Il volume, scritto nel 2014, aveva lo scopo di aiutare a prendere delle decisioni ponderate per i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile (conosciuti anche come Agenda 2030) nel settembre 2015 da parte dell’ONU, scelta avvenuta il 25 settembre con l’individuazione di 17 obiettivi suddivisi in 169 target misurabili.
La validità di questo testo, dopo che le decisioni sono state prese, è quella di un approfondimento particolarmente analitico di ciò che si può concretamente fare per raggiungere i vari obiettivi dello sviluppo sostenibile e sostenere quindi le scelte dei decisori politici, economici, sociali pubblici e privati, internazionali e nazionali, per armonizzare le loro scelte tramite una cooperazione consapevole degli Obiettivi da raggiungere, sperando che ci sia un maggiore impegno rispetto agli otto Obiettivi del Millennio, raggiunti solo parzialmente.
In particolare la proposta più significativa è la diagnosi differenziale delle cause dei diversi aspetti problematici della vita dell’umanità nei singoli paesi. Per diagnosi differenziale, che Sachs ha chiamato «economia clinica» nel suo libro “La fine della povertà”, l’autore intende una lista di controllo diagnostico che riguarda sette elementi: trappola della povertà, politiche economiche, dissesto finanziario, geografia, qualità di governo, barriere culturali e geopolitica.
L’analisi dell’intreccio di questi fattori che caratterizzano ciascun paese è ciò che Sachs definisce diagnosi differenziale, mutando questa pratica dalla medicina, aiutato in questo dall’esperienza della moglie che è dottoressa.
L’obiettivo globale non è tanto quello di incrementare il PIL degli stati, quanto di poter incrementare la felicità delle persone. Persone felici vivono meglio, lavorano meglio, sono più coese socialmente, sono meno attratte dalla violenza come mezzo per poter uscire dalla povertà.
«La questione fondamentale è come valutare la nostra conoscenza delle interconnessioni fra economia, società, ambiente e governance, e impiegarla stabilire come dar vita a società prospere, inclusive, sostenibili e ben governate» (p. 13).
Sachs è convinto che l’essenza dello sviluppo sostenibile è un problema che si può risolvere con la scienza e con una buona dose di etica, che tenga conto più degli interessi dei poveri che dei ricchi (che già hanno il loro, come ricorda la parabola di Lazzaro e del ricco epulone del vangelo di Luca 16,19-31).
La lettura del libro non richiede particolari capacità specialistiche, ma un cuore sensibile ai veri problemi che si entusiasmi delle possibilità concrete di realizzare gli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile.
Jeffrey D. Sachs, L’era dello sviluppo sostenibile, Egea Università Bocconi Editore, Milano 2015.
Citazioni
“Qualcuno teme che non ci possiamo permettere la strada dello sviluppo sostenibile; che potrebbe sì «salvare» l’umanità, ma a prezzo di fermare il progresso economico […] In pratica, l’essenza dello sviluppo sostenibile è un problem solving scientificamente ed eticamente fondato. Abbiamo continuato a tollerare la presenza della miseria estrema in mezzo all’abbondanza; abbiamo lasciato abbiamo lasciato che il gap tra ricchezza e povertà si ampliasse, e abbiamo fatto ricorso a sistemi tecnologici che ora stanno oltrepassando i limiti del pianeta. Per passare dalla traiettoria del business as usual a quella dello sviluppo sostenibile è necessario un impegno coordinato e globale in un periodo relativamente breve, una questione di decenni più che di secoli” (pp. 45-46).
“Creare città prospere, ricche, capaci di adattarsi a cambiamenti tumultuosi sarà una delle sfide di fondo dello sviluppo sostenibile” (p. 57).
“Scopriamo che il reddito per persona conta molto, ma solo in quanto è uno degli aspetti della felicità (uso «felicità» come abbreviazione di «soddisfazione esistenziale»). Un secondo elemento importante del confronto tra felicità e infelicità è il «capitale sociale», ovvero la qualità di ambiente e comunità sociali […] Infine (anche se la nostra analisi non è del tutto esauriente), i valori di ciascun individuo e quelli della società in generale sono correlati alla felicità. In chi è decisamente orientato a valori materialistici (come un forte impulso a guadagnare più denaro o ad accumulare beni di consumo) non si rileva una felicità pari a quella di chi ha un orientamento meno materialistico” (p. 68).
“E’ stato meraviglioso vedere come la predisposizione degli Obiettivi del Millennio abbia risvegliato nella società civile risorse insospettate e abbia contribuito a indirizzare l’azione dei governi che altrimenti avrebbero potuto trascurare i problemi della povertà estrema. Gli Obiettivi del Millennio hanno attirato l’attenzione mondiale sulle condizioni dei poveri e anche contribuito a stimolare la ricerca di soluzioni per vincere le rimanenti sacche di povertà estrema. Naturalmente, come insegna la storia economica, e come ha messo in rilievo Keynes, le forze fondamentali di lungo termine che fanno diminuire la povertà sono tecnologiche. In ogni caso, gli Obiettivi di sviluppo del millennio hanno avuto un ruolo di primo piano nell’incoraggiare governi, esperti e società civile a effettuare le «diagnosi differenziali» necessarie per superare gli ultimi ostacoli” (pp. 150-151).
“A mio parere lo sviluppo sostenibile è caratterizzato da quattro dimensioni perché le tre tradizionali – sviluppo economico, inclusione sociale e sostenibilità economica – hanno bisogno di essere supportate da un quarto elemento: una buona governance. Quest’ultima avrà un ruolo fondamentale per il successo o il fallimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile ed è quindi doveroso far chiarezza sul termine. Governance vuol dire regole di comportamento, soprattutto nelle organizzazioni. Non si tratta solo di politica e di governi, ma anche delle principali organizzazioni che sono attori chiave dello sviluppo sostenibile, tra cui le aziende private. La buona governance riguarda tanto il settore pubblico che quello privato e, all’interno di quest’ultimo, soprattutto le multinazionali. […] Innanzitutto la responsabilizzazione. Governi e imprese devono essere responsabili delle loro azioni. […] Il precedente principio ne richiede un secondo, che pure trascende il tipo di governo e di azienda: la trasparenza. […] Il terzo principio è la partecipazione, ovvero la capacità dei cittadini e degli stakeholder di partecipare al processo decisionale. […] Un quarto aspetto della buona governance che ricade sotto la responsabilizzazione è il principio «chi inquina paga», in base al quale ognuno pulisce dove ha sporcato. […] Infine la buona governance comporta un chiaro impegno rispetto allo sviluppo sostenibile” (pp. 503-505).
“Anche se sembra che i sistemi politici siano indifferenti, le cose possono cambiare. Il messaggio più importante che voglio dare è che le idee contano. Possono influenzare la politica molto più di quanto non si aspettino i cinici più incalliti” (p. 508).
“Quando parliamo di andare verso Obiettivi dello sviluppo sostenibile globali, parliamo anche del bisogno e della possibilità di un’etica globale condivisa” (p. 509).