La lucida e ragionevole proposta del senatore Manconi, di Anastasia, di Calderone e di Resta nasce dal cuore che si fa vicino alla sofferenza inutilmente imposta a chi già soffre per la restrizione della propria libertà a favore della sicurezza dei cittadini.
E’ una proposta che parla alla testa per compiere delle scelte razionali e ragionevoli, che tengano conto dei valori in gioco tra dignità della persona, retribuzione per la colpa, rieducazione e reinserimento nella società. Rebus di non facile soluzione, perché prima che alla testa parla alla pancia delle persone. I sentimenti di vendetta, di punizione e di giustizialismo sono sempre presenti in ciascuno di noi e richiedono un di più di riflessione, di presa di distanza dalle situazioni fortemente emotive che possiamo leggere quotidianamente, di respiro lungo per trovare soluzioni all’altezza della dignità di ciascuna persona coinvolta in un fatto degno di essere sanzionato penalmente.
Gli autori pensano che sia il tempo di dare attuazione all’articolo 27 della Costituzione: "la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte".
La tesi di fondo è che il nostro sistema penale non garantisce l’obiettivo della sicurezza della società, perché i due terzi dei carcerati torneranno a delinquere, dunque il carcere è un luogo che non reinserisce le persone nella rete della solidarietà sociale da cui si sono tirate fuori per i più svariati motivi.
Se effettivamente la reclusione garantisce la sicurezza di quelli di fuori, il modo con cui questa restrizione della libertà viene attuato la dice lunga su come concepiamo la dignità del colpevole.
«In Italia l’82,6% dei condannati sconta la pena in carcere, in Francia e Gran Bretagna la percentuale scende al 24% e uno degli indici di recidiva più basso d’Europa (30-40% nei primi tre anni) è ottenuto in Svezia, soprattutto attraverso il lavoro esterno e con pene non carcerarie» (p. 72-73).
Il problema non è mandare in carcere chiunque, ma tenere in carcere solo quella piccola minoranza veramente pericolosa e cercare invece di recuperare tutti gli altri alla convivenza civile, non infliggendogli situazioni dolorose, inutili e non all’altezza della dignità che comunque è dovuta ad ognuno, anche se colpevole, che provocano solo rancore, sfiducia nelle istituzioni e a perpetuare l’agire delinquenziale.
Queste le ragionevoli proposte del libro:
– il diritto penale come estrema ratio
– cancellare l’ergastolo, ridurre le pene detentive
– il carcere residuale
– una giurisdizione penale minima
– niente cella prima del giudizio
– garantire le alternative in corso di esecuzione
– diritti dei detenuti
– basta con i minori dietro le sbarre
– fine delle misure di sicurezza detentive
Tra le molte ragioni per cambiare il sistema penale e la carcerazione c’è anche quella economica, che giustamente non può essere il primo fattore, che è quello della dignità della persona, ma che va considerato attentamente, soprattutto visto che l’obiettivo di fondo non viene raggiunto. E’ un classico esercizio di costi-benefici che va compiuto con onestà ed equità.
E’ un libro per chi vuole ragionare con calma su un tema che suscita violenti sentimenti che vanno tenuti a bada per non continuare a perpetrare somme ingiustizie in nome della giustizia, una delle maggiori perversioni possibili di un bene in un male.
Proprio la scarsa coesione sociale e coscienza civile italiana sono una causa dell’insicurezza che i mass-media e i populismi alimentano ad arte, ma questo è un segno di inciviltà. Infatti da come si trattano i carcerati si evince quale considerazione abbia un paese di suoi cittadini che in certo momento della loro vita scelgono di sottrarsi alla solidarietà comune, soprattutto quando la corruzione e il malaffare sono così diffusi e poco sanzionati come vergognosi di una persona degna di questo nome.
Manconi L., Anastasia S., Calderone V., Resta F., Abolire il Carcere. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini, Edizioni Chiarelettere, Milano 2015.
Citazioni
"D’altro canto, la Costituzione non parla mai di carcere, né di pena detentiva. Anche se i costituenti conoscevano solo il carcere (per averlo personalmente scontato durante il regime fascista) e la pena capitale, in modo saggio e miracolosamente lungimirante non aggettivarono le pene, lasciando compao libero a un legislatore he volesse cambiare radicalmente la fisionomia delle sanzioni penali.
Siamo dunque autorizzati a osare" (p. 13).
"La tentazione forcaiola, manettara, quella del “chiudiamolo dentro e buttiamo la chiave” è comprensibilmente umana. In altri contesti e in altre epoche, infatti, compito dei governi e della politica sarebbe quello di promuovere l’educazione della parte giustizialista che è in ognuno di noi, informarla, placarla, contenerla e renderla marginale. Negli ultimi anni, invece, assistiamo al comportamento contrario: il cittadino “incluso” viene fatto sentire via via più insicuro" (p. 52).
"A fronte dell’enorme esborso economico, si è in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati? Che i risultati attesi siano un maggiore benessere sociale, un’accresciuta sicurezza collettiva o una riduzione dell’illegalità, la spesa pubblica dovrebbe essere commisurata all’obiettivo e gestita con trasparenza e razionalità" (p. 58).