Il libro ci aiuta a intraprendere “un viaggio nella rete che lavora proponendo le esperienze e i racconti del lavoro che cambia, attraverso i social media”. Racconta “storie di lavoratori che nei social network vedono cadere i confini tra i loro ruoli e cercano nuove modalità per rappresentare la propria identità e costruire una reputazione”.
L’autrice discute e argomenta la tesi secondo cui per capire a fondo il lavoro postindustriale sfuggente e “in frantumi” caratterizzato dalla contemporaneità, è necessario descrivere i cambiamenti che sta subendo anche grazie alla rete. In questo senso emerge dalle ricerche di Ivana Pais un’immagine del lavoro polidimensionale, che vede al presenza di micro-network. Il sistema reticolare si articola combinando i rimandi e i rimbalzi “da off-line a on-line e ritorno”, andando quindi oltre rigide separazioni e standardizzazioni. Il lavoro muta radicalmente. Non si appartane più a una classe, a una categoria professionale, ma a una rete, dove si scambiano risorse, informazioni, saperi. Dove si collabora e ci si incontra.
All’interno di questo impianto teorico ritroviamo due delle analisi più interessanti proposte dal libro. La prima è quella che riguarda il social recruiting, la cui importanza è destinata ad ampliarsi, in un passaggio naturale dal CV al profilo sui social networks. Una evoluzione rapida e “radicale” che ha facilitato ma non ancora modificato le dinamiche di domanda e ricerca di lavoro. La sua emersione imporrà una seria riflessione sulla ridefinizione delle modalità di incontro fra domanda e offerta di lavoro in seguito all’avvento della rete.
La seconda questione oggetto di analisi è il ruolo della reputazione. Il libro ne sottolinea l’importanza, mettendo però in luce come ci sia effettivamente il rischio di una “bolla della reputazione”, in ragione della presenza di numerosi bot, sistemi automatici che permettono la crescita artificiosa degli account sui social media e quindi degli score di reputazione. Si chiede la Pais, che succede se puntiamo tutto sulla reputazione, e poi scopriamo che può essere falsificata e distorta troppo facilmente. La soluzione suggerita risiede nel ruolo e nel comportamento dei “pari” che vivono le reti sociali, e che si attivino pratiche per mettere al centro il valore etico, in quanto è attraverso il controllo reciproco tra i pari, che è possibile evitare la formazione di questa bolla.
Questo libro interessante, scritto in modo accessibile e divulgativo, ci aiuta a riflettere sull’ impatto dei social networks e sull’agire reticolare nelle dinamiche di lavoro e di distribuzione di valore economico anche attraverso il riferimento a teorie sociologiche, come quella sul capitale sociale, senza tuttavia che la lettura ne risenta. Uno dei punti di forza di questo lavoro è la ricchezza di storie e di esempi. I racconti, ordinarie esperienze vissute di questa realtà della “rete che lavora” che si autoalimenta e mette radici, “fanno rete” creando valore dalle relazioni. Un lavoro prezioso che ci aiuta a scoprire la rete che lavora, a conoscerla, ad imparare il suo funzionamento, ad individuare le sue potenzialità presenti e future.
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Ivana Pais, La rete che lavora. Mestieri e professioni nell’era digitale, EGEA, Milano 2012.
Citazioni
“Il lavoro, negli ultimi anni, è diventato un oggetto sempre più sfuggente: alle grandi fabbriche fordiste si sono sostituite le organizzazioni a rete, alla materialità dei prodotti industriali la leggerezza dei servizi digitali, agli operai alla catena di montaggio i lavoratori della conoscenza, ai contratti a tempo indeterminato le partite Iva, alla stabilità del posto la mobilità dei percorsi di lavoro”.
“Le poche indagini disponibili sul lavoratore postindustriale lo rappresentano atomizzato, precario, individualista; l’antitesi della narrazione collettiva dei movimenti operai del secolo scorso. Le associazioni sono in affanno: faticano a entrare in relazione con lavoratori dispersi e mobili, non riescono a individuare bisogni collettivi su cui costruire le proprie piattaforme
contrattuali, hanno perso quel senso di appartenenza necessario all’esercizio della rappresentanza”.
contrattuali, hanno perso quel senso di appartenenza necessario all’esercizio della rappresentanza”.
“Non viviamo da soli e nemmeno in gruppi chiusi e stabili, costruiamo reti a geometrie variabili attraverso cui ci muoviamo nei nostri mondi sociali. Il lavoro è una di queste sfere e mantiene la sua centralità, pur avendo perso in compattezza. Il lavoro che è uscito dai libri è comunque presente nelle nostre vite quotidiane”.
“I siti di social network sono una piazza, dove incontrarsi e parlare del proprio lavoro, ma anche un auditorium, dove confrontarsi e riflettere, una fiera, dove mettere in mostra i propri prodotti e un mercato, dove scambiare risorse. Attraverso i social network, l’azione collettiva lascia il passo a quella connettiva, l’appartenenza alla connessione, la solidarietà alla collaborazione”.
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