Negli ultimi anni si è parlato poco di Mezzogiorno soffermando l’attenzione principalmente sulle sacche di inefficienza della pubblica amministrazione meridionale e sulle conseguenti ripercussioni negative in termini di maggiori costi e perdita di competitività.
Il dibattito politico si è imperniato sulla “questione settentrionale” e sul declino economico del Nord, sull’acritica accettazione di antiquate teorie economiche per cui l’intervento dello Stato è ridondante in un sistema in cui c’è libera mobilità degli individui e di lavoro.
Così, mentre in Europa si è continuato a dibattere circa la valenza e gli indirizzi della politica di coesione, l’Italia ha completamente abbandonato la discussione sulla cosiddetta “questione meridionale”.
Il libro ha il merito di ripercorre i principali risultati cui la ricerca sociale ed economica è giunta proponendo la tesi per cui la ripresa economica italiana non può prescindere dallo sviluppo del Mezzogiorno. Tale condizione può verificarsi solo rigenerando il tessuto sociale del Sud, incrementando la dotazione del “capitale sociale”, ovvero quell’insieme di relazioni interpersonali fiduciarie che garantiscono un più efficiente funzionamento dell’economia e delle istituzioni che la governano.
La tesi proposta dall’autore è interessante e presenta importanti spunti di riflessione, soprattutto politica. Secondo Trigilia la crescita del Sud è d’estrema importanza per il Nord, non solo perché rappresenta un importante mercato di sbocco per le produzioni settentrionali, ma soprattutto perché un aumento della capacità di autofinanziamento della spesa pubblica meridionale potrebbe utilmente finanziare una riduzione della pressione fiscale di cui beneficerebbero soprattutto le imprese settentrionali.
L’emergere della questione meridionale alla fine dell’Ottocento ha portato con sé una lunga serie di tentativi di riequilibrare la geografia dello sviluppo italiano. Decenni di interventi di politica economica di varia natura sembrerebbero aver sortito risultati modesti e secondo l’autore
le principali cause di tale fallimento sono da ricercarsi nel cattivo funzionamento delle istituzioni e nella persistenza di una classe politica che ha utilizzato la spesa pubblica a fini elettorali e clientelari. In questa prospettiva è necessario rimuovere tale fonte di inefficienze aumentando il senso civico dei cittadini meridionali in modo da eleggere politici migliori.
L’incremento del capitale sociale passa attraverso un aumento dell’istruzione e della formazione che potrebbero garantire condizioni di occupabilità superiori non rendendo più necessario il ricorso all’intermediazione della politica sul mercato del lavoro.
In sintesi siamo di fronte ad un lavoro importante per due ragioni: riporta sulla scena il Mezzogiorno, i suoi problemi e la necessità di ridiscutere i principi di una nuova politica di sviluppo; propone una visione strategica basata sull’economia immateriale e sulle istituzioni.
Carlo Trigilia, Non c’è Nord senza Sud. Perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna 2012.
“La tesi del legame tra sviluppo del Nord e del Sud non è certo nuova (…). Ed è stata ripetuta spesso nell’Italia repubblicana, ma ha finito per assumere (…) una connotazione sempre più retorica, resa evidente dal venir meno di ogni strategia credibile per affrontare seriamente il problema. Paradossalmente, ciò si è verificato nel momento in cui i cambiamenti in corso nell’economia e nella società italiana rendono ancor più stretto il nesso tra Mezzogiorno e sviluppo del paese”.
“Mi propongo di mostrare dunque che non è possibile riprendere efficacemente la strada della crescita senza una svolta nello sviluppo del Sud, ma anche che la globalizzazione dell’economia apre opportunità nuove nel Mezzogiorno che vanno sapute cogliere con strumenti diversi da quelli del passato. Si può promuovere lo sviluppo senza aggravio per le finanze pubbliche, anzi risparmiando, ma bisogna cambiare le lenti con cui leggere la società meridionale e ci vuole una strategia che da tempo manca”
“Contrariamente a quanto è stato sostenuto negli ultimi anni, il federalismo (…) non è dunque la ricetta per lo sviluppo del Sud. Esso può aiutare la responsabilizzazione delle classi dirigenti locali (…) purché sia soddisfatta una condizione fondamentale. E’ necessario che ci sia un Stato centrale più forte e autorevole, capaci di controllare che l’allocazione delle risorse pubbliche, determinata ormai largamente da regioni o governi locali, rispetti obiettivi di efficienza ed equità".
"(…) Bisogna invece chiedersi come promuovere la realizzazione di servizi e beni collettivi che permettano di valorizzare le risorse locali di cui le regioni meridionali dispongono".