Papa Francesco conclude così la sua prima enciclica Laudato Si dedicata all’ecologia integrale, della natura e dell’uomo insieme. E’ l’invito di un pastore che sente la gioia spirituale di essere popolo (EG 268-274) e vuole coinvolgere non solo i cristiani, ma tutta l’umanità, a una presa di coscienza dei problemi che nascono quando ci si rinchiude in un ambito angusto, qualunque esso sia: economico, finanziario, ecologista, ecc.
Egli invita tutti, a cominciare da se stesso ad avere una visione ampia e profonda. E usa più volte questi due aggettivi per qualificare la visione ecologica integrale che tenga conto di tutte le relazione e connessioni che ci legano gli uni agli altri nella vita quotidiana a livelli micro e macro.
La parola di papa Francesco non è solo una analisi puntuale dei problemi ecologici e sociali (cap. 1, nn. 17-61), ma la proposta di leggere le varie crisi ecologica, economica, finanziaria, politica ed etica, come un’unica crisi che si presenta con diversi aspetti, che non possono essere risolti singolarmente, ma vanno considerati insieme e affrontati in modo multidisciplinare.
Egli dà voce a un popolo sofferente che grida perché subisce più dei ricchi del mondo le conseguenze congiunte di questa crisi e afferma che solo partendo dal punto di vista dei poveri, ascoltandoli e coinvolgendoli nelle decisioni che li riguardano, si possono affrontare le ricadute della crisi che producono scarti a tutti i livelli: dai rifiuti all’inquinamento, dalle guerre all’emigrazione, dalla povertà all’oppressione e arricchimento di pochi su molti.
Il secondo capitolo dell’enciclica propone una interpretazione positiva del comandamento di Genesi 1,28 sul dominio del mondo, nel senso che non si tratta di un dominio dispotico, distorsione di una certa interpretazione dei potenti, ma di una autorità responsabile della vita di tutti, perché è così che domina il Signore della vita e l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza.
Il capitolo terzo va alla radice umana della crisi ecologica. La distorsione della tecnologia che si presenta come globalizzazione del paradigma tecnocratico produce un relativismo pratico e un individualismo che indeboliscono la coscienza dei legami che ci costituiscono e ci uniscono in un unico popolo e un unico destino. Se la ricerca e l’innovazione scientifica di per sé non sono dannose, è sulla mentalità con cui vengono utilizzate e che portano strutturalmente con sé che va esercitata la vigilanza del cuore per mantenere viva la coscienza delle relazioni che ci uniscono agli altri e in particolare ai poveri.
Il capitolo 4 propone una ecologia integrale, che unisce gli aspetti ambientali, economici e sociali del vivere comune. Il bene comune è il criterio principe del discernimento su quanto avviene, tenendo conte sempre che «la realtà è superiore all’idea» (LS 110). Papa Francesco ribadisce con forza la tradizione che la proprietà privata non è mai assoluta e che è sempre subordinata alla sua destinazione sociale (LS 93). Questo principio deve poter trovare una sua attuazione pratica nelle forme della redistribuzione del reddito e non solo, che rendano concreti i legami di solidarietà che ci uniscono gli uni agli altri.
Il capitolo 5 propone linee di orientamento e di azione praticabili caratterizzate dal dialogo a tutti livelli: internazionale, nazionale e locale, da una parte, associato alla trasparenza nei processi decisionali, fino a giungere al dialogo tra politica ed economia in vista del bene comune e al dialogo tra le religioni e le scienze. Il dialogo è lo strumento di parola che umanizza coloro che lo praticano, esso deve essere sincero, paritario e avere come scopo il bene comune e non quello di pochi che hanno le informazioni e un maggiore potere di influenza dovuto a vari fattori.
Il capitolo sesto è dedicato all’educazione per una spiritualità ecologica. Papa Francesco esorta tutti a una vita più sobria, soprattutto per coloro che possiedono di più, consapevole che questa “decrescita” perseguita volontariamente, a partire dai comportamenti quotidiani per proseguire con scelte politiche e legislative, è la strada maestra, ancora una volta, per umanizzarci sempre più.
Il tono dell’enciclica è quello che la apre e la chiude, percorrendola tutta. La fatica dell’analisi e della situazione non fa venire meno la gioia del cammino comune che, riconoscendo la gratuità del dono di Dio della terra affidataci, e con la quale siamo in un’alleanza reciproca, ci fa andare incontro al Signore risorto che ci accoglie nella vita trinitaria di Dio.
Sono poi preziose le due proposte di preghiere finali perché papa Francesco è consapevole della forza missionaria dell’intercessione (EG 281-283).
Papa Francesco, Laudato Si’. Sulla cura della casa comune, Editrice Vaticana, Roma 18 giugno 2015.
Citazioni
“Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza. Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze e la luce di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade. A Lui sia lode!” (nn. 244-245).
“Oggi, credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti. Per i credenti questo diventa una questione di fedeltà al Creatore, perché Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati” (n. 93).
“Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo è possibile che oggi l’umanità non avverta la serietà delle sfide che le si presentano, e «la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza è in continuo aumento» quando «non esistono norme di libertà, ma solo pretese necessità di utilità e di sicurezza». (n. 105)
«Il problema fondamentale è un altro, ancora più profondo: il modo in cui di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo e unidimensionale […] Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti. Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che «esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti»» (n. 106)
“Nella modernità si è verificato un notevole eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggi continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali. Per questo è giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo. Una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo. Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile” (n. 116).
“La critica all’antropocentrismo deviato non dovrebbe nemmeno collocare in secondo piano il valore delle relazioni tra le persone. Se la crisi ecologica è un emergere o una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità, non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali” (n. 119).
“Quando l’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo. Perciò non dovrebbe meravigliare il fatto che, insieme all’onnipresenza del paradigma tecnocratico e all’adorazione del potere umano senza limiti, si sviluppi nei soggetti questo relativismo, in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati” (n. 122).
“E’ la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare” (n. 123).
“D’altra parte, la crescita economica tende a produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine di semplificare i processi e ridurre i costi. Per questo è necessaria un’ecologia economica, capace di indurre a considerare la realtà in maniera più ampia” (n. 141).
“Nelle condizioni attuali della società mondiale, dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri. (…). Basta osservare la realtà per comprendere che oggi questa opzione è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva realizzazione del bene comune” (n. 158).
«Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno» (n. 159)
“Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo” (n. 189).
“In questo contesto bisogna sempre ricordare che «la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente». Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui” (n. 190).
“Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi. Molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche. (…) Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità. Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida” (n. 197).
“La politica e l’economia tendono a incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà e il degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune. Mentre gli uni si affannano solo per l’utile economico e gli altri sono ossessionati solo dal conservare o accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordi ambigui dove ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente e avere cura dei più deboli. Anche qui vale il principio che «l’unità è superiore al conflitto” (n. 198).
“Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente” (n. 229).