubblici degli imprenditori che non denunciano l’estorsione subita ecc..

Infine segnaliamo anche l’importanza di strumenti “indiretti” come i testimoni di giustizia, figura introdotta legalmente nel 2001 per permetterne una coerente giurisdizione e soprattutto per differenziarne la natura e la disciplina rispetto ai collaboratori di giustizia, meglio noti come “pentiti”. Il testimone di giustizia sceglie, per dovere civico, di non abbassare la testa di fronte alle prepotenze, è un testimone oculare, un imprenditore piegato dagli estorsori o, in alcuni casi, un cittadino che rivendica la propria onestà pur appartenendo a contesti mafiosi.

Livello Politico
Spesso il contesto politico – sia a livello locale che nazionale – è stato favorevole alla mafia. Solo a partire dagli inizi degli anni Sessanta, con l’istituzione della Commissione Parlamentare antimafia, la classe politica ha dato un segnale di attenzione al fenomeno e manifestano la volontà di contrastarlo attraverso la definizione di una normativa specifica e l’introduzione del contrasto al fenomeno mafioso come punto essenziale dell’agenda di governo.

In questo senso osservando l’evoluzione storica e le diverse attività realizzate dalla Commissione Parlamentare Antimafia (istituita nel 1962 e tuttora operante con il nome di Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere) è possibile riscontrare una maggiore o una minore attenzione al fenomeno. In linea generale le finalità della commissione consistono da un lato nell’analisi delle caratteristiche del fenomeno mafioso e delle sue connessioni, dall’altro nella verifica dello stato di attuazione della legislazione antimafia e della sua congruità.

Fin dalla prima Commissione antimafia (1962-1976) l’attività si caratterizza da importanti indagini conoscitive (es. sul Comune di Palermo e il governo regionale); per la prima volta si costruisce sulla mafia siciliana un archivio e delle ipotesi interpretative sulle ragioni della scarsa incisività dell’intervento repressivo. La seconda fase della Commissione antimafia è caratterizzata dalla legge Rognoni-La Torre, varata nel 1982, che sarà il fondamento di tutta la successiva legislazione antimafia e che introduce il delitto di associazione mafiosa; cambia anche la natura della Commissione: da un’attività d’inchiesta si passa ad un’attività consultiva per il Parlamento e di monitoraggio degli effetti delle innovazioni normative. La terza fase (1988-1994) può essere senza dubbio considerata come la fase più alta dell’attività della commissione presieduta; la Commissione studia una nuova legislazione adeguata ai cambiamenti intervenuti nell’organizzazione mafiosa. La quarta fase (1994-2012) può essere definita sicuramente come una fase di minor impatto sociale, se non addirittura di messa in discussione dell’attività della Commissione stessa. Si pensi, ad esempio, a quanto dichiarato dal Presidente della Commissione stessa, Tiziana Parenti (1994-1996): “Credo che un’antimafia nel Parlamento sia necessaria. Non vedo perché ci debba essere una commissione ad hoc. Così delineata l’antimafia diventa un monopolio di potere” (La Repubblica, 2 aprile, 1994).

Arriviamo infine alla fase attuale (2008-2015) caratterizzata dal tentativo di rilancio dell’attività della Commissione realizzato attraverso la legge istitutiva del 4 agosto 2008 che amplia l’oggetto di indagine affiancando a quello tradizionale anche l’indagine sulle altre associazioni criminali (mafie straniere).

Ovviamente non esiste solo il lavoro parlamentare effettuato dalla Commissione. L’attenzione ad ogni norma è decisivo per evitare che si creino le condizioni che favoriscono l’insorgere di fenomeni mafiosi. Uno di questi è il contrasto al “lavoro nero”: “dobbiamo invece convincerci fino in fondo che solo facendo emergere l’economia legale e il lavoro regolare si possono sconfiggere le mafie che quotidianamente inquinano lo sviluppo economico e democratico di intere comunità compromettendo alla radici ogni possibile crescita. In questo, la sfida della legalità, del e nel lavoro, ha una portata storica persino più grande del valore che possiamo attribuirgli” (Russo, 2014). Appunto: contrastare attraverso la politica significa evitare che si crei l’habitat che facilita i rapporti occulti, le convenienze reciproche, le coperture indicibili. Il lavoro della politica è decisivo ed è simbolico.

Sotto quest’ultimo aspetto vogliamo sottolineare anche l’importanza di una semplice testimonianza antimafia da parte di ricopre incarichi amministrativi e politici. Gli uomini politici sono comunque simboli: possono esserlo in positivo e in negativo.

Livello culturale e sociale
“Si può sempre fare qualcosa” diceva Giovanni Falcone riferendosi alla lotta alla mafia. Proprio a partire dalla testimonianza di figure come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e precedentemente di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, che è si è risvegliata una coscienza civile, che ha cominciato a prendere corpo un movimento di opposizione alla mafia e di contrasto della culture mafiosa.

Un movimento vitale e variegato che ha varie dimensioni (civile, educativa, culturale, politica, artistica) ma che condivide un obbiettivo comune: la formazione di una coscienza civile antimafia e lo sviluppo di una cultura della legalità e del rispetto delle regole. Questa è l’unica via per creare una nuova culture e una nuova socialità “alternativa” a quella mafiosa.
Una prima esperienza significativa è quella promossa da Tano Grasso che nel 1990, fonda l’Associazione Antiracket (ACIO di Capo d’Orlando) e successivamente (nel 2006) la Federazione Antiracket Italiana (FAI) di cui è tuttora il residente onorario. Di questa realtà fanno parte le numerose associazioni antiracket presenti sul territorio riconosciute ai sensi delle legge n. 468/1993.

Ma è a partire dal 1995, grazie alla nascita di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti, che il movimento antimafia ha trovato un punto di riferimento ed una ossatura stabile a carattere nazionale. Attualmente Libera è svolge un attività di coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. Come afferma Ciotti “la chiave sta nell’aiutare il maggior numero possibile di persone a capire che le mafie non sono una realtà distante, ma che tocca la vita di ciascuno di noi. Sta nel rendere evidenti le connessioni delle mafie con le dinamiche dell’economia legale, le insufficienze e i ritardi della politica”. Il cambiamento comincia sempre nella coscienza di ognuno e si concretizza nei comportamenti. Ma ci sono altre esperienze che vogliamo segnalare: quella di Addiopizzo e quella dell’Associazione “Avviso pubblico”.

Addiopizzo è un movimento aperto, fluido, dinamico che nasce a Palermo nel 2004. Si tratta di una esperienza che agisce dal basso e si fa portavoce di una “rivoluzione culturale” contro la mafia. È formato da donne, uomini, i ragazzi, ragazze, commercianti e consumatori che si riconoscono nella frase “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. E’ un’associazione di volontariato espressamente apartitica e volutamente monotematica, il cui campo d’azione specifico, all’interno di un più ampio fronte antimafia, è la promozione di un’economia virtuosa e libera dalla mafia attraverso lo strumento del “consumo critico.

L’Associazione Avviso pubblico. Enti Locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie ha di recente attivato un Osservatorio Parlamentare con lo scopo di fornire, con un linguaggio chiaro ed accessibile a tutti, un quadro dell’attività svolta dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata e mafiosa, le misure di prevenzione e contrasto alla corruzione, la diffusione della trasparenza nella Pubblica amministrazione.

Va segnalato inoltre un intenso lavoro di educazione alla legalità e alla crescita della coscienza civica che viene realizzato nelle scuole da associazioni  (SulleRegole, Libera ecc..) e autorevoli figure (si pensi al giudice Adriano Patti o al magistrato Gerardo Colombo) finalizzato a promuovere la coscienza civica e a sviluppare una cultura della legalità che parta da basso, dalla nuove generazioni. Per questo si diffonde anche la conoscenza di figure come don Pino Puglisi e Peppino Impastato. Ormai risulta evidente come la lotta alle mafie non può essere delegata solo alle Forze dell’ordine e alla magistratura, ma per la sua complessità e le ricadute sulla vita quotidiana, richiede il coinvolgimento di tutti: criminologi e storici, giornalisti e sociologi, dalla società civile fino ai singoli cittadini.

Ma il cambiamento di una culture e di una società è un processo lento, soprattutto quando si utilizzano (e si strumentalizzano) storie, simboli, riti. Ad esempio “i riti di iniziazione, anche con ripetuti riferimenti alla religione, sembrano essere una delle caratteristiche della criminalità mafiosa nel mondo. (…) Essi creano un senso di appartenenza forte e danno la convinzione di appartenere ad un’elitè criminale, di non essere confusi con la delinquenza comune, ma soprattutto servono a nobilitare la violenza, a dare una valore sociale (Sales, 2014). Contrastare un fenomeno criminale è un fatto; contrastare un fenomeno che si ammanta di valori superiori per giustificare la propria azione è molto di più di un fatto: richiede un’elevata capacità di saper padroneggiare simboli, segni e significati.

Sempre sul versante culturale vanno segnalati interessanti studi che mostrano come le donne, pur non essendo ufficialmente affiliate ad organizzazioni mafiose, abbiano un ruolo significativo, sia a favore (Laganà, 2014) sia contro il fenomeno mafioso (De Chiara P., 2014). Pertanto diventa interessante valorizzare questa possibilità per diffondere una cultura della legalità. Si pensi ad esempio che, dalle lotte contadine ad oggi, le donne siciliane sono state protagoniste della ribellione contro la mafia. Gli esempi della madre di Salvatore Carnevale e di Peppino Impastato sono abbastanza noti, ma pochi ricordano le donne organizzate nei Fasci siciliani e non hanno avuto l’interesse che meritano le esperienze degli anni più recenti, in particolare quella dell’Associazione delle donne siciliane per la lotta contro la mafia.

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