“Quasi tutti conoscono la storia del tizio che cercava le chiavi sotto un lampione non perché le avesse perse lì, ma perché quello era l’unico punto illuminato della strada. Di solito le barzellette non sono immediatamente comprensibili ovunque. È raro che l’umorismo attraversi le frontiere e in genere resta connotato a livello nazionale. Ma in questo caso potrebbe avere a che fare con una caratteristica inerente alla natura umana: cercare di vederci chiaro, che si parli di vista o di riflessione. Questo libro si riferisce a entrambe le cose: tratta di ciò che è in piena luce, le idee e i concetti che costituiscono i lampioni accesi in passato proprio per vederci chiaro” (p. 5).
Gli studiosi di ogni campo – spiega – sono coloro che scelgono cosa occorre illuminare, i fenomeni da analizzare e i sistemi di misurazione da utilizzare. Ma cosa accade se compaiono fenomeni nuovi, o se ne riemergono altri che pensavamo appartenere al passato? Se continuiamo a cercare alla luce dei vecchi lampioni, allora, come l’uomo che ha perso le chiavi, perdiamo ogni possibilità di vederci chiaro. Ecco l’errore commesso, secondo Fitoussi, nell’odierna politica economica: «illuminare» dove non serve. Cercare soluzioni che possono anche essere giuste, ma che rispondono alle domande sbagliate.
“Se le nostre scelte non sono pertinenti, – scrive Fitoussi, – le nostre ricerche saranno infruttuose. Nell’ambito dell’agire politico questo può avere conseguenze gravi, perché gli errori possono accumularsi: errori nella definizione dell’obiettivo, nella sua valutazione, nella scelta degli strumenti utilizzati in funzione dei fini ricercati, vale a dire nella teoria o dottrina che presiederà all’azione” (p. 6).
La stabilità dei prezzi, sulla quale erano puntati i riflettori della politica economica, si è rivelata indipendente dalla stabilità economica e finanziaria; la crescita del Pil non ha determinato alcun miglioramento sulla miseria sociale, che anzi si è aggravata, e la deregolamentazione dei mercati ha dato inizio a una fase di malfunzionamento che non si vedeva dagli anni Trenta: si è agito sulla base di teorie che non avevano nulla a che fare con il mondo reale, o per lo meno non con il mondo reale come è adesso. Sono stati accesi i lampioni sbagliati.
Ma quali speranze possiamo nutrire in una società dove le ineguaglianze sono così forti? Dove la stragrande maggioranza dei cittadini vive in situazioni drammatiche? Dove una percentuale esigua concentra su di sé ricchezze inimmaginabili?
Con grande lucidità e autorevolezza, Fitoussi ci mostra come gli strumenti di misurazione in uso siano obsoleti, e quali sono le conseguenze delle politiche economiche dei governi europei su due questioni fondamentali come il benessere e la sostenibilità. Ogni capitolo identifica un problema, e contemporaneamente dimostra che la soluzione esiste, ed è semplice. Basta abbandonare le rigide dottrine, le metriche e i sistemi politici nei quali ci siamo smarriti, che forse potevano funzionare in passato, e potrebbero funzionare nell’universo parallelo che per anni ci hanno raccontato, ma di certo non sono quelli che regolano l’universo in cui viviamo.
Fitoussi in sostanza vuole illuminare il cammino, vuole accendere i lampioni giusti per dare il suo contributo affinché si possa mettere fine alla sofferenza sociale. Un libro che ha il grande pregio di riaccendere la speranza, di avanzare proposte concrete per cambiare rotta, a partire dalla riduzione delle disuguaglianze che causano tanta sofferenza sociale in tutto il mondo.
Jean-Paul Fitoussi, Il teorema del lampione o come mettere fine alla sofferenza sociale, Einaudi, Torino 2013.
Citazioni
“E’ dunque tutto irragionevole quello che accade al mondo di oggi: il livello di disuguaglianza e quello di disoccupazione, la massa delle carriere interrotte, il numero incredibile di persone che non riescono nemmeno ad avviarne una o di quanti si arenano a qualche anno dalla pensione, l’enormità delle fortune accumulate, l’oscenità di alcune remunerazioni, l’insicurezza generalizzata che regna nei Paesi ricchi” (pp. 3-4).
“E giunto il momento di valutare le conseguenze delle politiche che i nostri governi portano avanti riguardo a questi due obiettivi maggiori: il benessere e la sostenibilità. In questo libro provo a farlo, mostrando fino a che punto le misure che perseguono gli obiettivi tradizionali della politica economica possano avere effetti deleteri su altri obiettivi, di fatto più importanti per le nostre società. In particolare mi sembra che le politiche di austerità condotte attualmente in Europa influiscano negativamente sia sul benessere sia sulla sostenibilità” (p. 9).
“La paura del futuro fa emergere al contrario atteggiamenti protezionistici, politiche non cooperative, e lo sviluppo di sentimenti anti-immigrazione. Niente di cui sorprendersi: la precarietà, che è il contrario della sostenibilità, è di ostacolo ad un vita buona. Per questo il progresso sociale, ossia ciò che più importa alle persone, va di pari passo con la sostenibilità. Ed è ancora per questo che la crescita delle disuguaglianze, che impedisce ad una percentuale sempre più rilevante della popolazione di proiettarsi nel futuro, è di ostacolo alla sostenibilità” (p. 204).