Negli anni più recenti il dibattito culturale e politico ha perso lucidità quando si è scontrato con l’uso distorto di alcuni termini relativi ad aspetti cruciali del dibattito stesso. Al medesimo termine sono stati attribuiti significati diversi, in alcuni casi addirittura contrapposti.
Un concetto chiave come “liberalismo” è stato confuso con “liberismo”. Il modello su cui si fonda l’unione europea, l'”economia sociale di mercato”, laico, è stato confuso con l’economia sociale sostenuta da alcuni movimenti cattolici. Tale uso distorto può essere imputato in alcuni casi a ignoranza, in altri casi al consapevole tentativo di travolgere la storia per appropriarsi della sua eredità. È importante il contributo dato alla chiarezza da Flavio Felice con il libro “I limiti del popolo. Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo” (Rubbettino, 2020, pp. 409).
Come sempre ritornare alle radici aiuta a comprendere meglio il presente, ciò che si pone in un solco e ciò che ne devia. Non a caso Felice so rifa’ a Sturzo; la sua vita stessa ha punti di contatto significativi con quella del sacerdote siciliano. Entrambi cattolici, portatori di una cultura laica, entrambi critici costruttivi nei confronti di una parte della Curia Romana. Felice ha lasciato la Pontificia Università Lateranense per divenire ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università del Molise; oggi è presidente del Consiglio Scientifico dell’Istituto di Studi Politici San Pio V e del Centro Studi Tocqueville-Acton.
Un esempio valga a illustrare l’impegno dell’Autore. Nel libro precedente “L’Economia sociale di mercato”, (Rubbettino, 2008), Felice (nella foto) aveva analizzato il superamento delle ideologie tradizionali. La causa a cui più comunemente si è fatto riferimento per spiegare la difficoltà di garantire il buon governo a tutti i livelli è la crisi dei partiti tradizionali. Questa crisi porta in molti casi a ricercare leader carismatici o a sviluppare approcci amministrativi. La vera causa della crisi è l’esaurimento della base ideologica dei partiti, imputabile al raggiungimento acquisito – almeno nei paesi più sviluppati – degli obiettivi valoriali perseguiti. È il successo dei partiti storici che ne determina l’indebolimento. Di qui l’importanza dell’economia sociale di mercato che offre una visione del progresso necessario e possibile dell’ordine politico, sociale ed economico.
In questo libro, Felice prosegue la sua analisi, rivisitando il pensiero di Sturzo. Basti citare un aspetto del pensiero di Sturzo che Felice riprende e approfondisce, di particolare attualità. La crisi dei partiti tradizionali implica la crisi del partito come forma democratica di partecipazione? L’interrogativo non è astratto. La postmodernità ha diffuso l’opinione che il sondaggio sia una forma avanzata di partecipazione. Agli iscritti di un partito si può chiedere un voto elettronico per cogliere l’umore prevalente sui problemi in scadenza; la democrazia rappresentativa va superata.
Felice, con Sturzo, riafferma l’importanza della rappresentanza organizzata, dei partiti come luogo di dibattito e di ricerca di soluzioni fondate sui valori, non sulle emozioni effimere. Responsabilità e impegno versus edonismo e individualismo.
È in discussione se avviare il processo di beatificazione di don Sturzo. Papa Francesco ha una visione illuminata della responsabilità della chiesa. Molti membri del mondo cattolico sembrano disorientati. Flavio Felice è pensatore solido, fedele ad un approccio laico, approfondito senza dogmi. Caratteristiche queste non particolarmente diffuse oggi, che si riflettono nei suoi scritti e che lo rendono interprete del nuovo che avanza, da seguire con attenzione.
Flavio Felice, I limiti del popolo. Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo, Rubbettino, 2020.
Citazioni
“L’eredità teorica dell’azione politica sturziana è tutta racchiusa nel termine popolarismo, al quale intendiamo dedicare questo nostro studio, che si oppone al populismo in forza di una nozione di popolo articolata, dunque plurale, e differenziata al suo interno, tutt’altro che omogenea e compatta, refrattaria tanto la paternalismo quanto al leaderismo carismatico che identificano nel capo il buon pastore al quale affidare i destini del gregge” (p. 14).
“(Sturzo) intendeva sfidare due monopoli: quello dello stato accentratore, tipico della tradizione fintamente liberale italiana, e quello marxista e socialista nel campo operaio. il popolarismo sturziano vuole combattere entrambi questi due monopoli, in nome della libertà, declinata nel campo dell’amministrazione locale, della rappresentanza politica e sindacale e, non ultimo, della diffusione della proprietà e della piccola e media impresa” (p. 14).
“Il libro si prefigge lo scopo di considerare i termini popolo, autorità politica e democrazia, tenendo presente la tradizione cristiana e liberale e di far dialogare lo studioso siciliano con alcuni tra i più significativi interpreti contemporanei delle scienze sociali” (p. 16).
“Il riferimento al popolo, come categoria politica, corpo sociale compatto, omogeneo e uniforme al quale una certa democrazia contemporanea attribuisce il carattere della sovranità: «unum corpus mysticum», a un’attenta analisi, non può non sollevare alcune questioni di primaria importanza. Scegliere di stare in mezzo al popolo può significare tante cose: abbandonare l’isolamento elitario ed egoistico, incontrare le gioie, i dolori, le aspirazioni, le sofferenze, la povertà, le ingiustizie, l’ingegno, la salute, la malattia, l’ardimento, la paura, ma anche tendere all’incontro con la diversità di cultura, di religione, di lingua, di tradizioni” (pp. 16-17).
“In mezzo al popolo può significare operare per preservare l’uguale dignità di ciascuno, permettendo a tutti di essere differenti l’uno dall’altro. Tuttavia, in mezzo al popolo potrebbe significare anche omologazione, massificazione, annullamento della personalità. (p. 17)
“In mezzo al popolo, per chi ha responsabilità di governo, a tutti i livelli e in qualsiasi ambito, potrebbe significare assecondare le passioni più basse in nome di un facile consenso, ovvero i nome di un’ostentata immedesimazione con l‘odore del popolo, farsi portatore di presunte istanze popolari che interessano soltanto i portatori; per dirla con John Dunn, una sorta di autoinganno del quale sarebbero vittima i professionisti della politica: spacciare per collettivi interessi e progetti che, nella realtà, sono del tutto personali” (p. 17).
“Il termine populismo presenta, a tutta evidenza, una stretta parentela col termine popolarismo, per via della comune radice linguistica: popolo. Sul piano semantico, però, questa affinità si rivela falsa, giacché il popolo del populismo è ben diverso da quello del popolarismo. Spacciare l’uno per l’altro può essere una più o meno astuta operazione di comunicazione politica che rivela però tutti i suoi limiti in sede di impostazione teorica, così come di verifica empirica” (pp. 19-20).
“Nella prospettiva sturziana, non c’è spazio per quel populismo contemporaneo in cui il leader presenta se stesso come l’incarnazione del popolo, categoria mistica, incarnata da un capo carismatico, né per una nozione di popolo organicistica: l’attributo popolare sta ad indicare piuttosto il metodo della partecipazione civile. Il popolo per Sturzo esprime una forza sociale di controllo, in quanto esercita la funzione di limite mediante organismi procedurali istituzionali” (p. 21).
“Per questa ragione il popolo in Sturzo è un concetto «plurarchico» o, se si preferisce, poliarchico, dal momento che il limite esercitato sarà di ordine giuridico, istituzionale e culturale, andando ben oltre la classica distinzione die poteri di matrice montesquieuiana. Radicando la categoria politica del popolarismo in tale nozione di popolo è evidente che Sturzo individua il problema della politica nella ricerca dei limiti del potere” (pp. 21-22).
“L’idea di popolo in Sturzo, dunque, non ha nulla di collettivistico, corporativistico e organicistico. Sturzo è un personalista, e per il personalista Sturzo solo la persona pensa, agisce e sceglie, mentre i concetti collettivi quali stato, società, classe non sono altro che strumenti semantici ausiliari che favoriscono la comunicazione, ma non rappresentano realtà terze (ipostasi) rispetto alle parti che li compongono: le ragioni delle parti (le persone) contano più delle pretese ragioni della loro somma (gli stati o i partiti)” (p. 23).
“La stessa scelta di Sturzo di chiamare il proprio partito popolare e non del popolo è emblematica di come egli intendesse il ruolo del partito nel contesto democratico: come uno strumento di partecipazione per la selezione di una parte (politica) della classe dirigente” (pp. 23-24).
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