“Fondata sul lavoro”: cosa esattamente? Le risposte dei partecipanti non potevano essere più significative: la Repubblica italiana, come ci dice l’articolo 1 della nostra Costituzione, ma anche una vita dignitosa che si ha nel momento in cui viene favorito il pieno sviluppo della persona.
Da questa e da molte altre provocazioni ci siamo lasciati interrogare al modulo formativo organizzato dai giovani dell’Azione Cattolica, dal Movimento Lavoratori di Azione cattolica e dalla Gioventù Italiana Operaia Cristiana che si è tenuto a Roma dal primo al tre marzo scorso e che ha visto la presenza di 150 giovani provenienti da tutta Italia.
Tre giorni densi di riflessioni in cui i giovani sono stati protagonisti di una discussione tra le più delicate nel panorama politico, sociale e culturale attuale. Sì, perché il lavoro è un argomento scomodo e complesso e – in un’epoca in cui la semplificazione sembra essere la chiave per ottenere consenso – studiare dati, analizzare problemi e risorse, provare a dare letture alternative diventa quasi inopportuno. Eppure, l’entusiasmo e l’interesse presenti in questi giorni ci parlano di un’Italia che vuole ripartire, e che per farlo vuole cominciare proprio da noi, giovani appassionati.
Gli spunti di riflessione non sono mancati: è emerso, ad esempio, quanto poco l’Italia investa per promuovere le high skills, soprattutto in alcuni settori dove c’è forte richiesta di lavoratori giovani. Inoltre, è necessario creare un ponte che colleghi l’università e il mondo del lavoro, che sembrano correre su binari paralleli; ciò influisce negativamente sulla spendibilità delle proprie competenze nel mercato del lavoro, soprattutto in un Paese come il nostro dove molti giovani intraprendono studi che più difficilmente permettono di trovare occupazione. Questo non vuol dire creare una divaricazione tra lauree immediatamente spendibili e studi umanistici, quanto piuttosto dare ai giovani reali prospettive attraverso percorsi di orientamento alla scelta.
Per comprendere meglio queste ed altre problematiche, è stato necessario scattare – attraverso dati, numeri e statistiche – una fotografia dell’Italia di oggi, tutt’altro che confortante se paragonata agli altri Paesi europei: troppi sono i disoccupati, soprattutto nel lungo periodo, tra i quali rientrano anche coloro che sono altamente specializzati ma che potrebbero vedersi “svalutate” le loro competenze proprio a causa dell’inattività lavorativa. A queste premesse sono seguite anche delle proposte concrete: favorire, da una parte, le politiche attive per il lavoro e, dall’altra, la formazione terziaria non universitaria.
I giovani, però, non devono essere oggetti passivi di politiche che li tutelino, ma devo cooperare concretamente per lo sviluppo del Paese, partecipando maggiormente alla vita politica, promuovendo pratiche di sviluppo sostenibile, dialogando con gli adulti. È necessario, infatti, un patto intergenerazionale che tenga presente quattro obiettivi: rimuovere gli ostacoli che impediscono il lavoro, creando un ecosistema favorevole per chi crea lavoro e chi lavora; invertire la rotta di una cultura che crea la corsa al ribasso sui costi del lavoro e ne distrugge la dignità; favorire il reinserimento degli scartati e degli esclusi nel mondo del lavoro; valorizzare il patrimonio culturale come volano per l’economia italiana.
Tutto questo con la consapevolezza che l’orizzonte in cui ci muoviamo è molto più ampio rispetto a prima, e che la prospettiva deve essere necessariamente globale; non c’è riflessione sul lavoro che non tenga conto del fenomeno e delle conseguenze della globalizzazione. Coscienti che questo processo è irreversibile, siamo chiamati a renderlo virtuoso non solo in termini economici, ma anche sociali e civili: in questo, l’Europa deve svolgere un ruolo decisivo, date le tante conquiste per i diritti dei lavoratori che spesso diamo per scontate ma che ancora non lo sono in altri Paesi.
La rivoluzione da promuovere oggi va proprio in questa direzione: non bisogna soltanto creare più lavoro, ma è necessario porre le basi per lavoro che sia rispettoso della dignità umana e dell’ambiente. Non possiamo più chiudere gli occhi davanti alle ingiustizie sociali, e ogni nostra scelta – come elettori, come consumatori, come lavoratori – deve essere orientata al bene comune: senza questa consapevolezza non ci può essere reale sviluppo.
È indubbio che questo cambiamento richieda molto tempo e una collaborazione sinergica tra tutte le forze sociali, ma non possiamo che essere ottimisti: per questo motivo la chiave di lettura con cui ci siamo avviati alla conclusione dei lavori è stata propositiva, attraverso la condivisione di alcune esperienze virtuose presenti nel territorio.
Rimettere al centro della società l’uomo, creando spazi che restituiscano dignità alla sua vita, è l’obiettivo ambizioso che dobbiamo porci. E per far questo non possiamo che cominciare da una idea di lavoro orientata alla crescita personale e al bene comune, e non alla mera realizzazione economica; solo così porremo le basi per una società più equa e solidale.
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