Questo libro contiene una proposta molto interessante, che sta guadagnando consensi, perché coniuga una seria analisi con una proposta sufficientemente semplice da poter essere perseguibile se si avesse la volontà politica di risanare le finanze pubbliche depauperate dalle ricchezze nascoste nei paradisi fiscali…

Anche se l’originale è di qualche anno fa, l’indagine di Zucman, economista francese che lavora all’Università di Berkeley in California, è una proposta molto interessante che sta guadagnando consensi mentre viene conosciuta nel mondo (il libro è uscito in 17 paesi) perché coniuga una seria analisi con una proposta sufficientemente semplice da poter essere perseguibile con un po’ di buona volontà, ma soprattutto di volontà politica di risanare le finanze pubbliche depauperate dalle ricchezze nascoste nei paradisi fiscali.

Thomas Piketty, autore de “il Capitale del XXI”, secolo ha parole di grande elogio – nella prefazione – per questo lavoro, sottolineando come la proposta di creare un catasto dei titoli finanziari, di fatto, segue la scia dei catasti creati per le proprietà immobiliari e terriere nel Settecento e Ottocento, utili a gestire la tassazione dei patrimoni, allora soprattutto immobiliari, che ha permesso agli Stati di tassare i patrimoni in maniera utile e trasparente, cosa che allo stato attuale non si può fare con la stessa efficacia rispetto ai patrimoni costituiti soprattutto da beni finanziari.

Anche se l’autore è consapevole dei limiti dei propri calcoli dei patrimoni nascosti nei paradisi fiscali, tuttavia ritiene fondamentale utilizzare i dati raccolti per avere quanto meno una stima sufficientemente sicura dell’ammontare della ricchezza sottratta al fisco degli stati.

Le proposte sono tre: creare «un catasto mondiale dei patrimoni finanziari che registri i proprietari di tutte le azioni e obbligazioni in circolazione» (p. 16); prevedere «sanzioni proporzionate al costo che i paradisi fiscali impongono ad altri paesi» (p. 17); «ripensare l’imposizione sulle società» (p. 17) multinazionali basandosi sugli utili consolidati in tutto il mondo e non sui profitti Paese per Paese.

Zucman scrive in maniera chiara e piacevole e questo aiuta a seguirlo nei sui calcoli e ragionamenti, a volte anche con gustosi anedotti che illustrano in maniera esauriente i fatti che vuole descrivere. L’autore è convinto che quanto accade è per volere di persone precise che guidano alcune istituzioni e presidiano alcuni processi e che perseguono obiettivi precisi, che non coincidono con il bene comune, ma con quello personale di coloro che vogliono occultare la propria ricchezza, siano essi semplici ricchi e industrie multinazionali che vogliono eludere o evadere le giuste tasse decise democraticamente, oppure esponenti della malavita internazionale che approfittano dell’opacità dei mercati per fare i loro affari in maniera indisturbata.

Il primo capitolo è la storia di un secolo di paradisi fiscali, dove e come sono nati, molto interessante, per capire il fenomeno. Tutto è nato in Svizzera dopo la prima guerra mondiale e, anche se oggi c’è stata una globalizzazione anche in questo settore, la Svizzera ancora è il maggior paradiso fiscale al mondo. Essa raccoglie 2.100 miliardi euro, di cui la maggior parte dall’Europa (1.200) che investe soprattutto in fondi di investimento lussemburghesi (700), azioni globali (500) e obbligazioni globali (500).

Il secondo capitolo quantifica quanto patrimonio mondiale sia nascosto nei paradisi fiscali. La stima per difetto è che sul patrimonio mondiale delle famiglie nel 2014, valutato in 87.000 miliardi di euro, l’8% (pari a 6.900 miliardi) sia detenuto offshore. La stima non tiene conto di alcuni tipi di ricchezza (contanti, assicurazioni, beni tipo: gioielli, barche, opere d’arte, oro, ecc.).

Questo occultamento di ricchezza provoca un mancato introito mondiale di tasse per 170 miliardi di euro all’anno, di cui 70 per l’Europa, 30 per gli USA e il rimanente per il resto del mondo.
Recuperare queste tasse evase aiuterebbe a ridurre la pressione fiscale in molti paesi che hanno aumentato il loro debito pubblico dopo la crisi del 2008-9 e aiuterebbe a ridurre le disuguaglianze redistribuendo gli ingenti profitti evasi.

Il terzo capitolo è molto interessante perché analizza gli errori fatti fino ad ora sia dagli Stati che dai regolatori internazionali nella lotta ai paradisi fiscali, errori che indicano come la proposta fatta da Zucman sia credibile e praticabile. Da leggere con molta attenzione perché sfata il mito che non ci siano praticamente più paradisi fiscali nel mondo, cioè la black list internazionale è pressoché vuota, ma di fatto la white list non garantisce affatto che le pratiche evasive non continuino, anzi, queste sono incrementate dopo la crisi del 2008-9.

Il capitolo 4 presenta in maniera analitica le prime due proposte e il capitolo 5 la terza.

Ed ecco la conclusione del libro, un invito alla mobilitazione dei cittadini affinché costringano i governanti a scelte coraggiose e praticabili.

«La mia ricerca porta alla luce le modalità concrete con cui gli ultraricchi e le multinazionali mettono in pratica l’evasione fiscale. Ne calcola il costo per gli Stati – cioè per tutti noi – e soprattutto propone strumenti per mettervi fine.

L’Europa è nel bel mezzo di una crisi interminabile. Molti credono di vedervi il segno di un declino irreversibile, ma si sbagliano. Il continente europeo è la regione più ricca del mondo, e lo resterà ancora a lungo. I patrimoni provati sono di molto superiori al suo debito pubblico. E, contrariamente a quanto di crede, i patrimoni possono essere tassati. Gli utili sono trasferiti nelle Bermuda, ma non le fabbriche. Il denaro viene nascosto in Svizzera, ma non vi è investito. Il capitale non si muove, può solo essere nascosto. L’Europa si sta derubando da sola.

Questa spirale può essere invertita
. Grazie a un catasto finanziario mondiale, a un sistema di scambio automatico delle informazioni e a un nuovo modo di tassare le multinazionali, la dissimulazione fiscale può essere fermata. E’ un’utopia? Fino a cinque anni fa la maggior parte degli esperti credeva che lo scambio automatico delle informazioni fosse irrealizzabile, prima di aderirvi a sua volta. Non ci sono ostacoli tecnici per le misure che propongo e nemmeno la resistenza dei paradisi fiscali è insormontabile: può essere spezzata con la minaccia di sanzioni commerciali proporzionate.

Anche se le soluzioni esistono, fino ad oggi i governi non hanno brillato per audacia o determinazione. E’ quindi giunto il momento di metterli di fronte alle loro responsabilità. Spetta ai cittadini mobilitarsi, in Europa e forse, soprattutto, nei paradisi fiscali. Non credo che la maggioranza degli abitanti del Lussemburgo – di cui meno del 50% ha votato alle ultime elezioni – approvi che il Granducato sia alla mercé della finanza offshore. E nemmeno la maggior parte degli svizzeri accetti l’aiuto attivo che i propri banchieri forniscono ai miliardari che vogliono evitare i loro obblighi fiscali. Non sono solo gli Stati a dover combattere una battaglia contro la frode fiscale, sono soprattutto i cittadini a dover lottare contro la falsa ineluttabilità dell’evasione fiscale e dell’impotenza delle nazioni» (pp. 130-131).

Due chiose finali: è giusto nascondere la propria ricchezza? Dopotutto la chiesa insegna, ma anche il buon senso lo dice, che i beni che ognuno possiede hanno una destinazione universale e che la proprietà privata ha dei limiti che si concretizza nella tassazione progressiva. Perché chi governa non prende il toro per le corna e produce una legislazione adeguata a una maggiore trasparenza finanziaria? Ai posteri…

Gabriel Zucman, La ricchezza nascosta delle nazioni. Indagine sui paradisi fiscali, Add Editore, Torino 2017.

Per comprendere grafici, tabelle e dati presenti nel libro si rimanda a questo link: http://wid.world/

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