Impegnativo, direi: ma in fondo, non sono forse le cose che – al netto dell’imperante populismo – crediamo veramente? Non crederemo veramente, come provocano gli autori, che per formare un dirigente politico preparato basti passare per qualche salotto televisivo o aver superato la prova della cooptazione? No, non lo crediamo. Anche se lo vediamo. In fondo siamo cristiani: crediamo in quel che non vediamo…
La prima è il furto della sovranità, che per un verso è scivolata verso il basso (i fragili enti locali) e per l’altro è evaporata verso l’alto (l’incompiuta Europa e gli infernali summit internazionali dove si materializzano le grandi scelte finanziarie attraverso manager che dichiarano anche di fare “il lavoro di Dio”).
La seconda è la fine della rappresentanza. Il miracolo italiano non è stato solo economico, ma anche la manifestazione di un equilibrio partecipativo che sapeva comporre i conflitti e offrire una direzione di marcia al Paese. Ora non è più così: il crack istituzionale e lo sfarinamento della coesione sociale ha creato un’antipolitica populista che si nutre del discredito verso le classi dirigenti, creando una distanza tra il popolo e gli “dei”. Non basta la società civile (e neppure il suo mito).
La terza è il potere cieco dei mercati. La famiglia era stata il perno del lungo ciclo dello sviluppo italiano e resta ancora centrale nella percezione della scala di valori degli italiani. Ma questo tipo di capitalismo ha perso e a vincere è stato il capitalismo finanziario: un dato su tutti, per 1 dollaro ricavato dalla reale produzione ce ne sono 40 sul tavolo delle scommesse speculative, ricordano gli autori. Per questo i poveri impoveriscono e i ricchi arricchiscono: il rischio è una latente e mugugnante lotta di classe fondata sull’invidia sociale, e “tra i focolai del malcontento abbiamo il disprezzo verso la politica e la contestazione di opere ritenute inutili o dannose”. Ma può svilupparsi una società poco integrata e poco giusta? No, rimane ferma: “restante”, per dirla col lessico degli autori. La speranza si colloca nella generazione finora esclusa dal precedente ciclo, cioè gli stranieri, le donne e i giovani.
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Giuseppe De Rita, Antonio Galdo, Il popolo e gli dei. Così la grande crisi ha separato gli italiani, Laterza, Bari, 2014
Citazionirn
"L’armatura della rappresentanza ha bisogno di ripartire dagli interessi di prossimità, per esempio dalla vicinanza delle imprese al territorio. Dove non c’è prossimità non c’è rappresentanza".
"Si è spenta l’ambizione al cambiamento e si è acceso l’interesse alla restanza, il residuo attivo degli antichi germi di comunità, la difesa e la valorizzazione di ciò che appartiene al nostro patrimonio genetico e di quanto è stato guadagnato con i precedenti processi di sviluppo".