La premessa da cui muove l’autore è l’idea che la prima parte della Costituzione conservi “una sua specificità sulla quale vale la pena di continuare a riflettere e a partire dalla quale, soprattutto vale la pena agire» (p. 9). Ed è proprio questa la scelta vincente dell’autore che non si limita a parlare dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione mettendo in evidenza la distanza tra il reale e l’ideale (la norma) ma propone delle piste di azione chiare e documentate (numeri alla mano) su ogni specifico gruppo di diritti e doveri con l’obiettivo di dare sostanza ad ognuno di essi. Le proposte avanzate sono importanti e non più rinviabili e potrebbero rappresentare un percorso di esigibilità dei diritti, di inclusione e cittadinanza, di democrazia sostanziale.
Prima di analizzare i singoli articoli che richiamano specifici diritti e doveri, Semplici mette in chiaro un elemento costitutivo e originale della nostra Carta: una Costituzione non è solo una dichiarazione di diritti ma anche di doveri. Esiste una «circolarità sistemica dei due termini» che deve essere sempre tenuta presente quando ci si riferisce alla sfera civile, economica e politica della vita dei cittadini (pp. 9-10). «La fedeltà alla Costituzione coincide – per l’autore – con la disponibilità a verificare la natura e l’attualità dei rapporti in essa indicati, superando in questo modo l’alternativa tra la deriva della moltiplicazione dei diritti e l’opzione nostalgica per l’ordine perduto dei doveri».
In sostanza “non c’è nulla di irriverente nel proporre cambiamenti” della parte della Costituzione anche in riferimento ai principi fondamentali. Solo la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione» (p. 11).
Da questi assunti muove tutta l’operazione culturale e politica, di teoria e di prassi portata avanti dall’autore che ragiona sui contenuti essenziali dei rapporti di cui si occupa la nostra Costituzione: i rapporti civili, quelli etico-sociali, quelli economici, quelli politici. Ogni capitolo è diviso in tre parti: la prima spiega il significato e il contenuto di questi rapporti; la seconda indica i principali fattori che rischiano di rendere questi rapporti “inattuali” o addirittura “sfigurati”; la terza avanza proposte concrete che hanno il merito di indicare un direzione di marcia coerente con le indicazioni contenute nella Costituzione (p. 13).
Per far comprendere tutta la portata di questi diritti civili e quanto spesso questi siano traditi e non esigibili da tutti i cittadini, Semplici fa degli esempi concreti che svelano con chiarezza i paradossi, le contraddizioni e le incongruenze di una non adeguata traduzione di questi diritti mettendoci di fronte al dato di fatto di una Costituzione non applicata.
Si parte dal principio della libertà nella sicurezza. In Italia solo per un delitto su cinque inizia un’azione penale e questo porta i cittadini a percepire gli spazi che dovrebbero essere della libertà come spazi dell’insicurezza. Di fronte a questa situazione si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un cortocircuito della giustizia” dove lo Stato non riesce a dare giustizia in modo appropriato rischiando per questa via di «trasformare la sua forza in prepotenza, anche a danno di persone che non possono essere considerate colpevoli fino alla loro condanna definitiva» (p. 30, 31).
L’autore analizza le diverse questioni legate al sistema giudiziario italiano mettendo in evidenza come «il principio della disuguaglianza sia la vittima predestinata del cortocircuito della garanzia. I più ricchi dal punto di vista culturale, sociale, ed economico, potranno sempre contare su maggiori opportunità e strumenti per sostenere i tanti costi delle giustizia ritardata o negata». Successivamente descrive alcune inadeguatezze del sistema carcerario avanzando una proposta concreta ricordando come la legge n. 67/2014 abbia indicato una strada diversa «che punta a ridurre la popolazione carceraria valorizzando lo strumento della cosiddetta “messa alla prova” già esistente nell’ordinamento italiano e ampliandone l’utilizzo» (p. 46).
Stessa operazione viene realizzata per quanto riguarda i rapporti etico-sociali a cui la Costituzione dedica sei articoli (dal 29 al 34). I primi tre si occupano della famiglia, il quarto (art. 32) della salute e gli ultimi due (33 e 34) dell’arte, della scienza e della scuola. L’autore richiamando il dettato costituzionale sgombra subito il campo da qualsiasi equivoco: «ci vogliono risorse e risorse cospicue per “agevolare con misure economiche e altre provvidenze” le famiglie, garantire cure gratuite agli indigenti e la gratuità di almeno otto anni di istruzione obbligatoria (artt. 31, 32 e 34 Cost.)» (p. 57).
Non si può tollerare che su diritti così importanti si continui a giocare al ribasso sulla pelle dei cittadini, si contini a fare retorica senza intervenite in modo decisivo. Anche in questo caso Semplici non manca di mettere in evidenza come la non esigibilità di questi diritti crei un cortocircuito in relazione ai principi di libertà e di uguaglianza.
L’autore ricorda come i rapporti etico-sociali si caratterizzano per la loro dimensione di cura, intesa come attenzione che viene prestata a persone che hanno bisogno di altri per crescere e per proteggersi dalle malattie e come la Costituzione indichi nella famiglia e nell’istruzione i due luoghi per eccellenza che vanno sostenuti. Stesso discorso può essere fatto per ciò che riguarda «la salute che può essere considerato un bene di legame, perché fa il bene della collettività e non può essere difeso senza promuoverlo» (p. 63).
Se la famiglia rappresenta un ponte tra privato e pubblico, un bene pubblico, se la salute è un bene della collettività, se la scuola è un diritto/dovere riservato a tutti come mai constatiamo una drammatica divaricazione tra reale e ideale, un aumento delle disuguaglianze economiche, sociali e territoriali?
L’autore cerca di rispondere a queste domande osservando come la responsabilità di questa situazione sia da imputare a scelte politiche, passate e presenti, che di fatto negano l’accesso a questi diritti a moltissimi cittadini. Infatti «i diritti sono di fatto negati se il privato è per pochi, la qualità di quel che offre lo Stato è troppo bassa e le liste di attesa sono troppo lunghe» (p. 67). L’allocazione di risorse da parte dello Stato a vantaggio delle famiglie non solo tradisce il dettato costituzionale ma è decisamente inferiore a quello che accade in molti altri paesi. Un aumento dell’1% degli aiuti alle famiglie, che ci avvicinerebbe ai principali paesi europei, porterebbe a genitori e figli 16 milioni di euro in più l’anno (p. 70).
Semplici, parlando del reddito mostra come in Italia non si tenga conto in modo adeguato dei carichi familiari e questo produce scelte sbagliate. Seguiamo il ragionamento dell’autore. «Un esempio di un modo sbagliato di affrontare questo problema, che dimostra l’inadeguatezza del riferimento al solo redito come indicatore di benessere o disagio, è il provvedimento sul quale si è concentrata di più l’opinione pubblica italiana nel 2014: il bonus di 80 euro» (p. 80).
Dopo aver presentato un caso concreto di applicazione degli 80 euro in due diversi contesti familiari l’autore conclude che «il governo e il Parlamento hanno ritenuto che fosse utile e opportuno aggiungere mille euro pro capite a chi ne aveva già 20 mila e non fare nulla per le famiglie dove si vive con 6.250 euro a testa» (p. 80). Semplici nota come sia necessario «un intervento organico sui principali vettori che determinano la povertà: il reddito, la condizione abitativa, il patrimonio, i carichi familiari, le condizioni di disabilità» (pp. 81,82).
In questo ambito l’autore propone alcune idee (la costruzione di un welfare generativo, garantire una parità di trattamento di tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, buone scuole e buoni ospedali come presidi di cittadinanza) e rilancia alcune proposte come quella del reddito di cittadinanza sociale (REIS), promossa dall’Alleanza contro la povertà, che va oltre il semplice trasferimento di denaro perché sono capaci di creare rapporti di partecipazione attiva (anche attraverso il lavoro) che “fanno sentire alle persone il disagio come condizione transitoria” (p. 82).
Venendo ai rapporti economici l’autore parla subito del lavoro ricordando l’articolo 1 della Costituzione (l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro) e sostenendo come questo sia il primo ambito al quale si applica la “reciprocità di diritti e doveri”. La premessa dei rapporti economici è quindi quella cooperativa e che guarda all’interesse generale e che vuole garantire uguaglianza di opportunità a tutti. Inoltre «la Repubblica dovrà impegnare tutti i suoi poteri e le sue risorse perché nessuno sia privato della possibilità di lavorare, ma la retribuzione dovrà essere “proporzionata alla quantità e qualità del lavoro (art. 36)”» (p. 96).
Anche per quanto riguarda il lavoro e i rapporti economici Semplici evidenzia senza mezzi termini come «la Costituzione venga tradita due volte. La prima, evidentemente, perché il lavoro non c’è. La seconda perché per diverse ragioni, può non bastare a garantire un’esistenza dignitosa» (p. 116). Dopo aver richiamato alcuni degli istituti del Jobs Act l’autore osserva come non basti un intervento sulle regole ma sia necessaria “una strategia più ampia che si potrebbe fondare una distinzione tra lavoro ancorato e apolide” (p. 122). La proposta è chiara: puntare sul lavoro ancorato legato al territorio che si esprime nei sevizi di welfare, di cura, nella tutela dell’ambiente e del patrimonio storico, capace di coniugare iniziativa privata e pubblica e di ispirarsi ai principi dell’economia civile.
Semplici conclude il suo viaggio nella prima parte della Costituzione con gli ultimi 7 articoli dedicati ai rapporti politici che definiscono gli elementi essenziali del nostro modello democratico: dal suffragio universale al ruolo dei partiti fino alla difesa della Patria (p. 139). Su ognuno di essi l’autore si sofferma analizzando i nodi critici, le cause del progressivo indebolimento di alcuni di questi elementi (ruolo e significato del voto, crisi dei partiti, liquefazione della politica, democrazia digitale, personalizzazione della politica). Ma Semplici non sia limita alla critica e anche in questo caso propone due linee di intervento: porre un limite temporale al potere del leader e l’obbligo di fare squadra (pp. 166-172)
In sintesi questo lavoro ha molti meriti primo tra tutti quello di dare attualità ai principi della nostra Costituzione e di riconsegnarla in tutta la sua freschezza ai cittadini, come opportunità di una rinnovata fioritura democratica all’insegna del principio di sussidiarietà. Consigliamo la lettura ai decisori politici che operano a vari livelli nella consapevolezza che chi è investito di una responsabilità pubblica non solo deve conoscere bene la Costituzione ma soprattutto deve essere in grado di applicarla nel miglior modo possibile. E non si tratta di una questione di risorse ma di scelte che vengono o non vengono fatte.
Stefano Semplici, Costituzione inclusiva. Un sfida per la democrazia, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 20015.
Citazioni
“L’istruzione e condizioni di vita dignitosa sono indispensabili affinché la libertà di coscienza e di pensiero siano un’esperienza di uguaglianza effettiva e non il velo ipocrita di un privilegio che resta di pochi” (p. 57).
“L’istruzione è la via per realizzare ‘il pieno sviluppo della personalità umana e del senso della sua dignità e per porre tutti gli individui in grado di partecipare in modo effettivo alla vita di una società libera’ (…) e la famiglia è il luogo degli affetti che durano, ma anche della prima educazione alla responsabilità, alla condivisione, e alla identificazione di se con gli altri, tutti principi che costituiscono la filigrana delle stesse relazioni giuridiche e possono dare un orientamento a quelle del mercato” (pp. 60-61).
“La competizione fra i partiti non toglie l’impegno comune per i valori fondamentali” (p. 146).
“Le tasse sono uno degli elementi costitutivi del rapporto politico verticale e della sua percezione in termini di legittimità, o viceversa, di sopruso” (p. 148).
“La sussidiarietà è l’esperienza dell’impossibilità di dire l’autonomia senza dire e praticare insieme il bene come ciò di cui si ha bisogno, ma anche si persegue perché corrisponde all’idea di unità che vogliamo” (p. 179).