Questo libro ha il grande merito di indicare un orizzonte culturale, sociale ed economico, con solide radici storiche, che può generare un forte cambiamento sociale che si fonda su una capacità tipica dell’uomo: quella di collaborare

Perché Richard Sennett, nell’epoca dell’individualismo e del neoliberismo, parla di collaborazione? Lo fa perché si tratta di una caratteristica fondamentale dell’attività umana che non è scomparsa ma che viene repressa dal sistema neoliberista.
Il libro è diviso in tre parti “che indagano come la collaborazione può essere plasmata, indebolita e rafforzata. Ciascuna parte analizza la collaborazione da più punti di vista, attingendo a ricerche antropologiche, storiche, sociologiche e politiche” (p. 42).

La prima parte si apre con una analisi di come “la collaborazione viene modellata nel campo della politica” con particolare riferimento al tema della solidarietà; la seconda parte – che ha un taglio più sociologico – si concentra su come la collaborazione può essere indebolita; la terza parte “tratta dei modi in cui si potrebbe rafforzare la pratica della collaborazione, mettendo a fuoco in particolare le abilità utili a tale scopo” (pp. 42-43).

Si parte da una costatazione amara: nell’ultima generazione si è verificata un’involuzione notevole all’interno del capitalismo migrato da una forma sociale ad un’altra: quella neoliberista. Ma tale involuzione non è sostenibile socialmente. La crescente non-collaborazione si può ricondurre anche all’erosione dei fondamentali della vita di fabbrica in virtù di una frenetica percezione del tempo e della società dai connotati finanziari.

Sennett ci invita a considerare la crisi dal punto di vista della riduzione della capacità di cooperare tra le persone e soprattutto tra i lavoratori dei settori economici più avanzati della finanza e delle nuove tecnologie. La via di uscita da questa situazione sta proprio nella capacità di fare qualcosa con gli altri, con quelli che non conosciamo, per costruire una strada per il nostro futuro. Dobbiamo quindi re-imparare la collaborazione, perché viviamo in una situazione in cui essa è stata repressa colpevolmente dalle istituzioni.

L’autore constata come la capacità di agire insieme per uno scopo si sia andata indebolendo, benché sia un aspetto molto importante per il capitalismo moderno e fondamentale per poter superare la sua crisi. Dietro quello che è successo c’è sicuramente la riduzione delle risorse a disposizione, l’aumento delle disuguaglianze, che riducono gli spazi di collaborazione e l’attenzione agli altri, facendo crescere l’egoismo.

Quello che il sociologo americano ha scoperto, andando a intervistare con i suoi studenti i lavoratori di Wall Street finiti disoccupati, è che nelle loro società avevano completamente perso la capacità di lavorare insieme. Ci sono almeno due fattori che hanno portato a questa situazione: l’orizzonte sempre più breve rispetto al quale si muovono le aziende (i risultati vanno raggiunti in meno di un anno, i capi sono sempre in cerca di un successo veloce) e la burocratizzazione della collaborazione. Nella nuova economia tutto diventa più formale e regolato, anche la cooperazione. Ma più si chiede alle persone di cooperare, meno succede.

In sostanza i lavoratori di Wall Street non potevano fidarsi gli uni degli altri e nemmeno del giudizio dei capi. Persi, isolati, costretti a puntare continuamente a nuovi obiettivi per andare avanti, avevano smarrito completamente il senso del proprio lavoro. E, soprattutto, non riuscivano a collaborare perché dovevano continuamente guardarsi le spalle dai propri colleghi. Quello che è successo nel mondo della finanza rappresenta, per il sociologo americano, il paradigma del lavoro contemporaneo.

Secondo Sennett, tuttavia, c’è ancora modo di rimediare alla situazione. Le derive in corso si possono arginare ed arrestare perché la capacità di cooperare è “genetica”, perché si può apprendere. Si tratta di un’abilità dell’uomo che può, con il suo operato, "riparare" la nostra società, come un artigiano fa con uno strumento danneggiato; utile in passato e potenzialmente ancor più utile una volta riparato.

Secondo l’autore questa riparazione può avvenire tramite la valorizzazione di rituali utili per l’affermarsi della "diplomazia quotidiana". Questa particolare applicazione dell’arte diplomatica viene realizzata attraverso la marginalizzazione degli impulsi ad imporsi sugli altri (l’uso della forza minima"), la collaborazione paritaria non-direttiva e l’equilibrio tra formalità situazionale e informalità operativa. La riparazione richiede anche la convinta ripresa del concetto di comunità e dei suoi elementi portanti (coerenza nelle difficoltà, saldi principi interiori e giusta collaborazione) da tradurre e applicare nelle politiche sociali.

Sennett indica alcune strade da seguire, da usare come una sorta di manuale pratico a partire dalle relazioni in cui siamo coinvolti ogni giorno: riscoprire la capacità dialogica, guardare oltre il significato delle parole e cogliere l’intenzione di quello che ci viene detto; imparare a usare il condizionale, essere meno assertivi e sicuri nel dire le cose, lasciando spazio al dialogo, perché “la chiarezza è nemica della collaborazione”; guardare agli altri con empatia anziché con simpatia. “Queste tre capacità sono state dimenticate e messe da parte dalle aziende e nell’economia moderna”.

Questo lavoro, tra i suoi molti pregi, ha proprio quello di indicare un orizzonte culturale, sociale ed economico, con solide radici storiche, che può generare un forte cambiamento sociale. Un cambiamento di cui la nostra società ha urgente bisogno se vuole avere un futuro; un cambiamento che si fonda sulla capacità tipica dell’uomo di collaborare. Del resto oggi, le esperienze e le forme di consumo, lavoro e finanza che si stanno sviluppando anche grazie alla rete (sharing, trading, renting, bartering, coworking, crwodfunding ecc..), mostrano come le tesi del sociologo americano non siano pura utopia ma già una realtà concreta.

Richard Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazone, Feltrinelli, Milano 2012.


Citazioni

“La collaborazione rende più agevole il portare a compimento le cose e la condivisione può sopperire a eventuali carenze individuali. La tendenza alla collaborazione è inscritta nei nostri geni, ma non deve rimanere confinata a comportamenti di routine; ha bisogno di essere sviluppata e approfondita” (p. 9).

“La collaborazione può essere definita, grossolanamente, come uno scambio in cui i partecipanti traggono vantaggio dall’essere insieme. (…) Gli scambi collaborativi si presentano in molte forme. La collaborazione può combinarsi con la competitività, come quando i bambini stabiliscono insieme le regole di base di un gioco in cui poi gareggeranno gli uni contro gli altri; nella vita adulta, la medesima combinazione di collaborazione e competizione si ha nell’economia di mercato, nelle elezioni politiche e nelle negoziazioni della diplomazia” (p. 15).

“(…) Voglio mettere a fuoco una piccola porzione di ciò che si potrebbe fare per contrastare la collaborazione distruttiva del tipo “noi contro voi” nonché la collaborazione degradata in collusione. L’alternativa positiva è un tipo di collaborazione impegnativa e difficile: quella che cerca di mettere insieme persone che hanno interessi distinti o confliggenti, che non hanno una simpatia reciproca che non sono alla pari o che semplicemente non si capiscono tra loro. La sfida è quella di rispondere all’altro a partire dal suo punto di vista. Che è la sfida in tutti i casi di gestione die conflitti” (p. 16).

“La dequalificazione sta avvenendo anche nella sfera sociale: nella misura in cui la disuguaglianza materiale isola le persone, il lavoro a tempo determinato rende più superficiali i loro contatti sociali e la cultura innesca l’angoscia per l’Altro, si vanno perdendo le abilità necessarie per gestire le differenze irriducibili. Stiamo perdendo le abilità tecniche della collaborazione, necessarie al buon funzionamento di società complessa” (p. 19).

“La solidarietà è stata la risposta tradizionale della sinistra ai mali del capitalismo; la collaborazione in quanto tale non ha mai avuto un posto di rilievo tra le strategie di resistenza al sistema. Questa scelta, benché realistica per un verso, ha devitalizzato la sinistra” (305).

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