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Per una nuova narrazione del nostro futuro dobbiamo imparare a porre dei limiti al nostro desiderio di potenza che genera prepotenza facendo spazio alla deponenza. Questa non nega la potenza, soggettiva e sistemica, ma la mitiga inserendola in una rete di relazioni

In questo breve ma stuzzicante saggio. Mauro Magatti riflette sulla crisi dell’economia globale che è anche crisi sociale, politica e spirituale e ne indica la radice nel circuito “potenza-volontà di potenza”.

Il discorso si articola attraverso l’analisi dei tre termini del titolo: prepotenza, impotenza e deponenza.

Il primo sostantivo, prepotenza, rappresenta la situazione prodotta dall’esasperazione del concetto di potenza. La nostra epoca è caratterizzata da un diffuso senso di potenza, intesa come il “potere di potere”.

La potenza di per sé non è negativa: citando Nietzsche l’autore afferma che essa è volontà di vita.
Questo senso di potenza tende ad espandersi alla ricerca di traguardi sempre più nuovi, tra gli anni Settanta e il 2008 l’idea di potenza ha assunto una forma nuova che è definita tecno-nichilista: la potenza ha fatto crescere la volontà di potenza e la volontà di potenza ha richiesto sempre più potenza.

Questo circuito “potenza-volontà di potenza”, che nel Novecento ha portato ai regimi totalitari, negli anni più recenti si è banalizzato. La volontà di potenza oggi si esprime nei piccoli godimenti privati, associandosi a un sistema tecno-economico che nel frattempo è diventato planetario, molto più potente, in espansione e difficile da controllare.

Il sistema tecnico tende a diventare prepotente perché non c’è un altro da sé con cui debba confrontarsi, dunque si auto-legittima in base a ciò che è capace di realizzare. La prepotenza è inoltre presente nella sfera soggettiva: il prepotente è colui che non accetta limiti alla propria volontà di potenza che considera come un diritto naturale.

L’impotenza rappresenta un elemento costitutivo della nostra umanità, quella parte fragile che la potenza, trasformata in prepotenza, non accetta, per cui chi non rispetta lo standard della performance deve vergognarsi. Così il sistema tende ad assumere tratti disumani, al suo interno l’impotenza può essere gestita soltanto correggendola con la potenza.

La deponenza è una potenza che accetta l’esistenza di altre persone, di altre strutture, di altri punti di vista; in altri termini accetta dei limiti alla propria libertà.

Il termine deponenza è ripreso dal latino e dal greco, lingue per le quali esistono verbi deponenti che hanno forma passiva ma significato attivo. Dal momento che non si può rinunciare completamente alla potenza che vuol dire crescita, espansione e sviluppo, la deponenza rappresenta una buona prospettiva per un’altra narrazione del futuro dell’umanità.

Mauro Magatti, Prepotenza, impotenza, deponenza, è possibile un’altra narrazione del nostro futuro?, Marcianum Press, Venezia 2015.

Citazioni

“In quanto ‘potere di potere’, la potenza si caratterizza per la volontà di aumentare continuamente se stessa, alla ricerca di possibilità, esperienze, occasioni e forme sempre nuove” (pag.17).

“La democrazia moderna si è affermata proponendosi come un sistema in grado di controllare la potenza del potere – in nome del principio della sua divisione – trasformandola in potere istituito: nelle società democratiche, il potere (istituito) è tutt’altro che illimitato. Il suo esercizio si basa su procedure, regole, limiti ben precisi” (pag. 18).

“Più in generale, possiamo dire che, negli ultimi 30 anni, la potenza ha aumentato la propria capacità di creare opportunità di vita in modo sempre più veloce e diffuso attraverso la creazione di un unico sistema tecnico planetario integrato” (pag. 25).

“…da quando ci alziamo a quando andiamo a dormire, siamo quasi completamente immersi in un sistema tecnico dove le diverse traiettorie tecnologiche susseguitesi nel corso dei decenni (meccanica, digitale e biologica) si integrano tra loro arrivando a strutturare un sistema che diventa sempre più potente, cioè sempre più capace di creare nuove possibilità” (pp. 27-28).

“Nell’epoca della potenza, il potere non lo si trova più al vertice della piramide. Semplicemente perché la piramide non esiste più. Il potere lo si trova invece nei micro dispositivi che organizzano la nostra vita e orientano le nostre scelte.” (pag. 28)

“Il sistema è dominato dalla logica della potenza che è la logica della tecnica: sempre più efficienza sempre più velocemente, con standard sempre più alti. C’è qualcuno che può onestamente dire di non essere coinvolto in questa logica?” (pag. 29)

“Questo circuito ‘potenza – volontà di potenza’ ha prodotto ‘prepotenza’, termine col quale intendo un modo di trattare la potenza che prescinde da qualunque altra cosa oltre se stessa” (pag.33).

“La vita è piena di impotenza! Non si tratta di celebrare l’impotenza, ma di capire che l’impotenza è un elemento costitutivo della nostra umanità. Invece è proprio questo che il circuito “potenza-volontà di potenza” non vuole vedere. Al suo interno, l’unico modo per gestire l’impotenza è correggerla con la potenza” (pag. 41).

“Non si tratta di rigettare la volontà di potenza. Il punto piuttosto è che i nostri problemi contemporanei, che certo riguardano il sistema economico, industriale, la finanza, l’economia, riguardano soprattutto la nostra libertà e la nostra idea di libertà. Alla fine della sua lunga vita, Nelson Mandela ha detto che finora abbiamo solo guadagnato il diritto di essere liberi, ma che dobbiamo ancora dimostrare la nostra fiducia nella libertà. Il che significa: dobbiamo iniziare un’epopea nuova della libertà che non abbia a cuore solo il tema della liberazione” (pag. 43).

“Dunque, la mia umile proposta è che la via per combattere la prepotenza ha a che fare con la deponenza. Che non nega la potenza, soggettiva e sistemica. Ma la mitiga inserendola in una rete di relazioni” (pag. 47).

“La deponenza non significa rinuncia alla libertà, all’azione, al desiderio di vita, ma è un semplice atto di riconoscimento: (…) essa ci fa constatare che non siamo padroni del mondo, che non siamo nemmeno totalmente padroni di quello che facciamo. In altri termini, la deponenza è il riconoscimento che, oltre la nostra azione, c’è qualcos’altro che non è un limite in senso negativo, un vincolo alla nostra azione, ma è, al contrario, un limite sano che ci consente di stare al mondo: è quel qualcos’altro che rende la nostra azione sensata, umana, ragionevole” (pp. 47-48).

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