Chiudi il libro, dopo aver letto l’ultima pagina, e ti chiedi: ma cosa ho tradito nel mio impegno politico? Ho forse sbagliato mira? E sono domande legittime, visto quanto afferma
Luciano Gallino in questo volume. Egli, in buona sostanza, ricolloca nell’attualità una battaglia che sembrava chiusa con gli anni 80, quella tra capitale e lavoro. Gallino è
provocatorio e sostiene che la lotta di classe non è mai finita. Anzi: adesso
in attacco c’è la razza padrona e in difesa (e indifesa) e
inconsapevole c’è la classe operaia e lavoratrice.
L’analisi di quest’ipotesi è documentata attraverso il riferimento ad alcuni elementi: le politiche fiscali che tartassano la classe lavoratrice, l’alleggerimento del welfare state e la ristrutturazione delle risorse pubbliche con la scusa dello spread e del giudizio di quei misteriosi osservatori internazionali che sono le agenzie di rating. Perfino il mercato immobiliare non sfugge all’occhio di Gallino, perché il pendolarismo è tipico segno di una forma povertà. Rientra in questa lotta anche la delegittimazione costante del sindacato, possibile per il fatto che la globalizzazione provoca una sovrabbondanza di forza lavoro. Si crea una competizione intraclasse che obbliga i lavoratori ad abbassare le pretese (che in realtà sono diritti) pur di lavorare.
Di tutto ciò la classe lavoratrice non ha consapevolezza. Non è più – per dirla con Marx – classe per sé. E così il destino di milioni di lavoratori rimane quello, non cambia, è immobile, pur illudendosi che potrebbe non essere così. Illusi: è proprio così, stesso destino dei padri (quando va bene). Invece la razza padrona ha forte consapevolezza in sé e per sè, elabora una vera e propria coscienza di classe. E lo fa per mezzo di quei convegni internazionali, organizzati da istituzioni private che godono di grande prestigio internazionale, dove si incontrano sempre i soliti, si scambiano idee che diventano poi linee politiche adottate da governi apparentemente tecnici. I governi tecnici – ci spiega Gallino – sostengono un’austerità che riduce lo stato sociale, che introduce una flessibilità del lavoro in una società dalle logiche rigide e che tollera l’iniquità. E anche qui riscontriamo come non abbia del tutto torto. Ma va oltre: i governi tecnici fanno politiche tipicamente di destra. A volte sono di sinistra…
Come ha fatto, la classe lavoratrice, ad accettare questo stato di cose? È un fenomeno culturalmente interessante. Continuando a ripetere che “il mondo è cambiato”, che “tutti sono dalla stessa parte”, che “non esistono alternative per cambiare lo stato delle cose”, si ingenera allora una cattura cognitiva che coinvolge perfino quelle formazioni che, in teoria, dovrebbero pensarla diversamente. La cattura è evidente anche sul piano degli stili di vita, si pensi ad esempio ai tantissimi lavoratori che posseggono titoli e azioni di imprese quotate, e che gli stessi lavoratori sperano che vadano bene: licenziamenti compresi. La conseguenza forse più drammatica di questo stato di cose – che ha effetti gravi anche sul carattere delle persone – è che essa produce disinganno, delusione, rabbia, caduta di una speranza condivisa. Gallino
suggerisce come si debbano recuperare parole quali emancipazione e partecipazione.
Mentre riscrivo queste frasi sul mio computer, guardo chi popola il vagone del regionale per Fara Sabina su cui sto viaggiando, e penso che effettivamente su certi punti non abbia torto. Adesso scusate do un’occhiata al giornale, almeno per sapere come vanno le azioni della Fiat che ho acquistato…
Luciano Gallino (intervista di Paola Borgna), La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari 2013.
Citazioni
"Le classi dominanti si sono mobilitate e hanno cominciato loro a condurre una lotta di classe dall’alto per recuperare il terreno perduto".
"Con passo tra il militaresco e il robotico e lo sguardo opaco più volte al giorno migliaia di persone camminano a valanga nei giganteschi corridoi delle stazioni di interscambio […] su treni regionali [che] in genere sono un inferno: lenti, sporchi, con orari e percorsi disagevoli, quasi sempre sovraffollati".
"I governi tecnici degli ultimi anni si sono adoperati in genere per far sì che diritti sociali e risorse siano per quanto possibile spostati sempre più dal basso della piramide sociale verso l’alto. Che è il contrassegno archetipico di ogni politica di destra”. […] Un aspetto incongruo delle politiche di austerità, le quali sono in sé politiche arcignamente di destra, è che vengono sovente condotte da governi di centro-sinistra".
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