“Anche all’interno della scuola economica dominante, cioè la scuola neoclassica, che fornisce molte delle basi dell’economia liberista, vi sono teorie che spiegano perché sia probabile che i liberi mercati producano risultati subottimali. Sono le teorie del ‘fallimento del mercato’ o ‘dell’economia del benessere’, proposte all’inizio del XX secolo da Arthur Pigou professore di Cambridge, e sviluppata più tardi da economisti contemporanei come Amartya Sen, William Baumol e Joseph Stiglitz, per citare solo i più importanti […] I successi e i fallimenti attuali delle imprese, delle economie e delle politiche suggeriscono che le idee di questi economisti alternativi, oggi ignorate o dimenticate, hanno lezioni importanti da darci. Le scienze economiche non sono necessariamente inutili o dannose. Dobbiamo solo imparare il tipo giusto” (p. 235).
La terza di copertina presenta così l’autore: “Ha-Joon Chang, autore di Cattivi samaritani (2008), è docente di Economia dello sviluppo a Cambridge e consulente di Nazioni Unite e Banca mondiale. E’ coreano, ma vive dal 1986 in Inghilterra che considera la sua seconda patria. Economista eterodosso, la sua è una voce di sano dissenso che ricorda quelle di John K. Galbraith e Joseph Stiglitz”.
Perché riproporre un libro “vecchio” di 5 anni alla nostra attenzione? Perché è ancora attualissimo, in quanto le sue proposte di una maggiore regolazione della velocità dei mercati finanziari per renderli utili ed efficaci per l’economia produttiva, non sono state accolte e non lo saranno nel prossimo futuro. Il rischio è quello che si riproduca un’altra crisi molto probabilmente peggio della precedente, in quanto il mercato dei derivati è cresciuto ulteriormente rispetto a quello che era nel 2008 e dunque il castello in aria della finanza senza troppi vincoli è più alto e più pericolante di ieri.
I 23 capitoli sono strutturati con la presentazione del pensiero unico dell’economia liberista: il primo paragrafo, “Cosa ti dicono”; il secondo paragrafo “Cosa non ti dicono” presenta i rischi e il lato oscuro del pensiero unico. Il capitolo sviluppa poi argomentazioni critiche al pensiero unico e si conclude con una possibile soluzione pratica.
L’autore sintetizza poi il suo pensiero nelle conclusioni “Come ricostruire l’economia mondiale” con 8 proposte:
1) Il capitalismo è il peggior sistema economico eccezion fatta per tutti gli altri (parafrasando Winston Churchill). La critica non è contro il capitalismo in genere, ma contro il liberalismo sfrenato che non ha dato buona prova di sé negli ultimi trent’anni, poiché le disuguaglianze sono aumentate e la crisi ha colpito il ceto medio e povero, più che i ricchi.
2) Dovremo costruire il nuovo sistema economico sulla base del presupposto che la razionalità umana è molto limitata, contro la tesi di fondo del liberalismo sfrenato
3) Pur riconoscendo che non siamo campioni d’altruismo, dovremmo costruire un sistema che tiri fuori il meglio dalla gente, non il peggio
4) Bisogna smettere di credere che la gente venga sempre pagata secondo il “merito”
5) Dobbiamo prendere più seriamente la produzione “delle cose”
6) E’ necessario trovare un migliore equilibrio tra finanza e “attività reali”
7) Lo stato deve espandersi e divenire più attivo
8) Il sistema economico mondiale deve essere “ingiustamente favorevole” verso i paesi in via di sviluppo.
L’idea di fondo è che il capitalismo liberista senza vincoli, perché si autoregola da solo sulla base della razionalità degli interessi egoistici degli individui, poggia su dei presupposti antropologici falsi e pertanto le soluzioni perseguite non possono che essere false.
Secondo l’autore ci sono molteplici modelli di capitalismo che hanno dato esiti e sviluppi diversi nel corso degli ultimi decenni, ognuno con i suoi pregi e difetti, ma quello imperante sicuramente non ha dato una buona prova di sé.
Ecco la proposta più contro intuitiva e decisiva del libro, rispetto alla finanza sfrenata:
“Gli strumenti finanziari devono essere vietati finché non comprendiamo pienamente il funzionamento e gli effetti sul resto del settore e il resto dell’economia […] Potete pensare che sono troppo estremista. Tuttavia è esattamente quello che facciamo sempre con altre merci: farmaci, automobili, prodotti elettrici, ecc.
Quando un’impresa crea un nuovo medicinale, per esempio, questo non può essere venduto immediatamente. I suoi effetti e la reazione del corpo umano sono complessi, un farmaco, quindi, deve essere testato rigorosamente prima che sui possa essere certi che abbia effetti benefici tali sa superare chiaramente gli effetti collaterali e permetterne la vendita. Non c’è niente di eccezionale nel proporre di certificare la sicurezza dei prodotti finanziari prima che siano venduti. A meno che non limitiamo deliberatamente le nostre scelte creando norme restrittive, semplificando così l’ambiente in cui viviamo, la nostra razionalità limitata non può fare fronte alla complessità del mondo. Abbiamo bisogno di regole, non perché il governo ne sappia di più, ma perché riconosciamo umilmente la nostra limitata capacità mentale” (p. 171).
L’autore scrive in modo chiaro e scorrevole, utilizzando metafore sportive e altre molto efficaci per far comprendere il suo punto di vista.
Di seguito i 23 titoli dei capitoli, molti dei quali sono controintuitivi, per questo vanno letti con attenzione:
1) Il libero mercato non esiste
2) Le aziende non vanno gestite nell’interesse degli azionisti
3) Nei paesi ricchi la maggior parte della gente viene pagata più di quanto dovrebbe
4) La lavatrice ha cambiato la vita più di internet
5) Aspettati il peggio e otterrai il peggio
6) La maggior stabilità macroeconomica non ha reso l’economia mondiale più stabile
7) le politiche liberiste raramente rendono ricchi i paesi poveri
8) Il capitale ha nazione
9) Non viviamo in un’epoca postindustriale
10) Gli Stati Uniti non hanno il tenore di vita più alto del mondo
11) L’Africa non è destinata al sottosviluppo
12) Gli stati sanno puntare su imprese vincenti
13) Rendere i ricchi ancora più ricchi non rende tutti più ricchi
14) I manager americano sono pagati troppo
15) I paesi poveri sono più intraprendenti di quelli ricchi
16) Non siamo abbastanza intelligenti da lasciar fare al mercato
17) Più istruzione non rende un paese più ricco
18) Quello che è buono per la General Motors non è sempre buono per gli Stati Uniti
19) Malgrado la caduta del comunismo viviamo ancora in economie pianificate
20) L’uguaglianza di opportunità non può essere equa
21) Uno stato sociale generoso rende la gente più aperta al cambiamento
22) I mercati finanziari devono essere meno efficienti
23) Una buona politica economica non ha bisogno di bravi economisti
Per concludere, ultimamente ho letto diversi libri di famosi ed affermati economisti accademici che concordano su alcune critiche del sistema capitalistico liberista e che propongono soluzioni analoghe, ma sembra che i decisori politici non sappiano ascoltarli, per ignoranza o calcolo politico.
Dunque: che fare come mondo sociale che crede e persegue la costruzione di un bene comune? C’è un problema di allargare gli orizzonti di comprensione dei fenomeni e di educare classi dirigenziali a tutti i livelli a una maggiore attenzione verso mix diversi di politica-economia-finanza-sociale.
Ha-Joon Chang, 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo, Il Saggiatore, Milano 2012.
Citazioni
“Senza la nostra cittadinanza economica attiva, saremo sempre vittime di chi è più capace d’imporre le proprie decisioni” (p. 15).
“Per quei prodotti ancora scambiati sul mercato, nel corso del tempo sono state introdotte sempre più regole […] Riconoscere che i confini dei mercati sono ambigui e non possono essere determinati in modo oggettivo ci permette di capire che l’economia non è una scienza pura come la fisica e la chimica, ma un fatto politico” (p. 24).
“Gestire un’impresa nell’interesse degli azionisti spesso ne riduce il potenziale di crescita di lungo periodo” (p. 27).
“Le differenze tra i salari dei paesi poveri e i salari dei paesi ricchi non derivano tanto dai differenti livelli di produttività, quanto dai controlli sull’immigrazione” (p. 37).
“Quei meccanismi invisibili di premio o sanzione che secondo gli economisti liberisti creano l’illusione della moralità possono esistere solo perché non siamo egoisti e amorali come essi pretendono” (p. 60).
“L’inflazione sarà anche stata domata, ma l’economia mondiale è diventata più instabile” (p. 63).
“L’inflazione è lo spauracchio utilizzato per giustificare politiche a beneficio di chi detiene attività finanziarie, a scapito di una stabilità duratura, della crescita economica e della nostra felicità” (p. 71).
“Nessun paese ha raggiunto un decente (per non parlare di alto) tenore di vita facendo affidamento solo sui servizi. E nessuno lo raggiungerà in futuro” (p. 106).
“Specialmente nell’ultimo secolo l’imprenditoria è diventata un’attività collettiva, e dunque la mancanza di organizzazione è diventata per lo sviluppo economico un ostacolo ancora più alto della mancanza di spirito imprenditoriale dei singoli individui” (p. 155).
“Di conseguenza, la maggior parte delle persone dei paesi ricchi passa la vita lavorativa realizzando la visione imprenditoriale di altri, non la propria. (…) Il punto semmai è questo: ciò che davvero rende ricchi i paesi ricchi è la loro abilità di canalizzare lo spirito imprenditoriale individuale in imprese collettive” (p. 160).
“Non necessariamente la gente sa quello che fa, poiché la nostra capacità di capire, anche le cose che ci riguardano direttamente, è limitata – o, in gergo, abbiamo una ‘razionalità limitata’ “(p. 163).
“Quello che veramente conta nel determinare la prosperità di una nazione non è il livello d’istruzione degli individui, ma la capacità di un paese di organizzarli in imprese ad alta produttività” (p. 173).
“Alla fine non conta la quantità, ma la qualità delle regole” (p. 183).
“Perciò la questione non è se pianificare o meno, ma pianificare le cose giuste al livello giusto” (p. 191).
“Una uguaglianza eccessiva dei redditi è dannosa, anche se si può discutere cosa voglia dire ‘eccessiva. Tuttavia, la parità di opportunità non è abbastanza. Finché non creiamo un ambiente dove a ciascuno sono garantite delle capacità minime tramite garanzie di reddito minimo, istruzione e assistenza sanitaria, non possiamo dire di avere una concorrenza equa. Se alcuni sono costretti a correre i 100 metri con dei pesi sulle gambe, il fatto che nessuno possa partire prima rende la cosa ingiusta. Le pari opportunità sono assolutamente necessarie, ma non son sufficienti per costruire una società giusta ed efficiente” (p. 208).
“Possiamo guidare velocemente solo perché abbiamo i freni. Se le automobili non li avessero, anche i piloti più abili non avrebbero il coraggio di andare a più di 40-50 chilometri all’ora per paura di sfracellarsi. Allo stesso modo, la gente accetta più volentieri il rischio di rimanere disoccupata o di dover imparare un nuovo mestiere, se sa che tali esperienza non distruggeranno la sua vita. E’ questa la ragione per cui uno stato sociale diffuso rende la gente più aperta al cambiamento, e di concerto più dinamica l’economia” (p. 217).
“Ciò che rende il capitale finanziario necessario per lo sviluppo economico, ma potenzialmente controproducente o perfino distruttivo, è la sua maggiore liquidità rispetto al capitale industriale” (p. 225).
“Le attività finanziarie, invece, possono essere movimentate e riorganizzate in minuti, se non secondi. Questo estremo divario ha creato grossi problemi, perché il capitale finanziario è «impaziente» e alla ricerca di guadagni di breve periodo” (p. 226).
“Un sistema finanziario perfettamente sincronizzato con l’economia reale sarebbe inutile. Il bello della finanza è che può muoversi più velocemente, ma se si muove troppo velocemente, fa deragliare l’economia reale. Nel momento attuale, abbiamo bisogno di ricomporre il nostro sistema finanziario in modo che permetta alle aziende di effettuare investimenti di l ungo periodo in capitale reale, competenze individuali e organizzative, che sono in ultima i stanza la sorgente dello sviluppo economico, dando loro nel contempo la necessaria liquidità” (p. 226-227).
“Il capitalismo si sviluppa attraverso investimenti di lungo periodo e innovazioni tecnologiche che trasformano la struttura produttiva, e non semplicemente mediante un’espansione delle strutture esistenti, come se si trattasse di gonfiare un palloncino” (p. 234).
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