La domanda in copertina: “C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?” è il filo conduttore delle riflessioni della famosa coppia di sociologi che ha pubblicato “Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi” (Feltrinelli 2014).
La risposta alla domanda è articolata, anche se sostanzialmente è affermativa, solo che la chiesa si aggiorni ai tempi presenti senza snaturare la sua missione nel mondo: annunciare la buona notizia che Gesù è risorto e salva dal peccato e dalla morte.
«Un compito entusiasmante ci attende, dunque, al quale tutti, ma proprio tutti, possiamo dare un contributo. Il compito di tornare all’intero come relazione vitale, dinamica e plurale. Un compito cattolico» (p. 192).
Il libro si compone di quattro agili capitoli, in cui molti temi si riprendono costruendo così una riflessione sufficientemente compiuta.
Il primo capitolo affronta la questione dell’astrattezza del mondo: «Viviamo in un mondo sempre più astratto» (p. 18). Appoggiandosi sul contributo di Romano Guardini, in particolare su “L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente”, che ritorna più volte nel corso del volume, gli autori affermano che l’astrazione porta alla separazione, al prendere le distanze. L’astrazione, che è necessaria per produrre scienza, risulta problematica quando diviene l’unico criterio «con cui viene organizzata l’intera vita personale e sociale». Per Guardini ciò da cui occorre partire è l’unità della vita concreta di ciascuno di noi. L’astrazione, al contrario, separa ciò che è unito, se non è bilanciata da una umiltà che la riporta al suo giusto posto metodologico.
Il punto cruciale è che l’essere umano è simbolico, il che vuol dire unire ciò che è diverso. «La grande sfida culturale è mostrare che distinzione non vuol dire separazione, né domino di uno dei due poli sull’altro, né riduzione di tutto ai desideri (di fatto orientati dal mercato) di un Io disposto a usare gli altri come mezzi per i propri fini […] L’uomo concreto vivente è capace di coltivare e custodire i legami con gli altri, con il mondo e con il mistero della vita» (p. 23).
Il dualismo, che deriva dall’astrazione, dissimula di fatto il sogno di un monismo senza dissensi, senza relazione. La soluzione che viene prospettata è che «solo nell’amore unità e dualità non sono in conflitto», come scriveva il poeta Tagore.
Il capitolo si conclude mettendo a fuoco due problemi della modernità: «Il primo è come tenere insieme scienza e umanesimo nell’era della globalizzazione; nel momento, cioè, in cui il legame tra scienza e cultura occidentale viene meno, mentre invece proprio la cultura umanistica potrebbe fare da argine e bussola al tecnocentrismo sfrenato. Il secondo è come evitare che, più o meno surrettiziamente, la scienza venga assoggettata al sistema tecnico (o, meglio, tecnoeconomico), divenendone di fatto la semplice mandataria» (p.44).
Da qui le due domande di fondo: «La scienza e la modernità possono sensatamente procedere senza le premesse cristiane da cui sono nate (a partire dal valore della persona umana)? E d’altra parte, può sussistere ed essere credibile un cristianesimo che rifiuta il contributo che viene dalla conoscenza scientifica?» (p. 44).
Il secondo capitolo affronta un tema spinoso e cruciale: perché continuiamo ad avere bisogno del paradosso cristiano: un Padre che ama in modo non tirannico, ma che continuamente chiama alla libertà la sua creatura, libertà di generare la vita, a immagine di Dio che ha creato il mondo e l’uomo. Dio continuamente eccede il desiderio e i bisogni dell’uomo, con una novità non deducibile dalla storia, ma come libero intervento amoroso che chiama gli uomini a convertirsi dal peccato che porta alla morte.
«Ecco dunque il paradosso di un essere che, pur inserito in un cosmo dotato di un suo ordine e di proprie leggi, mantiene appieno la facoltà di rompere i determinismi, di decidere in modo autonomo, di non fare della propria sopravvivenza il valore supremo. Di fare così la differenza e di cambiare il mondo. Amandolo o distruggendolo. Di fronte a tale creatura, che Dio sceglie di non dominare, si inverte e cade la logica sacrificale tipica delle religioni. […] Detto in altro modo, la paradossale originalità cristiana sta nell’aver saputo creare lo spazio per una relazione aperta – e perciò dinamica e dialogica – tra il riferimento a Dio e la libertà personale, tra il cielo e la terra, tra trascendenza e immanenza» (pp. 51-52).
Quali risorse per la modernità, che rifiuta la propria radice evangelica, può offrire oggi una chiesa che si interroga con sapienza e, a volte, con smarrimento, su questo figlio che la contesta o la ignora?
«Ecco dunque quale può essere il ruolo della Chiesa rispetto a questa fase critica della modernità avanzata: non rimpiangere un mondo che non c’è più, che forse non è mia esistito e che comunque non è nemmeno desiderabile. Piuttosto, essere un punto di de-coincidenza per liberare, di nuovo, il desiderio rimasto imprigionato nell’ordine sociale costruito dalla modernità. Nella prospettiva di poter recuperare, un po’ per volta, il legame filiale che si è spezzato e così ricostruire una relazione le cui basi (la libertà, il perdono, la misericordia) siano più corrispondenti al pensiero originario: dove la libertà è un tratto costitutivo dell’essere umano e va perciò riconosciuta e attraversata fino in fondo; e dove all’uomo non è chiesta una passiva e timorosa sottomissione, ma un’alleanza desiderata, un amore filiale nella libertà» (pp. 64-65).
Gli autori propongono di passare da una fede come adesione a un sistema religioso a una fede come affidamento, a partire dal vangelo e in una posizione compatibile e critica con la modernità. Una fede che permette all’Io, che si vuole autodeterminare, di riconoscere il legame originario con l’altro per insieme costruire quel bene “comune” che permetta all’uno e all’altro di superare la paura fondamentale, quella della morte, non sentendosi scartato, ma considerato, non producendo scarti, ma considerando l’altro come indispensabile alla mia propria vita.
«E’ dunque lo stesso essere umano che è paradossale: se da un lato è proiettato oltre sé, dall’altro rimane costitutivamente “impacciato” da quella esistenza propria che costituisce l’unico ingresso di cui dispone verso la stessa vita piena a cui tende. Il passo della fede cristiana si propone come un movimento che permette di rendere feconda questa contraddizione. Ecco perché da sempre nella Chiesa si insegna la fede come affidamento. “la fede suppone una fiducia che non ha garanzia di ciò che la fonda: l’Altro” scriveva de Certeau» (p. 74).
La modernità offre soluzioni al paradosso umano: incamerare quanta più realtà possibile, toccare la realtà che sfugge sempre, potenziare l’organizzazione sociale, ingegnerizzare l’essere umano. Tali soluzioni, tuttavia, non mantengono la promessa di felicità e libertà per tutti.
«Il contributo che il cristianesimo ha da portare al mondo di oggi è dunque quello di suggerire una via diversa per adempiere alla promessa che la modernità ha disatteso. Da un lato perché ha scambiato l’eccedenza (cioè la pulsione di vita) con l’eccesso (movimento simile ma opposto, fondamentalmente pulsione di morte). E dall’altro perché non può o non sa rinunciare al bisogno di controllo e sicurezza, che invece di essere abbandonato viene trasferito ai sistemi e ai dispositivi tecnici» (p. 77).
Il capitolo si avvia a concludere con un paragrafo in cui si esaminano le possibilità aperte dalla fede come affidamento in ordine ad alcune tensioni che attraversano la vita e in cui è possibile rintracciare una terza via tra i poli che si oppongono in modo dicotomico.
L’ultimo paragrafo riguarda la questione del rapporto tra la vita e la morte provando a mostrare che la vita è superiore alla morte, nonostante tutto!
«In un’epoca in cui la pulsione di morte è così forte e pervasiva, è dunque questa la scommessa che il cristianesimo è chiamato a giocare: testimoniare la possibilità di sfuggire al destino di morte che la piega moderna – pur assetata di vita – ha finito per prendere, vivendo nella serena consapevolezza che, al di là di tutto, la vita è superiore alla morte. Già qui su questa terra, anche se in modo imperfetto e in mezzo a mille contrasti. E che la salvezza non è altro che la chiamata – che riguarda ogni essere umano – a inserirsi nel grande processo della vita che ci precede e alla quale apparteniamo. Un movimento possibile a condizione di non far coincidere la via con la singola esistenza individuale» (p. 109).
Il terzo capitolo affronta il tema della riforma della chiesa romana, riprendendo ancora una volta la lezione di Guardini sul “concreto vivente” trattato nell’Opposizione polare del 1925!
«In un mondo sempre più astratto, il cattolico sta dalla parte della concretezza della vita umana – fatta di gioie e di dolori, di successi e fallimenti, di vittorie e di sconfitte, di forza e di debolezza, di centralità e di marginalità, di vita e di morte. Solo se si è disposti a un nuovo bagno di realtà e si accetta di farsi interpellare dall’esperienza umana più ruvida e profonda – quella che normalmente non riesce a prendere parola e a manifestarsi, perché censurata e resa irrilevante dalla logica sociale dominante –, è possibile rompere il vetro della diffidenza che ci tiene a distanza da ciò che ci circonda e riaprire la ragione, riaccendere lo spirito. Attraverso la concretezza il cattolicesimo può ritrovare il sentiero perduto ed essere provocato così da riuscire a rigenerarsi. Senza fidarsi troppo dell’istituzione e dei suoi discorsi, ma scommettendo sulla vita» (pp. 128-129).
La domanda se sia ancora possibile vivere all’altezza del desiderio che ci caratterizza come essere umani senza distruggere il mondo, la vita, noi stessi, trova questa risposta negli autori: «abitare i due confini a partire dai quali le contraddizioni del nostro modello sociale possono ancora essere decifrate: quello dello scarto e quello del mistero. Soglie sulle quali possiamo ancora riconoscere la costitutiva precarietà della nostra condizione umana. E’ su questi due confini che la Chiesa cattolica è chiamata ad insediarsi. A sostare. A radicarsi. Perché sarà solo da questi margini che sarà possibile trovare il nutrimento – esperienziale, conoscitivo, spirituale – necessario per riuscire a disinnescare le derive del pensiero astratto che si è impossessato della modernità» (p. 137).
Il quarto capitolo affronta la questione dell’universalismo all’epoca della globalizzazione. La questione è quella di una posizione consapevole della verità della vita che, proprio per questo, si fa dialogo umile e amoroso con il resto del mondo.
E’ un nuovo modo di pensare in modo integrale non dualista. «La concretezza parla di una dualità, non di un dualismo. DI alterità che si implicano a vicenda, che hanno bisogno l’una dell’altra per individuarsi, in un processo che non può mai essere congelato in una essenza definitiva (“Essenza e processo, entrambi devono esistere insieme” scrive Guardini nell’Opposizione polare)» (p. 187).
«Tornare alla concretezza significa riconoscere che c’è sempre una tensione tra polarità che spingono in direzioni diverse, che tuttavia si implicano a vicenda e non possono stare l’una senza l’altra; e che è proprio della libertà – come tratto tipicamente umano – trovare i modi, sempre limitati e dunque sempre perfettibili e dinamici, di abitare questa tensione. “La vita regge gli opposti; gli opposti si realizzano nella vita; sono i modi in cui la vita è viva”, scrive Guardini”» (p. 189).
Il libro si conclude con un compito generativo: «L’essere umano è un concreto vivente, capace di coltivare e custodire il legame reciproco con il mondo, con il mistero che ci abita. E’ un’antropologia positiva, che chiama in causa la libertà e la creatività, che fa del legame, anche con il proprio corpo, una condizione e non un ostacolo, quella che oggi può rispondere alle sfide culturali più potenti. Per questa via, la religione – e certamente quella cristiana – può essere vista come istanza che ricorda il carattere simbolico e relativo – nel senso di relazionale – delle cose. Non è forse questa proprio l’esperienza comune dell’Occidente, quella che la modernità contemporanea rischia di perdere? Il Dio cristiano è in sé poliedrico. Trinitario. Cioè non totalitario. Paesaggio dialogico, pluriprospettico, pluripersonale. Un compito entusiasmante ci attende, dunque, al quale tutti, ma proprio tutti, possiamo dare un contributo. Il compito di tornare all’intero come relazione vitale, dinamica e plurale. Un compito cattolico» (p, 192).
Ma questa scommessa vale solo per la Chiesa cattolica, o anche per l’economia, per la politica e per il sociale? Buona lettura.
Chiara Giaccardi – Mauro Magatti, La scommessa cattolica, Il Mulino, Bologna 2019.
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